Test di appropriatezza precompilati. Per poter piazzare i titoli ai clienti sprovveduti.
Se proprio vogliamo renderci conto di come lavorano le banche per noi clienti allora, lanciamo una “virtuale” class action che sui social network sta già riscuotendo successo in termini di followers: tutti in banca a chiedere di verificare (ed eventualmente modificare) il «proprio profilo di rischio».
L’obiettivo è di eliminare dalle mani delle banche lo strumento che consente alle stesse di proporre e vendere al cliente i prodotti che vogliono collocare, e quindi di tutelarsi con un paracadute da utilizzare in caso di eventuali contestazioni.
Come funziona il test di appropriatezza.
Ma che cosa è il profilo di rischio?
La direttiva comunitaria sui servizi di investimento, entrata in vigore nel 2007 e nota come Mifid (Market in financial instruments directive), richiede che le banche, per qualsiasi cliente e per qualsiasi offerta di prodotti, debbano obbligatoriamente valutare «l’adeguatezza e l’appropriatezza del prodotto o servizio offerto e venduto ai clienti».
A tal fine, la nuova normativa stabilisce che ciascuna banca proceda obbligatoriamente a una classificazione dei propri clienti in base alle caratteristiche degli stessi e alla competenza in materia finanziaria e ne tracci quindi un «profilo di rischio o profilo finanziario».
Dovrebbe essere la foto dell’investitore.
Il profilo di rischio è una vera e propria fotografia dell’investitore fatta attraverso un questionario detto Test di appropriatezza che assolve la funzione di raccogliere e documentare i dati ottenuti o forniti dal cliente alla banca.
Per il tipo e la quantità di informazioni, il test è graduato e modulato sulla base di un crescente «grado di rischio» che viene riconosciuto al prodotto finanziario che si intende offrire o vendere .
Profili spesso creati ad hoc per favorire gli affari della banca.
Ma perché questa precauzione? Cosa fanno le banche normalmente?
Io so e ho le prove che il Test di adeguatezza (e quindi il corrispondente profilo di rischio) in numerosi casi non è la fotografia dell’investitore ma quella che la banca, spesso surrettiziamente, produce per il cliente, predisponendo il test già precompilato con la «baffatura» nelle caselle «convenienti» per la banca (così come avvenuto per un caso concreto a un mio assistito pochi mesi fa) e sottoponendolo poi alla firma del cliente, tra le centinaia di carte che solitamente vengono prodotte.
Un modo per piazzare obbligazioni.
Della serie: decidiamo noi banche che ne sai tu di un titolo di Stato, di una obbligazione strutturata, di una azione o, addirittura, di uno strumento derivato.
In tal modo gli istituti di credito si precostituiscono la «base» obbligatoria per poter collocare e vendere i prodotti tipo obbligazioni Parmalat, Cirio, Lehman Brothers, polizze assicurative, diamanti, swap sui tassi di interesse, nonché azioni di banche a seguito degli aumenti di capitale dalle stesse deliberati!
Ma cosa deve fare il cliente?
Tre consigli per difendersi.
A tal proposito forniamo un “To do” in tre punti che può cambiare, rivoluzionare, stravolgere il rapporto tra banca e cliente:
Andare in banca e chiedere di verificare il proprio «profilo di rischio»
Se il cliente si accorge (anche affidandosi a consulenti indipendenti) che non è il suo «profilo di rischio», ne chiede (e ottiene) la modifica, adeguandolo alle sue effettive caratteristiche di investitore.
A questo punto la banca si trova nell’impossibilità (a meno che non modifichi il profilo di rischio ma ora non siamo più dei polli e non ci facciamo ingannare!!) di offrire e vendere, in futuro, prodotti che il cliente non avrebbe mai voluto acquistare.
Quindi muoviamoci, reagiamo, mobilitiamoci.
In questo Paese siamo sempre più abituati a pensare che la responsabilità dello status quo sia di qualcun altro. Molto spesso il cambiamento passa attraverso di noi. Altrimenti non lamentiamoci.
(Per scrivere a Vincenzo Imperatore: info@moneyfarm.com oppure sezione contatti del sito www.inmindconsulting.eu)
L' articolo Profilo di rischio: cosa è e come difendersi dalle banche è tratto dal Blog di MoneyFarm