Introduzione. La difficile situazione di Torino nel panorama internazionale alla fine del decennio 2001-2010
Nell’ultimo decennio Torino si è contraddistinta per essere stata la città italiana con la maggiore spinta “rivoluzionaria” e per aver saputo mettere in atto un processo di identificazione delle proprie linee guida strategiche che hanno portato alla radicale ridefinizione di tutti i parametri strutturali, e che hanno permesso la trasformazione e la crescita dell’area metropolitana nel nuovo contesto internazionale.
Tuttavia, in questa difficile situazione economica e politica, Torino preoccupa particolarmente sia per evidenti ragioni strategiche – la città ha investito gran parte del decennio precedente a costruire un sistema integrato tra Cultura e Innovazione, che avrebbe dovuto garantirle un secondo decennio di raccolta dei frutti faticosamente coltivati – sia per ragioni più prepotentemente economiche – Torino risulta essere la città più indebitata d’Italia, anche se il debito è legato alla costruzione di importanti infrastrutture che ne hanno totalmente cambiato l’aspetto e la vivibilità.
Se da un lato, quindi, ai Torinesi è stata consegnata una città più bella, più vivibile, più pronta ad accogliere Cultura e Innovazione, dall’altro il Governo vive una crisi epocale, nella consapevolezza di non avere più la possibilità di sostenere la maggior parte delle esigenze primarie. Tutti, Amministrazione in testa, stanno cercando di capire come sopravvivere a questa crisi ed alcuni, forse i più illuminati, stanno pensando a come trasformare un sistema che ormai non esiste più in un’opportunità per il futuro.
Questo articolo tenta di dare una lettura della realtà odierna e dei possibili scenari futuri dello sviluppo della città basandosi su un’analisi dei fenomeni socio-culturali provenienti dagli ambienti non istituzionali e che, a mio parere, potrebbero contribuire a dare una precisa impronta da seguire per uscire dalla crisi in cui si trova la città.
Inquadramento della trasformazione: dalla Torino grigia a quella di “alcuni” colori
Alla fine degli anni ’80, Torino si presenta come un unico agglomerato urbano – con più di un milione e trecentomila abitanti, formato da aree centrali in parte abbandonate al degrado e alla delinquenza (come le aree di San Salvario e/o Porta Palazzo), e da grandi e distanti periferie costruite negli anni ’60 e ’70 come dormitori per le manovalanze emigrate dall’Est e dal Sud d’Italia( Le Vallette e/o la Falchera) – all’interno del quale la Cultura non è considerata uno degli asset principali della città.
La GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (collezione seconda per importanza solo a quella della GNAM di Roma) è chiusa dal 1959 (riaprirà poi nel 1993); il Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama versa in condizioni di degrado spaventose (verrà chiuso nel 1988 per lunghi restauri che lo terranno in parte inagibile al pubblico per anni); la Mole Antonelliana (oggi Museo Nazionale del Cinema) non ha alcuna destinazione d’uso e per lo più rimane chiusa al pubblico dalla fine degli anni ’70.
In un panorama di generale disinteresse sociale per la Cultura e le Arti, iniziano a delinearsi interessanti spinte alla trasformazione.
Se da un lato l’Amministrazione intravede le potenzialità esistenti dietro l’investimento in Cultura (è del 1984 la nascita del Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli), dall’altro i movimenti di base torinesi, in alcuni casi vicini agli ambienti anarchici, iniziano a proporre spazi che spingono la popolazione a riappropriarsi delle aree più critiche della città.
Luoghi come il C.S.O.A. El Paso Occupato offrono una complessa programmazione musicale e molti spettacoli teatrali (storico il suo motto “né centro, né sociale”).
L’Associazione Culturale Hiroshima Mon Amour, nata nel 1986 nel bel mezzo dell’allora degradato quartiere di San Salvario, ospita e produce spettacoli ed eventi culturali sia locali che internazionali.
Questa spinta dalla base della società, che d’altronde anche Oscar Giannino (incontrato durante l’interessante ciclo di incontri “La Città Visibile” organizzato al Circolo dei Lettori di Torino) riconosce essere una caratteristica comune del DNA piemontese nello sviluppo della società democratica, unita al fatto che la FIAT sta iniziando a contrarre il proprio investimento su Torino spostando buona parte della produzione in altri paesi, aiuta l’Amministrazione Locale ad immaginare un panorama diverso da quello scritto negli anni ’60.
