2013-08-31

 

Questo articolo è stato pubblicato sulla versione digitale di LINK #14 (agosto 2013). 

I STREAM FOR ICE STREAM

House of Cards e la post-televisione

Matteo Bittanti

 

E’ difficile sottovalutare gli aspetti innovativi di House of Cards. Il rischio, semmai, è sopravvalutarli. Finanziata e distribuita da Netflix negli Stati Uniti e in tutti i territori coperti dal servizio (una quarantina di nazioni in tutto, Italia esclusa), la serie attesta in primo luogo la crescente influenza dello streaming nei contesti post-televisivi e post-broadcast. Non solo: per la prima volta, un content provider - che svolge il doppio ruolo di distributore - ha offerto ai suoi abbonati - 29 milioni sul territorio americano (36 a livello mondiale) - un’intera stagione (tredici episodi) al day one (1 febbraio 2013), dribblando l’infrastruttura “tradizionale” - network, satellite e cavo. Infine, House of Cards è espressione di una logica algoritmica prima ancora che televisiva.

Questi aspetti meritano una disamina approfondita.

 

Consumo familiare (immagine: Netflix)

 

1) Il medium è il messaggio

Parafrasando Marshall McLuhan, si potrebbe affermare che l’aspetto più significativo di House of Cards riguarda non tanto il contenuto (messaggio), quanto il contenitore (medium). Detto altrimenti, House of Cards esemplifica una logica post-televisiva e web-centrica. Sul piano meramente contenutistico, la serie prodotta da David Fincher presenta elementi contraddittori. Da un lato conferma la crescente dipendenza dell’industria americana nei confronti delle realtà produttive estere. (nota 0) Si tratta, infatti, del remake dell'omonima saga della BBC (1990) interpretata da Ian Richardson. Dall’altro, il budget - 100 milioni di dollari per due stagioni - 26 episodi in tutto) - è paragonabile a quello dei blockbuster hollywoodiani. (nota 1) In altre parole, la presunta/percepita crisi creativa dell’industria culturale statunitense è controbilanciata/annullata da un dispendio di mezzi tipico di una Super Potenza. Per mezzi non ci riferiamo esclusivamente al capitale economico necessario per produrre House of Cards, ma anche (soprattutto) all’infrastruttura tecnica necessaria per distribuirlo, un’infrastuttura che presuppone il broadband. Com’è noto, la mole di dati generata da Netflix ammonta a circa un terzo del traffico complessivo su internet negli Stati Uniti. Alle dieci di una qualunque serata settimanale - nei rispettivi fusi orari del continente americano - Netflix domina incontrastato. Detto altrimenti, i bit che Netflix convoglia nelle case degli americani in una serata tipica superano quelli di YouTube, Hulu, Amazon, GBO Go iTunes e BitTorrent messi assieme.

Riprendendo McLuhan, possiamo aggiungere che il mezzo è  il massaggio, nel senso che le mutate condizioni di diffusione del messaggio hanno finito per plasmarlo, trasformarlo, modificarlo. In altre parole, che House of Cards sia un prodotto post-televisivo è evidente già a livello diegetico. Colpisce infatti la relativa penuria di flashback e recaps, espedienti assai comuni in un contesto distributivo che prevede un'elargizione dilazionata nel tempo dei contenuti. Nel momento in cui l’opera completa -  all’incirca tredici ore - viene proposta in un'unica tranche, il riassunto didascalico non ha più ragion d’essere. Un discorso analogo riguarda un altro escamotage diffuso, il cliffhanger, escamotage che prevede una brusca interruzione della narrazione in corrispondenza di un colpo di scena o di un momento caratterizzato da suspense, al fine di titillare lo spettatore, posticipando la risoluzione di (inaspettati) sviluppi successivi. Anche per questa ragione, la ripartizione in episodi di House of Cards - con tanto di incipit, sigla e titoli di coda - è insieme familiare e anomala, convenzionale e anacronistica. Sebbene la transizione da un episodio all’altro richieda meno di una quindicina di secondi - grazie a un’efficace interfaccia e all’opzione autoplay - l’interruzione “artificiale” appare ingiustificata. Per usare un’altra espressione mcluhaniana, la scelta di Netflix esemplifica la sindrome dello specchietto retrovisore, per cui i nuovi media incorporano sempre i precedenti. Il futuro rimedia il passato. In questo caso, la persistenza del “vecchio” medium nel nuovo è evidente nell’adozione di un formato - l’episodio, appunto - che risponde a logiche televisive anzichè post-televisive. A differenza della televisione, Netflix non contempla interruzioni pubblicitarie. Di più: il servizio non prevede spot. L’idea stessa di reclame è televisiva, ergo passatista in un’ottica streaming.

