2014-12-03

A pochi passi dai nuovi grattacieli e dalle lussuose infrastrutture di Milano, zona Porta Nuova, sorge Ghetto Chic, uno store di abbigliamento e oggettistica che ha molto da raccontare. Ghetto Chic ha una forte identità, uno stile unico, personale e ricercato. Nello store vi è un’atmosfera che ricorda il Camden Market di Londra dove il moderno e il vintage si fondono, infatti all’interno del negozio è possibile trovare oggetti e arredi d’antiquariato che conferiscono eleganza e fascino. In occasione dell’evento “Legalize weekend – #say yes” del 21 Novembre scorso, ho avuto la possibilità di conoscere i proprietari ed ideatori dello store, Gianluca Sierchio (38) e Livio Spalletti (38). Gianluca e Livio sono colleghi e amici, condividono vita, lavoro e passioni ed è veramente affascinante vederli lavorare, perché, nonostante le loro diversità, l’eclettismo e la versatilità generano un’alchimia straordinaria. Insieme a loro collabora Andrea Efrati (24), in arte Andy Jay, un ragazzo molto creativo e con tanta voglia di fare che, sulle orme di Gianluca e Livio, sta apportando il suo contributo artistico e non in maniera eccelsa. La loro accoglienza e la loro disponibilità consentono agli utenti di instaurare un rapporto unico che consente allo store di avere sempre un forte richiamo sulla clientela.

Come nasce Ghetto Chic?

Livio // «Nasce da una macchina laser per il taglio e l’incisione del legno.»

Gianluca // «Macchina che a sua volta nasce da una frase del tipo “Ehi ragazzi, ma sapete che esistono macchine che tagliano e incidono legno tramite laser che non costano mica tanto? Perché non ce ne compriamo una?”»

L // «Idea che a sua volta nasce da quella misteriosa regressione evolutiva per cui i maschi, dopo una certa età, scoprono che la loro vera passione è il bricolage. Motivo per cui le domeniche all’Ikea non spaventano più come prima, considerando che a pochi passi ci sta Leroy Merlin.»

G // «Così abbiamo pensato fosse una buona idea utilizzare la macchina laser per riempire i weekend… e siamo finiti per decidere che potevamo tentare di farla diventare uno strumento di lavoro. Ed ecco Ghetto Chic.»

Quali sono le vostre fonti d’ispirazione?

L // «Per quanto riguarda l’allestimento del negozio e il lavoro di grafiche per poster e quadri siamo decisamente votati ai bei tempi andati, tra il 1800 e l’inizio del 1900: insegne, poster teatrali, incisioni e cose simili che ricostruiamo e rissembliamo secondo il nostro gusto, ma è forse la parte di lavoro che meno riguarda Ghetto Chic. Per il resto non abbiamo particolari fonti di ispirazione per quanto entrambi abbiamo gusti musicali, grafici e di moda molto ben definiti ma che poco si integrano con quello che facciamo. Per fortuna, mi viene pure da dire.»

G // «Il ridere, questo sì, è fonte di ispirazione. Se una cosa ci fa ridere, per certo passa il primo esame di ammissione e molto probabilmente vedrà la luce.»

L // «Che poi è un ridere tendente all’ironia, una faccenda molto delicata che all’attuale appare un po’ inflazionata e annacquata, quindi ci andiamo parecchio cauti con le definizioni.»

G // «Provare. Mischiamo il nostro gusto con quello che vediamo in giro e guardiamo cosa ne viene fuori. Se una cosa non funziona te ne accorgi in fretta. Se funziona, prendi nota.»

Il termine “ghetto chic” viene dalle skanks e dalle hoochie mamas (termini dispregiativi di origine americana utilizzati per definire donne promiscue, trasandate e tendenti al trash) e indica generalmente un modo di vestirsi molto appariscente e volgare. Quale significato date voi a “ghetto chic”?

G // «Il nostro negozio era prima un negozio di graffiti, pertanto l’idea di ghetto in qualche modo era già nell’aria. Aggiungiamoci che i primi prodotti fatti con la macchina sono state collane in legno tipiche del mondo rap americano, in secondo luogo che una canzone dei Colle Der Fomento si chiama così ed infine che volevamo, nei nostri sogni proibiti, trasformare il negozio in un posto dove anche una donna si sarebbe potuta sentire a suo agio… ed ecco che qualcuno ha detto “Ghetto Chic!” e qualcun altro ha risposto “Ok.”.»

L // «Piacevoli strascichi underground e caos controllato, il tutto presentato con un tocco di gusto che, al momento, ha aumentato solo di poco il numero di donne che mettono piede qui dentro. Ed è per questo che il claim del negozio è Una volta c’ho visto dentro anche una tipa.»

Alcuni potrebbero considerarvi il nuovo Jolly Roger (negozio milanese di abbigliamento che, fino a circa cinque anni fa, svolgeva un’attività di produzione customizzata; ora chiuso).

G // «Presi alla sprovvista abbiamo pensato come prima cosa alla bandiera pirata. Sembrava una bella roba, poi abbiamo fatto una ricerca ed è saltato fuori un negozio di Milano che ora non esiste più.»

L // «Ora, sembrerebbe una domanda a cui non sapremmo rispondere perché non conoscevamo bene Jolly Roger.»