Nel corso degli anni ’90, col governo Castellani, le priorità dell’Amministrazione sono le trasformazioni urbanistiche, il rilancio delle attività alternative alla produzione industriale come il Terziario e il settore della Cultura, ed il tentativo di portare a Torino l’attenzione internazionale.
Questa forte volontà politica alla fine degli anni ’90, in vista degli impegni presi per il decennio a venire (in particolare l’organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali nell’area urbana ed extraurbana), costituisce il primo importante motore per la creazione di specifici gruppi di lavoro che studino e portino a compimento il primo Piano strategico per la promozione della città redatto in Italia; un vero e proprio programma di lavoro con le indicazioni sugli obiettivi da raggiungere per lo sviluppo urbano e le azioni utili a questo scopo.
Al termine di questo lavoro – che è durato circa due anni e che ha coinvolto oltre 1000 persone, tra professionisti e attori dei Settori Pubblico e Privato – il Governo della città insieme a tutti i partner istituzionali decidono di creare un vero e proprio strumento di attuazione del Piano stesso, dando il via il 09 Maggio 2000 all’Associazione Torino Internazionale, preposta all’attuazione del Piano Strategico attraverso una costante e articolata azione di monitoraggio, stimolo, coordinamento e revisione.
È in questo panorama che Torino, alle porte del nuovo millennio, si ritrova ad aver superato un decennio di grande difficoltà sociale (è di questi anni l’aumento vertiginoso dell’immigrazione dai molti paesi extra-comunitari, che di fatto trasforma definitivamente la faccia sociale della città) e ad avere riscoperto alcune dinamiche operative legate al proprio vissuto politico e territoriale.
Se da un lato, infatti, la Politica investe fortemente nella creazione di strutture organizzate che operino sul territorio e gestiscano il pacchetto del “ritrovato patrimonio culturale torinese” – è di questi anni la nascita delle Fondazioni Museali, dell’adozione del nuovo statuto della Compagnia di San Paolo, dell’inizio dei grandi restauri e della nascita del Consorzio della Reggia di Venaria Reale, etc.) – dall’altro si assiste ad un proliferare di nuove idee, progetti ed iniziative che trasformano la città in uno stage per eventi aperto 24 ore su 24.
Torino, in un flusso continuo di ri-trasformazioni, mette in campo valori diversi, a volte propri, a volte assorbiti dalle nuove comunità presenti in città. Sono gli anni del movimento No Global, della nascita di Slow Food e del Kilometro Zero, della speculazione edilizia sulle aree del Centro con forti tensioni sociali che di colpo diventano quartieri alla moda, degli studenti Erasmus che tornano avendo visitato il resto del Mondo.
Sono gli anni in cui si intravede il frutto di un percorso sociale sotterraneo, o forse parallelo a quello della Politica, che di fatto disegna una Torino a metà tra un sobrio clientelismo – a volte legato a quegli ambienti della Politica borghese ed intellettuale che, più che impadronirsi sfacciatamente del sistema, preferisce dettarne le regole così da poterlo controllare – e una moltitudine di gruppi più o meno organizzati di cittadini che iniziano ad impadronirsi di modi e spazi urbani per trasformare la qualità della vita del proprio intorno. Ne diventa un esempio quasi epico, la piccola rivolta pacifica scaturita dalla rimozione da parte delle autorità delle “seggiole azzurre di Largo Saluzzo” di San Salvario, (per la cui interessante storia rimando alla sitografia dettagliata). Ed è dalle richieste della Base, insieme a qualche consigliere comunale illuminato, che nascono e si sviluppano la Casa del Quartiere di San Salvario ed il Centro per il Protagonismo Giovanile “El Barrio” della Falchera, le Agenzie di Sviluppo Locale (la più famosa forse è quella nata dalle ceneri del Progetto The Gate di Porta Palazzo). Essi diventano punti di riferimento per le comunità che vivono nelle aree critiche di Torino, organizzando corsi, spettacoli culturali, momenti di scambio e confronto tra le molteplici realtà etniche residenti, appoggiando e sostenendo associazioni che organizzano manifestazioni negli spazi pubblici.