Un terzo elemento significativo concerne la dimensione archivistica: l’accesso a House of Cards è garantito in qualunque momento attraverso molteplici piattaforme - dallo smartphone al laptop, dal set top box al tablet, dalla console al media streamer: Netflix è fruibile su oltre mille apparecchi. Questa possibilità - che travalica, anzi, travolge, il formato del palinsesto - rende inoltre superflua la pratica della registrazione del programma da parte dell’utente. Il prodotto televisivo diventa un mero servizio, sempre disponibile - come acqua, luce e gas. Laddove il modello broadcast si fonda sulla logica della scarsità (scarcity), lo streaming poggia su quella dell’abbondanza (abundance).

2) Tempi e modi del consumo

House of Cards attesta che le dinamiche della fruizione televisiva sono profondamente mutate nell'era dell'instant watch. Negli Stati Uniti, da almeno un lustro lo streaming ha sostanzialmente rimpiazzato la formula del palinsesto tipico del broadcast (consumo episodico, dilazionato nel tempo) e dell’home video (accesso post facto all’intera stagione attraverso un box set in DVD o Blu-ray). Il cambio di paradigma è direttamente riconducibile all’iniziativa di aziende come Netflix, Hulu e Amazon, che hanno accelerato l’emancipazione dell’utenza. L’instant watch implica anche un total watch: da racconto frammentato e dilazionato nel tempo, il telefilm nell’era di Netflix si riconfigura come prodotto ibrido. Questa strategia è insieme causa ed effetto delle mutate abitudini di consumo da parte degli spettatori, che previlegiano la maratona (la visione prolungata, spesso di un’intera stagione in un’unica sessione) rispetto allo sprint (l’episodio settimanale). Negli Stati Uniti, la maratona televisiva è definita binge viewing. (nota 2) Questa pratica presenta elementi di agonismo, al punto che potremmo definirlo uno sport televisivo, o meglio, post-televisivo, dato che prescinde dal mezzo e dal modello broadcast tradizionale e si spalma su una varietà di display e dispositivi grazie alla funzione di sincronizzazione automatica (resume watching) offerta da Netflix.

Grazie all'instant streaming, serie televisive prodotte del passato prossimo godono di un'attualita e di una freschezza senza precedenti. Lost è ancora incredibilmente popolare su Netflix. Il modello del consumo rituale, su base settimanale - il famigerato “appuntamento” con i sermoni della chiesa catodica - non ha più senso in un’era caratterizzata dall’accesso persistente e instantaneo a ogni tipo di contenuto digitale. E lo stesso vale per il rerun, la replica delle stagioni televisive in base a modi e tempi stabiliti dai gatekeeper. Il consumo collettivo, simultaneo, sociale - già profondamente compromesso dall’introduzione del DVR/PVR - ha completamente perso l’appeal originario. E’ rimasto costante, tuttavia, il desiderio di condividere con altri l’esperienza narrativa. Tale condivisione non è più sincrona, bensì asincrona. Post-geografica anziché locale. Multi-piattaforma, anziché mono-mediale. Netflix rappresenta la scelta privilegiata per utenti ignorati o trascurati dal broadcast tradizionale (free e pay). Per esempio, il successo post facto di Nip/Tuck in terra statunitense è direttamente attribuibile a Netflix. Arrested Development, serie di culto abbandonata dai media tradizionali dopo due stagioni, è stata risuscitata dall’azienda della Silicon Valley. L’atteso “ritorno sugli schermi” è previsto il 26 maggio 2013. Non vanno poi dimenticati la commedia nera Orange Is the New Black (luglio) creata da Jenji Kohan (Weeds) e basata sul romanzo autobiografico di Piper Kerman, il nuovo show di Ricky Gervais, Derek, e Turbo: F.A.S.T., una serie per bambini sviluppata in collaborazione con DreamWorks Animation (previsti rispettivamente a ottobre e dicembre) senza dimenticare il progetto “post-televisivo” di Lana e Andy Wachowski (The Matrix) e Michael Straczynski (Babylon 5), intitolato Sense8 previsto per il 2014. L’obiettivo di Netflix è produrre almeno cinque serie originali all’anno.

