2013-10-24

A San Vito Lo Capo, in questi anni, è stato un boom di presenze di climber. 
La comunità locale ne ha avuto discreti benefici economici in termini di sviluppo turistico, ma si sta anche rendendo conto dell'altra faccia della medaglia:
gli impianti sportivi a cielo aperto realizzati dai volontari (le falesie per capirci), necessitano di lavori e manutenzione, ne più ne meno di un centro sportivo classico. A ciò va aggiunto che, se è bello e meritorio che un climber trasformi una inospitale parete in un luogo accogliente dove scalare, nessuno può imporgli di continuare negli anni a fare gratuitamente e  a spese sue i necessari lavori di manutenzione.

Quindi le comunità locali non solo avrebbero il dovere di dire grazie, ma hanno il preciso compito di farsi carico degli impianti nei tempi successivi, soprattutto quando questi rispondono a criteri di utilità sociale o addirittura di sviluppo economico del territorio.

Se poi aggiungiamo che non sempre i chiodatori hanno le competenze necessarie, e non per forza attrezzano secondo i criteri di sicurezza auspicabili, capiamo come lo sviluppo economico portato dall'arrampicata può trasformarsi in un boomerang, nel caso in cui le amministrazioni pubbliche locali non si facciano carico della situazione esistente.
A San Vito ci sono le primo avvisaglie: molte vie da riattrezzare, molte altre da integrare o sistemare secondo i più restrittivi criteri di sicurezza, molte da disgaggiare.

Il Comune di San Vito è sensibile ed attento a questa problematica, e per affrontare l'argomento nel modo migliore ha organizzato un incontro tra alcuni chiodatori ed esperti del settore. E' stato solo un inizio, mancando a questo incontro alcune figure chiave ed una linea specifica, ma certo è stato un importante momento di incontro, a cui speriamo ne seguano altri e più specifici per trattare le tante tematiche abbozzate. Già il convegno di Arco di qualche anno fa (credo 2005) che trattava più in specifico alcune di queste tematiche, non ebbe un seguito concreto. Ma una cosa è certa: di questo evento deve far tesoro il Comune di San Vito, per capire come impostare una sistematica e costante manutenzione, e regolamentare la chiodatura di nuovi itinerari.

Il convegno era inserito in una due giorni di stage sulla chiodatura, in cui sono stati realizzati una decina di nuovi itinerari: speriamo nel migliore dei modi e con le caratteristiche di sicurezza da tutti auspicate. Forse il segnale migliore da parte del comune sarebbe stato investire nella sistemazione dell'esistente, ma il convegno è un buon segnale: lascia presagire che presto i lavori inizieranno e faranno morire sul nascere alcune polemiche che già si vedono all'orizzonte.
Cap

riportiamo una parte del comunicato ufficiale dell'incontro, che ci ha inviato Massimo Cappuccio, uno dei principali orghanizzatori dell'evento:

"Nel pomeriggio si è invece svolto il convegno sulla chiodatura, con due temi centrali da trattare, le problematiche dell’acciaio inox in ambiente marino e i criteri generali di corretta di chiodatura.
Forse per la prima volta si è riusciti a far sedere pacificamente attorno ad un tavolo numerosi esperti di livello nazionale della materia, ognuno appartenente alle varie anime dell’Italia verticale e per questo con esperienze e formazione diverse;  Guide Alpine insieme a istruttori del CAI, della FASI e della UISP provenienti da diverse regioni italiane. Preziosissima la partecipazione dei tecnici esperti di metalli ed aziende leader nella produzione di ancoraggi inox che hanno illustrato lo stato dell’arte degli studi e le nuove tecniche adottate per rendere più durevoli gli acciai inox all’attacco della salsedine.

Proprio sul tema dell’inox si sono aperti i lavori del convegno, moderatore Peppe Gallo, che ha invitato per primo Maurizio Oviglia (CAAI e CAI) a prendere la parola, che con una dettagliata relazione corredata da una serie di interessanti foto e video, ha illustrato la “storia” dei recenti episodi di rotture di ancoraggi inox, avvenute in Sardegna, Sicilia e Kalymnos (ma l’elenco è purtroppo si può estendere a  varie parti del mondo).
Gli aspetti tecnici del problema e l’individuazione delle possibili soluzioni, sono stati descritti da  Matteo Dalvit (Facoltà di Ingegneria Università di Trento) che in collaborazione con l’UIAA sta portando avanti una serie di ricerche. Dalvit stimolato anche dalle tante domande del pubblico presente, ha chiarito meglio le dinamiche della corrosione interna dei vari tipi di inox e dei vari tipi  di acciai usati per la produzione di ancoraggi per l’arrampicata sportiva. Deludendo forse le aspettative dei presenti, circa l’impiego di acciaio inox 316L in ambiente marino si è dichiarato scettico affinché quest’ultimo sia decisivo nella resistenza alla corrosione in particolari circostanze di umidità, salsedine e tipo di roccia. Attualmente sembra che solo il titanio dia infatti queste garanzie, con costi che lievitano talmente da rendere al momento difficilmente applicabile tale scelta.

Cesare Raumer, presente in rappresentanza del suo marchio leader in Italia nella produzione di ancoraggi inox, si è dichiarato di diverso avviso, sottolineando come la sua azienda abbia affrontato il problema con diverse soluzioni tecniche che hanno portato alla produzione di una nuova linea di ancoraggi marini in acciaio inox 316L. Secondo Raumer, questi trattamenti limitano al massimo questo tipo di corrosione, malgrado non escludono del tutto la possibilità che si verifichi. Il resto del lavoro devono farlo i chiodatori, ha detto Raumer, controllando bene la posa dei tasselli e valutando  attentamente la composizione della roccia e il luogo dove intendono attrezzare.