Gli spazi sono quasi sempre dati a disposizione dall’Amministrazione, i fondi per le ristrutturazioni sono un mix tra finanziamenti pubblici, interventi di fondazioni bancarie e bandi europei, ma poi la gestione integrale degli spazi viene affidata a cooperative o associazioni giovanili che se ne prendono carico e cura in ogni aspetto e ne decidono azioni e programma.
Non dimentichiamo poi tutto quell’attivismo legato al mondo cattolico che, in alcuni casi, diventa punto di riferimento e di contatto tra comunità etniche e religiose diverse da quella italiana e che, sempre più spesso nell’esempio di sacerdoti aperti al confronto con le altre culture, diventa strumento di comunione d’intenti per migliorare le condizioni di vita nei vari quartieri della città.
Intorno a queste realtà però, a scopo soprattutto sociale, nascono anche iniziative private di gruppi che, a volte per gioco a volte per business, individuano spazi di manovra innovativi in cui realizzare le loro idee. Gli esempi sono molti, ma ne citeremo un paio in particolare per analizzarne le dinamiche operative.
Case studies. “Paratissima” e “LOV NIGHT#3 VANCHIGLIA OPEN LAB”
Paratissima nasce nel 2005, dall’idea di 5 giovani professionisti torinesi che in precedenza avevano già sperimentato nuovi modi di sfruttare lo spazio urbano dando vita al collettivo “Parassito”.
Ognuna delle iniziative organizzate dal gruppo “Parassito” aveva il chiaro intento di mostrare una realtà culturale alternativa a quella istituzionale. Tutti gli eventi avevano un comportamento parassitario, si nutrivano infatti del marchio ufficiale di una data iniziativa per estrapolarne una caratteristica identitaria da riproporre fuori del contesto istituzionale.
Paratissima nasce in alternativa (ed in concomitanza) alla Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Torino Artissima, e viene nella sua prima edizione presentata in un appartamento privato di 400 mq. in ristrutturazione e concesso a titolo gratuito.
Viene allestita una mostra di giovani artisti, sono invitati tutti gli amici con un tam tam di telefonate e alla fine della serata gli organizzatori contano più di 300 passaggi di persone interessate.
Da questa prima esperienza, la crescita è esponenziale. Dopo un paio di edizioni itineranti in altri spazi al chiuso, un’affluenza di pubblico che cresce in maniera quasi incontrollata e nessun fondo pubblico a disposizione se non un Patrocinio gratuito da parte del Comune di Torino, gli organizzatori capiscono di non poter più permettersi economicamente la gestione di ambienti circoscritti e decidono di tentare la strada dell’evento all’aperto. Qualche conoscenza tra i commercianti del borgo di San Salvario, l’arrivo di molti altri partner, giovani avvezzi alla comunicazione e al marketing, alcuni fondi da parte dell’Amministrazione che ora coglie l’importanza del fenomeno, e il gioco è fatto. L’edizione 2008 di Paratissima inaugura il sodalizio con San Salvario.
Oggi Paratissima è un evento che dura più giorni, che coinvolge tutto il borgo, che attira 60.000 visitatori e che permette a centinaia di artisti, con le proprie modalità creative ed espositive, di essere visibili al grande pubblico. Paratissima è una macchina molto ben studiata, che ha saputo trovare una dinamica di finanziamento efficace ed indipendente. Infatti, l’idea è che ogni esercizio commerciale del borgo può rendersi disponibile ad esporre un artista, pagando una quota di partecipazione, così come farà ogni artista per poter partecipare. Ci sono poi una serie di sponsor privati che forniscono sia denaro che sponsorizzazioni tecniche necessarie per la realizzazione dell’evento. Infine ci sono le fondazioni bancarie, il Comune di Torino e la Circoscrizione 8, che forniscono dei fondi ma soprattutto agevolano e supportano fortemente il progetto facilitandone il confronto con la burocrazia.
In ultima analisi, la formula vincente è la divisione equivalente dei fondi necessari in quattro porzioni. Ognuna di queste parti apporta il 25% del budget e questo consente di essere liberi ed indipendenti da ognuno di loro.
Paratissima è l’esempio di come si possa creare un contenitore efficace di creatività, rimanendo indipendenti dall’Amministrazione Pubblica, lavorando sul fundraising privato grazie ad un’idea vincente che piace e dividendo parte dei costi tra partecipanti in modo da creare una massa critica iniziale che sia garanzia per gli eventuali finanziatori esterni.