3) Per una critica post-televisiva

House of Cards ci sollecita a ripensare la logica e le dinamiche della critica televisiva. Nel momento in cui un’intera stagione è disponibile al day one, la formula della recensione settimanale viene soppiantata da un’analisi olistica, complessiva - come avviene per i videogame, la cui “durata” oscilla tra le 15 e 30 ore. Questo non significa che gli illustri critici televisivi che discutono dei pro e contro dell’episodio settimanale sulle pagine dei quotidiani scompariranno d'amblé. Per quanto arcaici, critici illustri e quotidiani cartacei persisteranno - ancora per qualche anno. Non dimentichiamo che anche i fax e il MiniDisc sono rimasti in circolazione a lungo dopo l’estinzione “ufficiale”. Inoltre, gli effetti dell’evoluzione tecnologica non sono uniformi. Lo conferma la Prima Legge di Gibson, secondo la quale"Il futuro è già arrivato ma non è equamente distribuito". E’ fuori di dubbio, tuttavia, che la rilevanza dei critici televisivi illustri e dei quotidiani cartacei nell’era post-televisiva - l’era di House of Cards - è destinata a diminuire considerevolmente. D’altra parte, è legittimo prevedere l’emergere di nuove forme di critica e, soprattutto, nuovi contesti di discussione. Possiamo facilmente immaginare forme di annotazione collettiva degli episodi che emulano il modello di Soundcloud per la musica - le annotazioni non sono invadenti ed evanescenti come i tweet e hanno il grande vantaggio di permanere.

4) L’era della televisione algoritmica

Netflix rappresenta un esempio paradigmatico di innovazione dirompente (disruptive innovation, per usare la celebre espressione di Clayton Christensen). Inizialmente (1997) derisa dai concorrenti, la  formula del noleggio di DVD per corrispondenza si è dimostrata vincente. In poco meno di un lustro, Netflix ha fatto tabula rasa, costringendo alla resa il gigante Blockbuster, allora considerato inattacabile. Con l’avvento dello streaming, Netflix ha introdotto l’ennesima innovazione dirompente, lanciando una sfida diretta all’establishment televisivo, ma anche alle aziende produttrici di supporti di registrazione - negli Stati Uniti, il relativo fallimento del Blu-ray e il declino del DVD è attribuibile, in buona parte, al successo dello streaming online (Nota 4). Oggi, tuttavia, Netflix si trova a competere con altri giganti - due mega-silos per usare l’azzeccata espressione di Bruce Sterling - Apple ed Amazon.

I due modelli dominanti di distribuzione digitale, à la carte vs. buffet, corrispondono, grosso modo, alla dicotomia tra prodotti e servizi. Nel primo caso, l’utente acquista un singolo articolo previo pagamento di un dazio una tantum. Il paradigma è iTunes, uno store digitale che emula il formato del tradizionale negozio. La merce - musica, video, film, serie televisive etc. - si smaterializza, ma le dinamiche (selezione, transazione, consumo) restano sostanzialmente invariate. Nel secondo caso - il modello Netflix - prevale la logica dell’all-you-can-eat dei casino di Las Vegas: il cliente paga l’accesso (in)condizionato al catalogo tout court. Attraverso un abbonamento mensile o annuale, il fruitore accede a un enorme archivio di contenuti digitali di natura audiovisiva. Netflix ha compreso che l'unico modo per sopravvivere e competere con iTunes et similia nonché arginare l'ascesa del video-on-demand (nota 5) consiste nell’offire contenuti inediti, non reperibili altrove. Si noti che il doppio ruolo di producer e distributore giocato da Netflix è tutt’altro che nuovo. Nel 2004, l’azienda di San Josè aveva introdotto lo spin-off Red Envelope Entertainment (née Netflix First) dedicato alla produzione di cinema indipendente - in sala e in streaming. Red Envelope ha prodotto oltre cento film, prima di chiudere i battenti nel 2008. Nel 2012, Netflix ha ricalibrato il tiro, concentrandosi sulla produzione e distribuzione di contenuti post-televisivi, come la serie Lilyhammer e, appunto, House of Cards (nota 6). La dicotomia tra i modelli à la carte vs. buffet crea interessanti anomalie di natura post-televisiva. Per esempio, iTunes ha commercializzato i sei episodi della recente mini-serie di Jane Campion, Top of the Lake (BBC) a 2.99 dollari, mentre Netflix li ha resi disponibili ai suoi abbonati “a costo zero”, sebbene a qualche settimana di distanza dal debutto su iTunes. Analogamente, il 28 maggio Netflix ha introdotto la mini-serie televisiva irlandese The Fall, interpretata da Gillian Anderson. Anche in questo caso, i cinque episodi sono stati distribuiti simultaneamente.

