2013-02-04

Ascoltàti sovrappensiero, i primi tre secondi dellla traccia uno del nuovo album dei My Bloody Valentine sembrano l’attacco di “Desire” degli U2. Come si possono ascoltare “sovrappensiero” i primi tre secondi del disco più atteso, desiderato e dibattuto degli ultimi 22 anni? È strano, ma si può. Ed è emblematico – se di una prova ancora avessimo bisogno – di come sia copernicamente cambiato il mondo del pop, dell’ascolto del pop, in questi quasi vent’anni. Il gesto è meccanico. Ti svegli, leggi (ancora a letto) dai feed e dalle varie dashbord di messaggi che è uscito il disco. Nel tempo in cui decidi se ordinare il cd o il vinile (c’è anche l’opzione “bundle”, ma col cd in copertina non-gatefold), mentre metti il caffé sul fuoco, inizi il download da uno qualsiasi dei link pirata cui ti appoggi di solito. Alla fine della doccia il disco è pronto per essere ascoltato. Lo fai partire col gesto automatico col quale fai partire una media di due-virgola-cinque album nuovi ogni giorno. Sovrappensiero. I primi tre secondi – per quell’automatismo attraverso cui l’iTunes del tuo cervello cerca ormai da tempo di organizzare in cartelle, secondo principi di analogia, il flusso di nuovi imput quotidiani – vengono indicizzati come: “sembra “Desire” degli U2 suonata dai Teenage Fanclub”. Poi ti ricordi di cosa stavi ascoltando.

(Lo si era davvero “atteso”, questo nuovo album dei MBV? O si era piuttosto partecipato della soap opera dell’attesa, così come si partecipa di molte altre soap opera collettive? Incluso lo spettacolo pirotrcnico dei tweet tra l’euforico e l’ironico letti – chi beato lui era sveglio – sabato notte, mentre il server del sito dei MBV crashava sotto l’impatto record dei contatti? Davvero avevamo spazio nelle nostre vite – per non dire nei nostri hard disc – per il Nuovo Atteso Album dei MBV? Non era meglio continuare a immaginarlo? Non era meglio se continuava a essere la miglior barzelletta indie di sempre? Non era meglio se scaricavamo da Torrent la settima puntata di “Les Revenants”, invece?)

“She Found Now” è la stessa colata di granito ambient liquido, la stessa mancanza d’ossigeno scambiata per euforica serenità, dei MBV più classici. Potrebbe essere un credibile outtake di “Loveless”. In effetti, potrebbe davvero essere un outtake di “Loveless”… solo che non lo sapremo mai. (Oppure mai dire mai, chissà). “Only Tomorrow” – quintessenzialmemtente MBV già nel titolo (che ovviamente rimanda al pezzo che apriva “Loveless”) – è bellissima già al primo ascolto. Ha la stessa progressione melodica del finale del medley “A Plague of Lighthouse Keepers” dei Van Der Graaf Generator (da “Pawn Hearts”, 1971) che sentivi – per coincidenza – tre sere prima via Spotify. La ascolti due volte di fila, tutti e sei minuti e 18 secondi. Intanto googli il titolo, e scopri che NME ha già pubblicato la recensione track-by-track dell’album («Swirls of lazy, buzzing loops and Butcher’s breathless singing take centre-stage for the first 90 seconds or so, until there’s a stonking, soaring swoop of noise and the whole thing shudders off-track»). “Who Sees You” è, dall’attacco di batteria a quell’inconfondibile “slide” del muro-di-suono, di nuovo classico MBV che più classico non si può.

(Riflessione: la strana sensazione di ascoltare delle canzoni che sono al tempo stesso assolutamente nuove e perfettamente vecchie. Che un po’ dev’essere lo stesso che succede a chi – oggi, affacciandosi per la prima volta al mondo della musica registrata – ascolta (per dire) “Eight Miles High” dei Byrds. Ma no, perché lì si parla di musica già consegnata alla Storia. Ok, allora qualcosa di simile a ciò che proveranno tra qualche settimana i fan di Jimi Hendrix di fronte all’album di inediti. Ma nemmeno. Non fosse altro perché – almeno fin qui – questo è tutto meno che un album di scarti trovati in fondo a un cassetto. No, inutile, non c’è nulla di paragonabile ad ascoltare – qui, oggi, domenica 3 febbraio 2013 – il nuovo album dei My Bloody Valentine).