G // «Se il discorso riguarda la produzione custom per il singolo cliente, da magliette a cappellini, sì, per qualche tempo abbiamo tentato quella via per poi abbandonarla in quanto non eravamo tagliati per il genere. Devi riuscire a dosare il fattore commerciale con il mero piacere di fare una cosa fatta bene e di sperimentarne di nuove.»

L // «Troppo pignoli alle volte: finiva che un ordine te lo dovevi venire a prendere due giorni dopo la data di consegna. Sono grosse soddisfazioni, ma commercialmente non è la strada giusta per noi.»

Nonostante il vostro sia un negozio di abbigliamento, vi occupate anche di design. Come mai?

L // «A dirla tutta, siamo più che altro un buffo ibrido.»

G // «Ci occupiamo di abbigliamento in modo relativo, siamo perlopiù un negozio di t-shirt e snapback, alcune prodotti da noi, altre frutto del nostro lavoro di merchandising. Al momento non ci siamo ancora spinti oltre. Nel frattempo allestiamo il negozio con del “design” amatoriale, come poster, quadri, espositori ed oggettistica varia che produciamo anche per clienti esterni, come negozi e privati, ma non riteniamo proprio di essere dentro il mercato del design.»

L // «Siamo artigiani. Ogni giorno cerchiamo di infilarci in un dramma diverso accettando le richieste più disparate così da mettere un pò di pepe nelle nostre vite. Ecco, su questo abbiamo delle attinenze con Jolly Roger, ma con la differenza che ci occupiamo di prodotti più’ grandi di quello che può essere la singola maglietta o uno snapback. Per questo diamo l’impressione di occuparci anche di design. La deriva produttiva di quadri, poster e l’utilizzo smodato di legno riciclato, ferro e chiodi per piccoli allestimenti nasce più dal piacere di ricreare un certo tipo d’ambiente e di sensazioni che riteniamo familiari piuttosto che da un amore verso il design, lo studio delle forme e tutto quello che ne consegue.»

Cosa ne pensate della Design Week di Milano?

G // «Non ci pensiamo molto, perché non è un mondo che frequentiamo, ma lo riteniamo assolutamente positivo, nel senso che un po’ di movimento in città può solo che fare del bene e in generale, sgrassando via aperitivi e chiacchiere dal Fuorisalone, l’energia che si percepisce è contagiosa. Non sentendoci di definire i nostri prodotti come vero e proprio design, non abbiamo mai pensato di avvicinarci a questo mondo.»

L // «Da aggiungere alle motivazioni per cui non abbiamo molto a che fare con la Design Week è una certa innata pigrizia nei confronti della vita sociale della città e il fatto che uno di noi, finito il lavoro, corre a casa dalla moglie e dalle sue due piccole adorabili pesti, mentre l’altro si chiude in casa a leggere fumetti e a fare lavatrici.»

Il vostro negozio si posiziona ai confini del nuovo scenario EXPO 2015 di Milano. Come intendete affrontare quest’evento?

G // «Il posizionamento è ovviamente casuale. Infatti, presa singolarmente, la via in cui langue il negozio fa un baffo al Taklamakan, ma visto da una visione aerea è in effetti a pochi passi da quello che sarà uno dei cuori pulsanti dell’EXPO 2015. La cosa fondamentale da fare per “approfittare” dell’occasione crediamo sia quella di dare maggiore visibilità al negozio e renderlo accogliente e bizzarro al punto da poter creare un passaparola. Una volta in zona, due passi in più non costano nulla e crediamo che già adesso il negozio valga una breve visita.»

L // «Abbiamo squisitezze in mente per l’allestimento futuro che speriamo rendano unico il negozio. Vediamo un po’ che ne penseranno i turisti EXPO.»

Siete molto attivi sui social network. Su Facebook avete circa 8800 followers e su Instagram circa 5100. Sono per voi una forte pubblicità?

G // «Ci pubbliciazziamo principalmente tramite i social e poi tramite quel grande classico che è “l’accollo a quello che ha visibilità”, omaggiando magliette e snapback, senza mai scadere nella piaggeria molesta perchè abbiamo anche noi una certa dose di dignità.»

L // «I social ci aiutano? Direi di sì: veicolano chi siamo e ci permettono di mandare in giro le nostre idee scavalcando le quattro mura del negozio. Ovviamente abbiamo sempre a mente una certa porzione di aleatorietà che portano con sé, ma considerato il costo del mezzo pubblicitario rimaniamo della ovvia idea che il web 2.0 abbia più pro che contro.»

Chi sono i vostri maggiori supporters e followers?

L // «Produciamo magliette e merchandising per artisti rap, espositori per negozi di argento, poster e quadri per allestimenti, abbiamo un piccolo negozio dove ancora non si capisce bene quale sia la merce in vendita e quale no… abbiamo un’identità veramente frammentaria. Se abbiamo dei supporters o dei veri e propri followers (in termini un pochettino più fisici del semplice “mi piace”) non sapremmo proprio dirlo.»

G // «E forse abbiamo pure un’età in cui supporters e followers sono un dato relativamente importante… escludendo ovviamente le due piccole pesti.»

Sito: www.ghettochicstore.com

Facebook: https://www.facebook.com/GhettoChicAccessories

Instagram: ghettochic2

Ghetto Chic Store, Via E. Cornalia 8, 20124, Milano, 02-39561926

Valentina Mazzetto



Show more