Amazon rappresenta la terza via, nel senso che incorpora elementi caratteristici del modello à la carte ( iTunes) e del buffet (Netflix). Nello specifico, Amazon vende merci atomiche ossia tangibili (ex. libri, DVD, CD etc) e digitali ossia intangibili (ex. film, musica, videogame etc.). Propone inoltre servizi come Amazon Instant Video (née Amazon Video on Demand) e Prime Instant Videos, contenuti televisivi e cinematografici fruibili online da tutti i clienti e/o dagli abbonati al servizio Prime. Come tale, Amazon compete direttamente con Apple e Netflix e, al pari di quest’ultima, produce contenuti post-televisivi, nello specifico show e serie fruibili online. A differenza di Netflix, l’azienda di Bezos ha adottato un’originale strategia per stabilire quale serie finanziare delle quattordici attualmente in fase di pre-produzione. Una strategia che ricorda il modello del Greenlight di Steam (nota 7), per cui la scelta dei prodotti da commercializzare o meno viene sostanzialmente delegata agli utenti. Un numero ridotto di candidati viene “promosso” alla vendita, mentre il resto rimane sospeso nel limbo o cancellato definitivamente. Il 19 aprile 2013, Amazon ha presentato sul proprio sito e sugli affiliati LoveFilm UK e LoveFilm Germany quattordici pilot di altrettante serie (otto commedie, tra cui Alpha House, sceneggiata dal vincitore del premio Pulitzer Garry Trudeau e interpretata da John Goodman e che vanta cameo di Bill Murray e Stephen Colbert - nonché sei show per bambini), invitando i clienti-spettatori ad esprimere le proprie preferenze. L’accesso privilegiato al back-end consente ad Amazon di verificare quanti spettatori hanno visto cosa come e quando. Inoltre, un numero imprecisato di utenti - reclutati per mezzo dell’iniziativa Amazon Preview - sono stati invitati a partecipare a focus group online. Chiaramente, le informazioni raccolte da Amazon rappresentano un mero tassello di un complesso processo di valutazione. Allo stesso tempo, il carattere innovativo di questa strategia non può essere sottovalutato dato che riflette dinamiche di selezione tipiche della cultura digitale (intelligenza collettiva, crowdsourcing etc). (nota 8)

Amazon e Netflix non sono broadcaster. Sono molto di più e molto di meno. Le due aziende hanno collezionato preziose informazioni di natura qualitativa e quantitativa sulle abitudini di consumo dei propri utenti per oltre due decadi. Grazie ai leggendari algoritmi sviluppati da Netflix, oggi è in grado di offrire un accurato sistema di suggerimenti di visione. (nota 9) La genesi stessa di House of Cards è frutto dell’ossessione algoritmica. Numerosi fattori - dalla scelta del remake alla selezione del regista/producer (David Fincher) e del protagonista (Kevin Spacey) - sono stati influenzati dai processi di data mining.