Alla fine di “Who Sees You” ti fermi. Mentre carichi la lavatrice, metti su un disco (cd, gatefold sleeve) che hai comprato il giorno prima: il tributo a Nico dei Throbbing Gristle (“Desertshore/The Final Report”), che già avevi ascoltato mesi prima come promo-streaming, poco prima della sua uscita, e poi un’altra volta dopo averlo downloadato illegalmente (solo il secondo dei due cd, però). Solo due pezzi. Così, per spezzare. L’interruzione si dimostra propizia: la traccia numero quattro, “Is This and Yes” è in effetti (esattamente come avevi appena letto in diversi status di Facebook e Twitter), MOLTO Stereolab. Resisti alla tentazione di scriverlo tu, uno status, nel quale richiamare Simon Reynolds ai suoi doveri di chiarire strutturalisticamente la relazione tra le due band e il loro rapporto con il Passato. (Ipotesi #1: gli uni hanno usato una descrizione passata del futuro per inquadrare un presente che stava scivolando verso l’entropia, gli altri si sono fatti essi stessi entropia, abbandonandoci alle nostre esagerate iperboli del passato. Ok, e adesso?).

(Status di Facebook: “la strana sensazione che mbv (indipendentemente dal giudizio che uno possa avere al riguardo) simboleggi la definitiva chiusura della porta verso quella sorta di “eterno presente stiracchiato” del pop che durava più o meno dal 1988, e che domattina il normale flusso delle epoche riprenderà il suo corso”).

Su “New You” si messaggiano amici ancora addormentati, ancora ignari, con frasi come: “è pop, è bellissimo!” e “la rullata di batteria a 3’43”, puro Phil Spector!”. Poi si cerca tra le vecchie compilation (in vinile) della Creation quella dove c’è “Instrumental”, il pezzo meno MBV dei MBV ever, quello dove campionavano quel loop dei Public Enemy poi rubato anche da Madonna in “Justify My Love”.

(Sabato notte, antologia di reazioni a caldo: “My Bloody Valentine making history today. By that, I mean they’re the 1st band to update their MySpace page since 2008” Brooklyn Vegan. “Last time MBV released an album I lined up at Tower Records to purchase. Record stores never crash” Plastic Pizza. “The Super Bowl for shoegazers” Stuart Berman).

E poi arrivano le ultime tre canzoni del disco. Quelle che guardano avanti. O, più banalmente, quelle che più si discostano dai MBV-come-li-avevamo-lasciati-22-anni-fa. “In Another Way” è una roba di (simil-)cornamuse orchestrali sopra una batteria funky impazzita. “Nothing Is” – un loop di Ableton Live incantato, muro del suono sopra un pattern di batteria irrealmente lento e veloce – probabilmente risulterà intelleggibile solo a chi ai tempi dell’omonimo Ep mandò giù senza fiatare (e ancora adesso, occasionalmente, non disdegna di mandar giù) “Glider” in tutta la sua monumentale immobilità di puro sfregamento tettonico tra lastre di pietra. E poi “Wonder 2”: quella di cui Kevin Shields disse – in qualche punto imprecisato degli ultimi 22 anni – la celebre frase: «Sto lavorando a un pezzo jungle». Quasi “tra justinbieber e Robert Wyatt”; quasi “dubstep”; quasi “va-a-ai col flanger dei cdj!”… Però, più esercizio di stile che effettivo “crossover” capace di aprire un buco nero di collegamento tra mondi lontanimi (come fece a suo tempo “Soon”, pietra fondante e capolavoro assoluto della collisione tra indie e dance). Per dirla con una di quelle classiche frasi che rendono la vita facile a noialtri critici musicali: “il pezzo con cui Aphex Twin avrebbe dovuto chiudere, col botto, la propria carriera”. Solo che, invece, l’han fatto i MBV: che se ci pensate ci sarà pure un perché, per questo. A proposito: pur esistendo bizzeffe di foto anche recenti della band (le più recenti risalenti a una settimana esatta fa: concerto all’Electric Brixton di Londra), tutti gli articoli usciti online nelle ultime 24 ore riportano la stessa foto promo dell‘epoca Creation. Risalente al 1991.

(Elenco di Cose che Non Esistevano Ancora quando uscì l’ultimo album dei MBV: Google, Napster, Vine, Tim, “Generazione X” di Douglas Coupland, Wikipedia (dove ho appena controllato l’anno di uscita di “Generazione X”), MasterChef, WeTransfer, 9/11, Silvio Berlusconi capo del Governo, “Seven Nation Army”, COS, Skype… *continua*)

La conclusione? Il migliore dei Grandi Attesi, sì. Meglio dei Beach Boys, meglio dei Guns N’ Roses. Non c’è gara. Come del resto non ce n’è mai stata, con i MBV. In quel monumentale mattone che è “How Soon is Now?”, il loro mentore dell’epoca Creation (nonché futuro scopritore degli Oasis) Alan McGee dice: «Ci sono band che hanno bisogno di aiuto. I Primal Scream, nella loro fase di metamorfosi, hanno avuto bisogno di aiuto. I Ride e i Boo Radleys hanno avuto bisogno di aiuto. Ma i MBV no. Kevin Shields non ha mai avuto bisogno di aiuto. L’unico consiglio che gli abbia mai dato, fu di scegliere “You Made Me Realise” come singolo. Lui la voleva come facciata B». ROLLING STONE

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