E’ possibile prevedere una regolamentazione dell’arrampicata sportiva che implichi una forma di etica nell’attrezzatura di impianti naturali destinati a questa pratica? Bruno Vitale (CAI INAL) per primo ha affrontato l’argomento ricordando come fin dal ’99 questo discorso sia stato affrontato durante uno storico convegno tenutosi a Subiaco (Roma) da dove scaturirono alcune linee guida da tenere durante l’apertura di vie d’arrampicata sportiva. Un’attività frutto della pura fantasia e libera scelta di ognuno che opera in parete, storicamente contraria a regole e costrizioni. I tempi sono cambiati però, e sempre di più si sente la necessità di arrivare a criteri univoci nell’attrezzatura, soprattutto quando appunto si parla di arrampicata sportiva che per definizione dovrebbe ritenersi “sicura” e abbandonando l’inutile principio secondo il quale difficile equivale a pericoloso.
Le Guide Alpine, ben rappresentate dal trentino Massimo Faletti e dal biellese Stefano Perrone che insieme a Roberto Vigiani ha recentemente tenuto il primo corso per chiodatori in Italia, hanno ribadito ancora la necessità di uniformare la chiodatura in zone come San Vito, dove si registra un’alta fruizione turistica, ed incidenti dovuti ad errori di chiodatura esporrebbero gli enti locali a responsabilità con il conseguente rischio di divieto d’arrampicata lungo le pareti incriminate.  E’ lecito quindi prevedere una “ristrutturazione di quegli itinerari che non rientrano nei canoni di sicurezza e addirittura chiudere quelli palesemente pericolosi? E per uniformarli a determinati criteri definiti “sportivi” o in uso in una particolare zona? Esempi come Kalymnos, dove sono stati emessi dei veri e propri regolamenti possono sicuramente risultare dei punti di riferimento, ma le Guide non hanno tralasciato l’aspetto rilevante che una adeguata formazione riveste nella pratica della nostra attività, unitamente al comportamento e alla soglia di attenzione, aspetti purtroppo spesso scarsamente considerati dalle nuove generazioni provenienti dall’attività indoor.

Graziano Montel (FASI) storico chiodatore in terra di Puglia ci ha raccontato della “distanza” della sua terra dai problemi di interpretazione circa l’attrezzatura delle vie d’arrampicata e di come abbiano affrontato il problema semplicemente cercando di uniformarli e rendendoli sicuri quando necessario.
Ignazio Mannarano (UISP) ha posto invece l’accento sulla necessità di confrontarsi a priori con gli enti gestori delle aree protette, ove sussistono vincoli relativi a piani paesaggistici o idro-geologici. Scontrarsi con questi enti anziché instaurare rapporti di pacifica convivenza porterebbe secondo Mannarano a inevitabili nuove limitazioni rendendo rischiosa (penalmente) la frequentazione di falesie già esistenti o l’attrezzatura di nuove.
A tal proposito si sono rivelate utili le testimonianze di  Sandro Angelini (Responsabile della commissione Falesie della FASI) che ha illustrato la sua esperienza di collaborazione con l’ente gestore delle Gole del Furlo (Marche) con il quale è stato stipulato un fruttuoso protocollo per la chiodatura di nuovi e la riattrezzatura dei vecchi itinerari d’arrampicata di quella zona, rimarcando ancora una volta come non ci sia un’esclusiva di alcuno circa la possibilità di eseguire questi lavori.
Davide Battistella (CAI INAL) protagonista dell’esperienza delle falesie del Muzzerone (La Spezia) che vede lavorare insieme Guide Alpine e Istruttori del CAI ha tangibilmente dimostrato che associandosi, si riesce ad interloquire con maggiore rappresentanza con le amministrazioni comunali e gli enti gestori le aree protette, tutelandosi maggiormente dagli eventuali rischi giuridici che derivano eventuali incidenti riconducibili all’esecuzione di lavori di attrezzatura non a regola d’arte.
Ha concluso il convegno ancora Maurizio Oviglia, con l’auspicio di potersi rivedere presto affrontando ancora questi problemi magari attorno ad un tavolo itinerante, con l’obiettivo di  arrivare ad una condivisione dei criteri almeno da parte delle associazioni e dai professionisti di settore.
Alla fine delle due giornate di stage, su una fascia di roccia, ancora vergine, sono stati chiodati una decina di itinerari con difficoltà dal 5c all’8a. A detta dei partecipanti è risultato un incontro molto interessante e proficuo, sia per chi prendeva in mano un trapano per la prima volta, sia per chi aveva già qualche esperienza alle spalle. Con degli specialisti al fianco è sempre facile imparare o apprendere nuove tecniche. L’auspicio è che si possano ripetere appuntamenti del genere, affinchè più gente possa, appassionarsi e dedicarsi anche alla chiodatura delle vie.
Domenica pomeriggio ci si è rivisti nuovamente alla Climbing House, per i saluti finali e per tirare le somme di questo evento. L’idea di ritrovarsi a breve e portare avanti idee o progetti sembra piacere a tutti, e ancora una volta San Vito Lo Capo, ha saputo offrire un occasione unica e da non perdere."
 

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