La critica ha reagito al fenomeno con eguali dosi di sgomento ed ammirazione. Sono riconducibili alla prima fazione coloro che, ingenuamente, ritengono che nel 2013 il concetto di privacy sia ancora dotato di senso. Per esempio, Andrew Leonard ritiene che Netflix stia “manipolando” i propri utenti. Nell’articolo “How Netflix is turning viewers into puppets” pubblicato su Salon il 1 febbraio 2013, Leonard giudica problematico il fatto che l’azienda della Silicon Valley possa verificare in tempo reale e con un’accuratezza senza precedenti le dinamiche di consumo dei propri utenti. Per quanto corretta, l’analisi di Leonard pecca di naiveté. Analogamente, David Carr sul New York Times (“Giving Viewers What They Want”, 26 febbraio 2013) pare soffrire di amnesia: al pari di Google, Apple, Facebook, Amazon e tutte le altre corporation che utilizzano i dati “personali” dei propri utenti per scopi essenzialmente commerciali, Netlifx sfrutta le informazioni raccolte per offrire un servizio personalizzato e, nel contempo, massimizzare i profitti. I due illustri giornalisti sembrano inoltre dimenticare che il successo politico del presidente Barack Obama - mi riferisco alla campagna elettorale del 2012 - è dipeso dai sistemi di calcolo algoritmico e di gestione delle informazioni dei tecnici di Netflix. Ironicamente, l’intera campagna è stata condotta attraverso i server di Amazon. (nota 10)

Ma al tempo stesso, Leonard e Carr sopravvalutano l’importanza dell’algoritmo. Non a caso, al successo critico di House of Cards fa da contraltare il flop di Hemlock Grove, la serie horror prodotta da Eli Roth che ha debuttato su Netflix il 19 aprile 2013, demolita in modo pressoché uniforme dalla critica, ma apprezzata dal pubblico (nota 11). La reificazione della tecnologia nei processi creativi e la celebrazione acritica del data mining accomuna tecnofobici e tecnofilici. Mi riferisco alla fitta schiera di osservatori che attribuiscono all’hi-tech capacità quasi soprannaturali di “trasformare il mondo”. I cosiddetti guru, gli evangelisti della cultura digitale che incensano il medium a discapito del milieu socio-culturale esistente. L’esempio paradigmatico è WIRED, bibbia di un culto pagano che venera la tecnologia sopra tutto e sopra tutti, ignorando del tutto il ruolo svolto dalle istituzioni, dalle peculiarità dei contesti culturali e dalle diseguaglianze socio-economiche. Se WIRED è il verbo, TED è la chiesa pagana che dispensa quindici minuti di sermoni all’insegna del dogma tecnocentrico.

A prescindere dall’efficicia “creativa” degli algoritmi, House of Cards conferma che la reinvenzione della televisione passa attraverso lo streaming - sul piano distributivo, ma anche tecnico - com’è noto, Netflix sta sperimentando - con successo - sistemi di trasmissione nel nuovo formato 4K (Ultra HD) e annunciato per il 2014 negli Stati Uniti.

Per quanto non condividiamo le conclusioni di Tim Wu che sul New Yorker ha annunciato il “declino strutturale” dei provider via cavo (“House of Cards and the Decline of Cable”, 4 febbraio 2013 - le statistiche smentiscono il docente della Columbia Law School), House of Cards rappresenta indubbiamente un momento di transizione, forse il preludio a un cambio di paradigma. La tradizionale dicotomia tra Hollywood (creatore di contenuti) e Silicon Valley (distributore) entra in crisi. Netflix prevede che entro dieci anni, lo streaming rimpiazzerà completamente il sistema televisivo tradizionale.

Nel contesto post-televisivo, “network” non significa “network”.

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Matteo Bittanti è Adjunct Professor nei dipartimenti di Visual & Critical Studies del California College of the Arts di San Francisco. Per ulteriori informazioni: www.matteobittanti.org.

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NOTE

(0) Non si tratta di un’anomalia: alcune delle serie americane di maggior successo degli ultimi anni - per esempio, In Treatment (HBO) e Homeland (Showtime) - sono remake. House of Cards conferma che anche nel contesto televisivo - oltre a quello cinematografico - gli Stati Uniti perseguono la logica del riciclo. La serie britannica e la controparte americana presentano interessanti affinità. La prima, basata sui romanzi di Michael Dobbs, è stata sceneggiata da Andrew Davis (Il diario di Bridget Jones e le serie TV Bleak House, Pride and Prejudice e Vanity Fair). La seconda porta la firma di Beau Willimon (co-produttore del film Le idi di marzo) e rappresenta una sorta di anti-The West Wing impregnata di gravitas shakespeariana.

