Il musicarello ai tempi di “Come Mai”
Max Pezzali non passa mai di moda, come gli omicidi in famiglia, e ne abbiamo prova ancora una volta oggi, vedendolo sulla poltrona di coach di “The Voice of Italy”. Vederlo così sullo schermo televisivo mi ha fatto venire la strana voglia di sperimentare la visione del suo film a distanza di anni. Perché si, Max Pezzali ha fatto un film, lo sappiamo bene.
Era il 1998, Mauro Repetto era sparito da quattro anni e lavorava già come pupazzo a Disneyland (come voleva la leggenda a lungo tramandata). Max invece portava avanti il mito che erano gli 883 la cui musica era ormai diventata patrimonio nazionale.
Ogni popstar affermata si sente giustificata a trasportare il suo stesso fenomeno al cinema: il successo è l’alibi per diventare attore, spesso e volentieri protagonista di una storia che illustra una romanzata novella di come lo stesso artista “ce l’ha fatta”: questo è “Jolly Blu”, la leggendaria ascesa al successo di Max e degli 883 nel formato del musicarello, non pervenuto nel cinema dalle impreseanni ‘80 di Nino D’angelo e riaffiorato negli anni ’90 con il grottesco “Tano da morire” (1997) e appunto questo “film degli 883” (il didascalico sottotitolo) liberamente ispirato alle “opere” di Max Pezzali.
Alla produzione chi se non il Malcom Mclaren di TeleMilano, il Quincy Jones di Radio DeeJay, Claudio Cecchetto: solo 15 sale ebbero l’onore di proiettare “Jolly Blu”. Ma cos’era questa idea?
Il debole intreccio del film racconta le vicende di un gruppo di amici, tra i quali Max Pezzali, della provincia di Pavia che trascorrono le giornate nel bar che è la loro seconda casa, il Jolly Blu di proprietà di Baldo (è un nome proprio, non un attributo). Il locale però si trova in pericolo perché Baldo non riesce a fare fronte ai debiti, si deciderà così di salvarlo organizzando un concerto di Max proprio all’interno dello stesso. Max è infatti un ragazzo con la passione per la musica ed un cuore puro: il successo arriva non certo per incontrollata ambizione ma come ricompensa del fato per essere così altruista da aiutare il prossimo con la sua arte.
Collegamenti senza logica (dal matrimonio dell’amico al bar che non paga l’affitto) uniscono scenette di vita di provincia, amici con problemi con le ragazze, il lavoro (si qualcuno lavora oltre alle ore passate al tavolino del bar), le coppie inseparabili, l’infinito anelito ai genitali femminili. In realtà Max non si può nemmeno dire il protagonista di questo film, né gli 883: il vero protagonista è l’esistenza dei giovani, è la realtà della provincia, è la vita di tutti noi. Oppure il nulla, in alternativa.
Ci tenevo a sottolineare come il Jolly Blu sia il bar di paese più politicamente corretto ed edulcorato d’Italia: nessuno beve oltre misura, nessuno bestemmia in modo fantasioso, nessuno va oltre al primo spritz, non volano battute omofobe o sessiste, si mantiene giusto il minimo sindacale di vagino-centrismo ma sempre giocoso e mai irrispettoso del gentil sesso.
Questo è tutto: il resto, ovvero la maggior parte del film è l’alternarsi uno dopo l’altro dei videoclip delle hit degli 883. “Rotta per casa di Dio”, “Nord Sud Ovest Est”, “Non ti passa più” e tante altre: ogni canzone è una surreale scenetta in cui gli attori accompagnano i versi con gesti da pantomima e linguaggio dei segni. E non finisce qui: il tocco di genio cinematografico è la scelta stilistica, un po’ disneyano, di inserire i sottotitoli delle hit proprio come in un karaoke, così che il pubblico possa cantare, tutti insieme volendosi bene, a volte seguendo anche fresche ed travolgenti coreografie annesse.
La regia e la fotografia ricordano il pleonastico e sgradevole pathos de “Il Segreto” o dei film in vhs che ti facevano vedere al catechismo il sabato pomeriggio. Un punto in più merita l’audio che senza remore passa dalla presa diretta al parlato doppiato in studio.
E che dire del cast? Forse l’unico che si salva davvero è Max che mantiene una vaga naturalezza nella recitazione. Stiamo comunque parlando di una pellicola per cui Angelina Jolie venne scartata, perché “troppo sensuale”, a favore di Alessia Merz, rassicurante icona post Non è la Rai, che interpreta la “gnocca della compa” da cui tutti vengono friendzonati. Ma il “film degli 883” annovera anche Natalia “missing” Estrada come cubista in discoteca, Saturnino come il talent scout, Jovanotti come presidente della casa discografica che permette a Max di incidere il suo primo cd e, soprattutto, Sabrina Salerno come “il mito”, il vero mito che “un seno così non era mai visto prima” (il nome del personaggio è Annabella e lavora in una pellicceria…) che fa correre tutti gli uomini fuori dal bar e riversarsi sulle strade alle 12:30, insomma la reazione media che ha un cromosoma maschile nel pubblico di Ciao Darwin.
In fondo sono tutti buoni e il lieto fine arriva sempre: Max diventa una popstar, l’amico che tutti credevano morto è vivo e vegeto, il bar di salva e nel finale meta-cinematografico la troupe invade la scena euforica…
Cosa rimane di questo “Jolly Blu”? Il momento più emozionante è sentire chiedere da Alessia Merz al barista “dovrei telefonare, hai dei gettoni o una scheda telefonica?”, giusto per provare un po’ di nostalgia.
Enrico Bettarello