2014-02-25

Quindi ci volevano una buona manciata di irriverenza, una generosa dose di buonumore, un pizzico di glamour (quanto basta) da mescolare con una generosa dose di creatività. Anzi, no, scusate, con una dose DOPPIA  di creatività! Una volta ottenuto un impasto mica troppo omogeneo ma-va-bene-così, occorreva metterlo in una capiente teglia very heart-shaped e il tutto poteva essere passato in forno, a temperatura violenta, per circa un mese.

Da servire con una buona dose di goloso fast-forwarding marketing.

Già da qualche ora prima il tam-tam era goloso: il rumour riguardava la nuova sfilata MOSCHINO by Jeremy Scott e si parlava di una ispirazione very American (e MOSCHINO, secondo le parole di Jeremy, stava puntando al mercato americano, ancora poco sfruttato): Mac Donald’s. Qualcuno diceva di avere visto borse very Happy Meal, Chanel Jackets giallo-rosse, modelle-cameriere con lucidi vassoi addobbati con golosi Mac Chicken.

Tutto vero. Ma quello che nessuno immaginava era che dalle 50 uscite della sfilata, la Maison aveva estrapolato 8 gustosi e selezionati items inspired by Mac Donald’s da vendere on-line e in pochi selezionati stores (10 Corso Como, Colette, Browns, Opening Ceremony, Hudson Bay e Luisaviaroma) dal giorno successivo alla sfilata.

Una vera e propria operazione di marketing dove l’ispirazione Fast & Junk Food avvicina il Ready To Wear al Fast (e a volte Junk) Fashion, rendendo immediatamente disponibili gli articoli must: la borsa matelassé rossa con la M gialla, la già mitica Tee indossata da Jeremy con la scritta “I DON’T SPEAK ITALIAN BUT I SPEAK MOSCHINO”, la custodia French Fries per iPhone, il mini abito giallo rosso e il maglioncino. Prezzi (quasi) politici, almeno nel rispetto del prodotto high quality, per una capsule very clever che ha un illustre precedente: la collezione Versus by Anthony Vaccarello, immediatamente disponibile On-line.

Il Prêt à Porter continua una tendenza manifestatasi già da alcuni anni: avvicinarsi al fast fashion. Ma se una volta essere moderni significava farsi produrre da H&M (do ya remember Versace, Comme des Garçons, Matthew Williamson, Marni?), questa volta sembra essere tutta una questione di tempi e, in un mondo dove tutto è assolutamente FAST, anche l’abbigliamento high quality comincia ad adeguarsi. E questo dimostra intelligenza, al di la del fatto che oramai da tempo, i “cervelli”creativi e non solo, passano indistintamente dai due settori, una volta molto lontani tra loro (tipico esempio è l’assunzione, lo scorso anno, da parte del Gruppo Coin di Caterina Salvador, per molti anni responsabile stile della donna Dolce & Gabbana).

Ma a questo punto bisogna tornare indietro nel tempo, a una decisione molto avanti per una Casa di Moda Italiana: affidare un marchio mito non semplicemente a Jeremy Scott, responsabile del

REVAMPING di ADIDAS (le collezioni ADIDAS by Jeremy Scott, le scarpe in particolare, sono un assoluto Must-Have!), ma anche a una stylist come Carlyne “I Am A Legend” Cerf, colei, e questa è storia della moda, che ha osato, BACK in 1985 ( or something like dat), abbinare un jeans distrutto a uno sweater gioiello by LACROIX, facendone una mitica Vogue cover. In a few words la prima a credere, in tempi non sospetti, che lo sportswear avrebbe potuto convivere con il Prêt à Porter (ah, scusate!dimenticavo che in quegli anni anche la mitica Carine Roitfeld avrebbe prodotto una foto assolutamente ahead of its times, in cui una Chanel si abbinava a jeans strappati!).

Due geni, in a few words, per un marchio Cult che aveva bisogno di una nuova flebo di vitalità. Quindi sfila Mac Donald’s con pelliccie giallo rosse e borse bicolori matelassé ma anche la giacca by Cocò che tanto era cara a Franco Moschino o ancora la pelle oro, vero trademark Made In Moschino, abbinata à la Carlyne Cerf, c’est à dire in an absolute STREET-BITCH way e poi, come se non bastasse, la cintura logo MOSCHINO diventa fetish per abiti davvero bondage, inaspettatamente cool, assolutamente must-have! Non viene dimenticata la couture con una serie di abiti finali, ovviamente irriverenti, di ruffles stampate che, in some way, riportano allo spirito originario, sartoriale, di Franco.

This is ti diceva Michael (che Dio l’abbia in gloria!) e alla fine, critiche o elogi a parte, rimangono le modelle che parlavano di questa follia creativa, di Jeremy e Carlyne che abbinavano colori, accessori, street rings e Golden caps come se non ci fosse un domani ma sopratutto resta una collezione che ha almeno tentato, al di la del doveroso giro negli archivi, di mostrare lo spirito vero dell’unica Maison italiana che non si è mai presa sul serio.

Per questo motivo, scusa Miuccia (Prada), scusa Phoebe (Philo) e dimenticavo, scusami anche tu Alexander (Wang) but…

I’M LOVIN’ IT!

WITH LOVE

Alessandro Perriello



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