1) Per quanto esorbitante, la cifra va considerata in relazione alle spesa complessiva di Netflix per assicurarsi contenuti da offrire agli abbonati mai sazi di - gli utenti consumano oltre quattro miliardi di ore di programmi a trimestre. (fonte: Netflix, 2013). I costi associati alla produzione di contenuti inediti corrisponde a circa il 10% degli investimenti per assicurarsi le licenze di distribuzione. Per il momento, la strategia di Netflix sembra funzionare. Nell’aprile 2013, per la prima l’azienda ha superato il rivale HBO (un’azienda del gruppo Time Warner) per numero di abbonati sul territorio americano: 29.17 vs. 28.7 (fonte: Variety). In compenso, HBO vanta 114 milioni di abbonati a livello mondiale vs. 7.14 di Netflix. Si noti che House of Cards ha inoltre contribuito a rilanciare l’immagine di un’azienda che, diciotto mesi fa, si trovava in una posizione assai delicata, per non dire critica. L’avventato annuncio relativo alla possibile scissione di Netflix in due compagnie separate (Qwikster per i DVD per corrispondenza, Netflix per lo streaming) e l’aumento repentino dei costi di abbonamento sono costati svariati milioni di utenti. La fiducia degli investitori era crollata e il valore della azioni di Netflix era sceso da un massimo di $298 dollari a un minimo di $52.81. Le azioni sono ritornate sopra i duecento dollari (la performance di Netflix, in questo senso, è seconda solo a quella di Google) e i profitti sono aumentati del 18 per cento rispetto all’anno precedente, superando il miliardo di dollari complessivo (1.2 miliardi di dollari, per essere precisi). Netflix investe 450 milioni di dollari all’anno per promuovere il proprio brand nel mondo e altri due miliardi dollari per acquistare licenze e sviluppare prodotti ex novo (fonte: Netflix, 2013, URL).

(2) Il termine binge è normalmente associato a comportamenti compulsivi di natura alimentare ed associato a disturbi come la bulimia. Il binge watching, in in altre parole presenta aspetti patologici, come conferma l’efficace parodia di Portlandia (HBO) circa l’ossessione del pubblico per Battlestar Galactica.

(3) Per la prima volta, nel 2012, il consumo di prodotti cinematografici via streaming ha superato la distribuzione in formato DVD/blu ray. Fonte: Variety.

(4) Negli Stati Uniti, la percentuale di film distribuiti in formato home video prima e/o in alternativa all’uscita nelle sale cinematografiche è aumentata esponenzialmente negli ultimi anni.

(5) L’ascesa, declino e reinvenzione di Red Envelope è stata splendidamente narrata da Gina Keating nell’avvincente Netflixed: The Epic Battle for America's Eyeballs (Portolio, 2012).

(6) Steam è una piattaforma sviluppata dall’azienda americana Valve per la distribuzione digitale e la gestione di gaming online. Viene utilizzata per la gestione e la distribuzione di una vasta gamma di giochi attraverso internet. Introdotto nel 2003, il servizio - disponibile sulle piattaforme Windows, Mac OS, Linus, Android e iOS, vanta oltre 40 milioni di utenti e offre migliaia di videogame.

(7) Un altro player da non sottovalutare è Microsoft, che non ha fatto mistero di voler cementare la liaison tra gaming e post-televisione inaugurata con Xbox 360. In questo senso, gli esperimenti svolti da ESPN su Xbox Live non hanno precedenti nella storia del servizio. Il network sportivo americano rappresenta l’avanguardia di una rivoluzione post-televisiva che passa attraverso dispositivi quali console, tablet e laptop. Microsoft intende fornire contenuti esclusivi fruibili attraverso il suo network, Xbox Live e la sua nuova piattaforma, il successore di Xbox 360, Xbox One, previsto per il 22 di novembre 2013 negli Stati Uniti e in Europa, seguendo il modello Netflix/Amazon. Si noti che Reed Hastings, CEO di Netflix, è stato per molti anni board member di Microsoft.

