2015-03-09

Bene, insomma, sappiamo che in realtà la Street Art non è sempre vista di buon occhio. La giurisdizione che le sta dietro è abbastanza restrittiva ed è anche comprensibile, perché c’è grande differenza tra ciò che è Arte e ciò che è considerabile come atto vandalico. Sia ben chiaro che la sottoscritta apprezzi particolarmente questi “vandali” al punto che si è fatta fare un murales di 2 metri per 4 in camera.

Ma questi sono dettagli.



Il punto della situazione è che: un discorso è colorare il muro di camera tua, un discorso è disegnare su un monumento. Ma vabbè dai, mi viene da essere anche abbastanza cinica a riguardo perché chi fa Arte, l’Arte la rispetta.

Un Artista, non va a spennellare la parete bianca marmorea del Vittoriano.

O si?

Ma che poi io sono qui a parlare di colorare, spennellare, disegnare. Mi mancano le matite acquarellabili e un set di pennarelli, che potrei quasi parlare della StreetArt come un compito a casa delle scuole elementari.

Non è il caso.

Indubbiamente le maestre delle elemenatari hanno avuto il buonsenso di lasciar sfogare la loro creatività, quindi sicuro sicuro che hanno iniziato con le mine rotte nel temperino e schiacciando la punta arrotondata dei pennarelli perché erano della filosofia “più premi forte la punta sul foglio ‘più prima’ finisci di colorare”.

Non mentite ci siamo passati tutti.

Abbiamo iniziato con le matite tutte belle in ordine e in sfumatura nel nostro astuccio “a libro”, passando per i pennarelli prima quelli grossi poi quelli fini quando impari a stare dentro i contorni, improvvisare qualcosa con i gessetti e perché no anche pennelli e acquarelli.

Alla fine noi ci siamo fermati.

Basta: so stare dentro i contorni, distinguo il rosso dal bordeaux, ho capito che tentare di mantenere le matite in sfumatura è un’impresa impossibile, che tanto non so aspettare che la tempera si asciughi e quindi fisso che sbavo il lavoro di una giornata e vabbè.

Mettiamo da parte il nostro talento incompreso da Sbavatori-Professionisti-Di-Tempera.

Poi abbiamo iniziato a sbavare in un altro modo, ovvero davanti ai capolavori di chi apparte rosso e bordeaux, vede anche il porpora, il cremisi e l’amaranto.

Si considera la nascita di questo fenomeno scarabocchioso del Graffitismo, intorno agli anni quaranta quando i soldati americani disegnavano “Kilroy was here” nei posti dove si fermavano o accampavano. Cioè in realtà se proprio vogliamo essere scrupolosi, i primi vandali a imbrattare pareti sono stati gli Homo Sapiens-E-Qualcosa in qualche grotta dispersa, dove hanno reso onore del loro passaggio e delle loro avventure con qualche belva assurda, o dove hanno immortalato il momento della scoperta del fuoco. Poi si, qualche millennio dopo ci sono stati gli americani che hanno iniziato a disegnare questa sorta di Uomo-Pupazzo con un naso spropositato e la scritta sopracitata di “Kilroy was here”.

Ora, mi preme dire una cosa: dietro a questo Kilroy, ci sono leggende metropolitane, leggende di guerra, leggende di ansie Hitleriane sul fatto che Kilroy fosse una spia, leggende ormai perse e bla bla bla. Il fatto è che questo Kilroy non si capisce seriamente chi sia. Io ho passato un pomeriggio intero a cercare in ogni meandro di internet e anche in qualche libro trovato in biblioteca, ma boh non ci sono saltata fuori.

Embè, mica potevo pretendere di risolvere il mistero Kilroy in mezza giornata.

Comunque sta di fatto che da questo fenomeno, nel giro di qualche decennio, si sono iniziati a trovare in giro per le strade i primi timidi tentativi di mostrare la propria arte al mondo.