La parola magica quindi è CONTENITORE, uno spazio alternativo in cui sono invitati tutti, questo sì, senza alcun giudizio critico sulla forma o sulla qualità del prodotto esposto, così da dare a tutti una chance.
Paratissima si caratterizza per essere un incubatore di creatività, per dare la possibilità a chi vuole di esprimersi. Sulla qualità dei prodotti artistici presentati l’organizzazione non interviene, lasciando che sia il pubblico a giudicare.
LOV Night – Vanchiglia Open Lab è invece un esperimento nato nel quartiere Vanchiglia attiguo al Centro, storicamente area di botteghe artigiane, che vuole mettere in risalto la qualità artistica e creativa dei propri residenti.
Il progetto nasce dalle riflessioni di Michele insieme ad altri 2/3 amici, tutti residenti o operanti professionalmente nel borgo. I due principi che spingono la nascita di questa manifestazione sono la voglia di realizzare un network di professionisti e creativi del quartiere che operino congiuntamente per migliorare sia l’aspetto commerciale sia la qualità della vita dell’area interessata, sia il desiderio di farsi conoscere al di fuori, mostrando ad un pubblico più vasto le capacità degli artigiani e degli artisti residenti nella zona.
L’organizzazione ci tiene a mantenere ben separati i differenti livelli di partecipazione tra i LOVER (ovvero i creativi che organizzano per la manifestazione un vero e proprio evento) e tutti gli altri commercianti o gruppi di privati che invece vengono invitati a sostenere l’evento rimanendo aperti ma che non devono (in teoria!) e non possono apportare alcun tipo di contenuto creativo alla loro partecipazione. Questo ovviamente perché uno dei paradigmi fondamentali della manifestazione è la qualità dei progetti artistici e creativi.
L’evento dura una sola sera, non ha per scelta quasi alcun tipo di finanziamento da parte dell’Amministrazione Pubblica se non il solito Patrocinio gratuito, raduna una rete di un centinaio di artisti e creativi che pagano una quota per finanziare la manifestazione ed è arrivato alla sua (prossima) quarta edizione con un successo di pubblico che supera le 10.000 presenze nel borgo.
Le differenze, quindi, tra le due manifestazioni sono sostanziali: la prima si presenta come un grande contenitore di proposte artistiche democraticamente libere di proporre il proprio progetto, e dunque esportabile in qualsiasi altro contesto; la seconda come un network di attori, già professionisti della creatività, che vogliono dialogare tra loro e con gli altri al’interno del proprio contesto territoriale.
Cosa le accomuna? La capacità di rendere sostenibile un evento di medio-grandi dimensioni con business plan costruiti in (gran) parte sull’autofinanziamento, ed il fatto che in entrambi i casi il progetto non vuole vincolarsi all’Amministrazione così da rimanere libero di esercitare le proprie idee e di proporre i propri scenari. Insomma, non sono in cerca del posto fisso!
Conclusioni. Torino, che fai domani?
L’Amministrazione di Torino in questi anni ha fatto un grande sforzo per modificare quel DNA di città produttiva, grigia e disinteressata al proprio patrimonio culturale e creativo che l’ha contraddistinta per tutta la seconda metà del XX secolo.
La città ha saputo cambiare umore. Ha raccolto sfide (come le Olimpiadi) che le hanno dimostrato di essere in grado di vincere, che le hanno permesso di misurare le proprie potenzialità e di tornare a credere in sé stessa. Torino ha puntato sul totale rinnovamento dei propri asset, utilizzando le parole Cultura e Innovazione come fondamenti del proprio progetto di sviluppo futuro, investendo eccezionali risorse economiche per costruire un contenitore territoriale ed urbanistico idoneo alla ricezione di grandi flussi di professionisti, giovani e creativi, che vogliano scegliere la città come luogo di crescita professionale e di vita privata sostenibile.
In sostanza, ha puntato sul contenitore cercando in questo modo di diventare un forte attrattore per i contenuti.
Allo stesso tempo però, la cittadinanza ha tirato fuori il proprio carattere, ha saputo fare appello alle proprie tradizioni sociali, alla propria storia di responsabilità civile.