(8) Ironicamente, pur essendo concorrenti, Netflix non può prescindere da Amazon: dal 2009 l’azienda di Los Gatos, California noleggia una cifra compresa tra diecimila e ventimila server e sistemi di stoccaggio dati offerti da Amazon, noti come Amazon Web Services. L’archivio di film e programmi televisivi di Netflix ammonta a oltre 3.14 petabytes di informazioni che corrispondono a 182 anni di streaming video in alta risoluzione (per contro, Facebook utilizza circa 1,5 petabyte per lo stoccaggio di circa 10 miliardi di fotografie dei suoi utenti). Se ancora non fosse chiaro, Netflix è il principale cliente di Amazon.

(9) Stando ai dati rilasciati da Netflix, il 75% delle scelte di visione degli utenti sono definite dal sistema di raccomandazione algoritmica, sviluppato da oltre settecento ingegneri, tecnici e programmatori.

(10) Per ulteriori informazioni, crf. “How President Obama’s campaign used big data to rally individual voters” di Sasha Issenberg, pubblicato su Technology Review il 19 dicembre 2012. URL) 

(11) Si noti che Netflix non fornisce informazioni precise in merito al numero di spettatori delle sue serie - ironico per un’azienda che ha elevato la statistica a forma d’arte.

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DIDASCALIE ESTESE

Ian Richardson (1990) & Kevin Spacey (2012)

 a) In entrambe le serie, il protagonista - Frank Underwood (Kevin Spacey in House of Cards US, 2013) e Fran Urquhart (Ian Richardson in House of Cards UK, 1990) si rivolge direttamente allo spettatore, rompendo l’illusoria quarta parete che separa il set dagli spettatori. Dell’originale britannico, Willimon ha ripreso anche la ricorrente battuta del protagonista: “You might say that. I couldn't possibly comment” (“Può darsi. Non posso assolutamente fornire alcun commento”).

b) L’assenza di interruzioni pubblicitarie spiega la presenza consistente di product placement in House of Cards US. Nella maggior parte dei casi, i momenti sponsorizzati sono malamente integrati alla narrazione, come nel caso dei videogiochi Sony (PlayStation 3 e PlayStation Vita), la cui frequente menzione non presenta alcuna situazione di continuità con gli eventi in corso e come tale, danneggia la coerenza del racconto.

c) Una delle differenze più significative tra le due versioni di House of Cards riguarda il ruolo svolto dai new media. L’originale - prodotto nel 1990 - metteva in scena un mondo pre-internet, pre-smartphone e pre-Twitter. House of Cards US per converso, tematizza le trasformazioni sociali e culturali della nostra epoca. Nel 2012, i mass media sono in crisi e il giornalismo tradizionale rischia di essere soppiantato da blog e social media. Di particolare interesse, dal punto di vista estetico e narrativo, è la visualizzazione degli scambi di SMS tra i vari personaggi. I testi delle “conversazioni” a distanza vengono mostrati direttamente sullo schermo (post-televisivo) e sui display (iPhone e BlackBerry) - una soluzione decisa da Fincher, ma introdotta dallo show televisivo Sherlock. Lungi dal frantumare il realismo della mise-en-scene, l’escamotage accentua il senso di immersione nell’universo narrativo creato da Fincher e Willimon e riflette trend reali: stando a una ricerca condotta da Nielsen, nell’ultimo quarto del 2012 i teenager inviano in media 2500 messaggi al mese. Il 75% degli utenti che si trovano nella fascia 25-34 posseggono smartphone (nel 2011, la percentuale era il 59%) e la maggioranza preferisce comunicare via SMS piuttosto che a voce. Per quanto concerne House of Cards, Willimon ha dichiarato che il texting esemplifica la teoria di Harold Pinter secondo la quale l’azione scaturisce non tanto dai dialoghi, ma da quanto viene omesso in una conversazione. O, in questo caso, tradotto in forma testuale.

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PHOTO ALBUM

Texting 

Product placement

Sigla iniziale

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