Un po’ come tutto intorno agli anni ’70, gli artisti hanno indirettamente incominciato ad influenzarsi a vicenda sullo stile delle loro proposte. Si vedono i primi tag, si inizia a sentire in giro per le città l’odore di bomboletta spry e di sfida tra writers che esternavano la loro arte e il loro bisogno di condividere e rendere visibile qualcosa che li rappresentasse.

Le persone sono impazzite: i writers non erano compresi, non erano proprio concepiti.

Si sono trovati ad assistere a campagne contro la loro Arte, le loro produzioni eliminate dagli occhi della città e hanno visto repressa ogni forma di libero arbitrio.

Me li immagino tipo dei fuggitivi, che in punta di piedi arrivano al deposito treno, improvvisano velocemente e un po’di bianco qui, del giallo di qua e perché no una spruzzata di blu qui sotto che ci sta sempre bene e via.

A gambe levate.

Quando poi alle 6 del mattino quel treno fa la sua prima fermata, sicuramente un brusio infastidito si sarà alzato tra i pendolari, ma almeno il treno era gasato di una personalità tutta nuova. Ad ogni modo, treni ed eventuali detenzioni a parte, i writers non si sono arresi, ma si sono anzi evoluti. Nuovi stili hanno incominciato a mettere su strada, o su muro, nuova concorrenza che ha dato il via a nuovi stimoli e nuovi artisti sono emersi. Vortice incontenibile d’ispirazione, le città hanno preso nuova vita.

Perché lasciare nuda la facciata di una fabbrica abbandonata? Rientra tra quelle che hanno bisogno di una botta di autostima per tornare ad avere un senso, o per lo meno un uso, o anche solo un tono che non sia il grigio e lo sterile.

Perché non dare una nuova attitudine al treno che viaggia per tutto il Paese? Alla fine dai, anche lui rientra tra il grigio e lo sterile e il tremendamente triste, sarebbe sicuramente un teno più fiero se tutti si girassero a guardarlo mentre fa stridere i freni sui binari, ma intanto veste con stile.

Perché lasciare dei muri rovinati? Cioè, alcuni muri sono esonerati dai restauri. Tipo di quelli che ci passi davanti ogni mattina e pensi “ebbambam, dovrebbe far qualcosa”, di quelli dove l’intonaco cade a pezzi e il colore è sbiadito. Per fortuna qualcuno con uno stancil e una bomboletta, una notte ha fatto un opera di bene agli occhi di tutti. E al comune che sicuramente ha risparmiato cash e non si deve più porre il problema di renderlo presentabile. Ah no scusate. Mi sa che ne spende un paio per cancellarlo.

Tutto ciò, se fatto nel rispetto dell’Arte passata e futura o comunque nel rispetto delle superfici e delle strutture, lo reputo un’espressione artistica degna.

Degna di lasciare una scia. Che sia graffitismo, che sia arte normografica (stancil), che si utilizzi spry o vernice, non ha importanza. Se fosse stato fatto su tela ed esposto in galleria, probabilmente avrebbe lo stesso valore di qualsiasi altra opera esposta ed in vendita.

La loro arte, invece, non è in vendita: è in gentile concessione a tutti noi.

In realtà, mi verrebbe da dire solo “grazie”.

Quindi grazie, per la vostra arte tendenzialemente illegale.

C’è chi non si è mai lasciato intimorire dalla legge, c’è chi fa i propri lavori al sole senza timore, c’è chi grazie alla sua dote trasmette messaggi importanti.

Basta poco alla mente umana per vedere le cose da un’altra prospettiva. Quando la nostra pupilla s’imbatte in un’espressione artistica, ne assorbe i colori, e fa scattare un lavoro di sinapsi e impusi e saette dentro la nostra membra grigia che finisce per influenzare il nostro umore in un secondo e renderlo subito positivo.

È un fenomeno sensazionale.

Sofia Bergami


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