La città ha risposto apprezzando lo sforzo fatto e cambiando modo di usufruire degli spazi urbani. Se ne è riappropriata, ne è diventata fiera e ne ha difeso l’indipendenza.
La forza di Torino, in questi anni, è stata la capacità di scommettere su sé stessa, indipendentemente dal percorso avviato dal resto della nazione. La città aveva ritrovato la propria grande tradizione civile, la capacità di pensare prima all’interesse pubblico che a quello privato.
Ha però, dopo questi anni di grande fermento, anche rallentato la sua corsa, forse a causa delle paure per la crisi economica e politica nazionale.
Proprio nell’analisi dell’ultimo periodo è, infatti, interessante osservare come alcune scelte politiche potrebbero essere considerate il segno di una frenata importante da parte della popolazione verso il processo di sviluppo della città.
Maurizio Crosetti, in un suo interessante intervento , fa notare come la mancata candidatura del cosiddetto “sindaco tecnico” a favore del “sindaco politico” (Francesco Profumo VS Piero Fassino) possa essere considerata una marcia indietro nei confronti del futuro auspicabile e necessario alla città per uscire dalla crisi. Profumo rappresentava infatti quella sperimentazione torinese (già testata nella scelta di Valentino Castellani) che voleva alla guida della città figure tecniche, in grado di coniugare le necessità di sviluppo con le grandi capacità innovative e di ricerca di una delle realtà di eccellenza del nostro contesto, il Politecnico di Torino.
Forse non è un caso che quello stesso Francesco Profumo sia poi diventato Ministro della Pubblica Istruzione (settore che dovrebbe essere considerato fondamentale nello sviluppo di una città che vuole puntare sui propri poli universitari d’eccellenza e sull’Innovazione) di un Governo, tecnico questa volta, chiamato appositamente a salvarci da potenziali default.
Nel frattempo, il governo politico della città, indubbiamente e comunque di grande esperienza, si trova di fronte alla sfida di mantenere livelli di Welfare accettabili in una situazione economica a dir poco preoccupante.
In questo contesto, la creatività torinese è ferma al bivio, confusa dai nuovi paradigmi, dal fatto di essere stata coccolata e poi lasciata sola, incapace di gestire la frustrazione dovuta alla situazione di crisi politica, sociale e morale, ma soprattutto di immaginarsi adulta, indipendente, di prendersi la responsabilità di andare avanti da sola, in un momento in cui forse non possiamo pretendere che la Cultura sia l’unica priorità a cui debbano riferirsi il Sindaco e la sua giunta.
In molti infatti auspicano un ritorno al senso di responsabilità, a quell’indipendenza con cui i torinesi hanno dimostrato di saper portare avanti le proprie istanze.
Suor Giuliana Galli, vicepresidente della Compagnia di San Paolo, ci ricorda citando a sua volta JFK, la nota frase “Non chiedere quello che il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa tu puoi fare per il tuo Paese”. Forse è proprio questo il passaggio difficile e obbligato che la Cultura torinese deve saper fare, liberandosi delle sue paure, lasciandosi abbracciare da quell’idea di sviluppo che non vuol dire rinnegare il proprio vissuto e le proprie tradizioni, ma che permette la nascita di nuovi orizzonti e la possibilità di attrarre nuove opportunità.
Soluzioni non se ne sono ancora trovate; l’unica che auspico è quella di ricominciare, anche sulla base dell’excursus qui presentato, dal basso, insieme e con un obbiettivo comune, senza aspettarsi appoggio istituzionale ma confidando nella propria forza, lasciando stare vecchi clientelismi e nuove ricerche del sé, che possono portare unicamente alla consapevolezza di essere soli e senza un futuro da condividere.
Bibliografia
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http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/305012/ – E. Minucci, “San Salvario, tornano le sedie”, La Stampa.it Cronaca Torino, 23 Agosto 2010
http://sunsalvario.blogspot.com/2011/04/rassegna-stampa-san-salvario-sono.html – Blog “Sun Salvario Views”, Rassegna Stampa: “A San Salvario sono tornate le sedie azzurre”, da P. Italiano, La Stampa.it Fotogallery, 17 Aprile 2011
http://www.paratissima.it/ – sito web di Paratissima 2011
http://www.vanchigliaopenlab.it/ – sito web di Vanchiglia Open Lab