2015-06-05

Se moda e arte sono due realtà in comunicazione continua, un motivo ci dev’essere. Un noto curatore italiano ha affermato, qualche tempo fa in un suo scritto, che “l’arte contemporanea siamo noi, così come ci vediamo oggi nello specchio del presente”. Affermazione verissima che, se ci pensate un attimo, calza a pennello anche con la moda, non solo perché lo specchio in questione è quello materiale (e che non perdona), con il quale ci confrontiamo ogniqualvolta indossiamo una t-shirt o un paio di pantaloni nuovi di zecca, bensì perché la superficie riflettente è anche quella “immateriale”, quella che s’identifica in un tutt’uno con la moda quando questa diviene, appunto, “specchio dei tempi”. Arte e moda sono potentissimi catalizzatori sociali, due mondi che lavorano sullo stesso piano, intercettando i cambiamenti di un’epoca e trasformandoli, ciascuno con il proprio linguaggio specifico, attraverso il proprio sistema di simboli.

E’ un po’ questo, insieme a tantissimi altri, il tema della mostra “Fashion as Social Energy”, in cartellone a Palazzo Morando|Costume Moda Immagine, fino al prossimo 30 agosto. L’esposizione, curata da Anna Detheridge, teorica delle arti visive, nonché Presidente di Connecting Cultures (agenzia di ricerca no profit) e da Gabi Scardi, storica dell’arte e curatrice, affronta, per la prima volta in Italia, il rapporto tra arte e moda, con l’ausilio di opere realizzate da quattordici artisti di fama mondiale tra italiani e stranieri, che spaziano dal video all’installazione. Il profondo cambiamento in atto dei codici di abbigliamento e del comportamento, la contaminazione delle tradizioni tra oriente e occidente, i meccanismi nascosti e in continua trasformazione d’inclusione ed esclusione, ma anche la vulnerabilità del corpo e la fragilità delle identità personali, o ancora, l’evoluzione della tecnologia e dell’innovazione nei materiali e nei tessuti sempre più “immateriali”; queste sono solo alcune delle tematiche, attualissime, che “Fashion as Social Energy” affronta, in un’esposizione che non manca d’indagare, tra gli altri, anche la crescente consapevolezza che le persone hanno nei confronti dell’ambiente e del lavoro altrui.

Un percorso, questo allestito all’interno del primo piano del prestigioso Palazzo Morando, che si presenta come un insieme di storie nelle quali la dimensione singola e quella collettiva si uniscono, e che accoglie il visitatore con “Pecking Order”, un’installazione-performance, appositamente creata per questa mostra dall’artista olandese (ma naturalizzata in Indonesia), Mella Jaarsma. L’opera, leggermente inquietante, consiste in un abito, (indossabile), che è anche un tavolo, fatto di pelle di gallina, apparecchiato, e sul quale il “pasto caldo” è composto proprio dall’animale sopra citato, morto, quasi a sottolineare come anche l’uomo sia un animale, che molto spesso si dimentica della violenza e del suo dominio di sopraffazione. Altra opera interessante è l’installazione dell’artista ceca Kateřina Šedá, che altro non è, che un grande numero di camicie, tutte identiche tra loro, che sono l’esito di un progetto che ha visto coinvolte molte famiglie di un quartiere residenziale di Brno. L’artista, infatti, si è recata al campanello delle diverse case per annotare il nome delle famiglie, di modo tale da poter inviare, a circa mille abitanti, le camicie da lei stessa disegnate, accompagnate da una lettera che suggeriva che a inviare l’indumento fosse stato un altro residente. C’è forse un modo migliore per favorire le public relations tra vicini? No decisamente, nulla è più adatto che un bel cadeau fashion. A modo loro sono “cool” anche gli zaini artistici di Nasan Tur, tedesco di origini turche. Per l’occasione milanese Tur ha ideato una serie di zaini concepiti per rendere possibili forme estreme di mobilità e autosufficienza. In una vita frenetica, sempre di corsa e dettata da ritmi serratissimi, il bagaglio comodo da portare ovunque si voglia, diventa accessorio immancabile nel guardaroba di molti. Beh, se volete provare l’ ebbrezza d’indossare uno di questi zainetti sui generis (c’è quello per cucinare, per suonare, o anche per scassinare!), a Palazzo Morando potete farlo, prendendo in prestito proprio una delle opere di Nasan. E’ un duo italiano invece, a firmare “Io in testa”, un progetto realizzato a quattro mani da Luigi Coppola e Marzia Migliora, che con i loro copricapi a barchetta come quelli dei muratori, o fabbricati con carta di giornale, c’invitano a “indossare” letteralmente la cultura, non “soffocando” mai la nostra libertà d’espressione. La quarta opera che “Fashion as Social Energy” ci propone ha bisogno, in realtà, di ben poche presentazioni. Si tratta della “Venere degli stracci” del “poverista” Michelangelo Pistoletto che, con una riproduzione della Bellezza classica con il volto “affondato” in un cumulo di stracci, ci spinge a riflettere su quell’abitudine tutta occidentale che è il consumismo sfrenato. L’artista greca Maria Papadimitriou con il suo costume “Yorgos Magas” fa invece riferimento alla cultura e all’estetica dell’etnia Rom, evidenziandone l’orgoglio di unicità culturale, pur con abiti sovraccarichi di accessori e pendagli kitsch ed eccessivi. Le opere di Andrea Zittel usano la moda come un codice: le sue uniformi si propongono di alleviare l’ansia prodotta dall’universale interrogativo su cosa indossare, perché sono indumenti sobri che cercano di fornire una risposta a funzioni ed esigenze diverse. Assume addirittura un ruolo “riabilitativo” la moda di Wurmkos, laboratorio artistico fondato da Tommaso Campanella che in collaborazione con la bassa sartoria di Livorno, ha creato una capsule collection dal titolo “Vestimi”, realizzata da persone con disagi psichici. L’italiana Rä di Martino ha creato invece “The show MAS go on”, un lungometraggio di trenta minuti girato nei grandi magazzini popolari di Roma, MAS. E’ l’artista sudcoreana Kimsooja, a indagare sull’etica dei capi che quotidianamente indossiamo, mettendoci a confronto con la realtà di Mumbai, dove ogni giorno sono al lavoro all’aperto oltre diecimila persone che tingono o trattano i tessuti destinati alle filiere produttive di tutto il mondo. L’abito si fa poi veicolo di storie nella visione di Claudia Losi che “smantella” una balena a grandezza naturale, realizzata interamente con stoffe, inviando poi le parti a una serie selezionata di persone tra cui Antonio Marras, che trasforma il tessuto dismesso in giacche. Infine, i “Refuge Wear” dei coniugi Orta sono concepiti come risposta alla crisi economica globale, mentre per Otto von Busch la presenza eccessiva dei marchi nella moda è un duro colpo per la nostra immaginazione, per la spontaneità e per il desiderio di sperimentare, e si scaglia contro alcuni brand che detengono il monopolio “modaiolo” (leggi Karl Lagerfeld), colpevoli di non farci scegliere liberamente.

Spunti di riflessione ultra contemporanei, quelli di “Fashion as Social Energy”, che ci mostra la moda per quello che è realmente: una potentissima energia sociale, a braccetto con l’arte, ovviamente.

“FASHION AS SOCIAL ENERGY”

QUANDO: FINO AL 30 AGOSTO

DOVE: PALAZZO MORANDO|COSTUME MODA IMMAGINE

www.fashionasocialenergy.org

Alessandra Zauli



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