2015-04-17



I giovani sono il cuore dell’Iran. Sia perché circa il 60% della popolazione totale – in tutto 73 milioni di persone – ha meno di 30 anni, ma anche perché negli ultimi 36 anni i giovani sono stati protagonisti della storia del paese. Erano in prima linea durante la rivoluzione islamica del 1979, che ha trasformato lo stato iraniano in una repubblica islamica, basata sulla legge coranica (la sharia). Hanno manifestato a Teheran nel 1999 contro la chiusura del quotidiano riformista Salam e lottato per ottenere una più completa libertà di espressione. Sono stati il motore dell’“onda verde”, il movimento che ha guidato le proteste post elettorali del 2009 contro la rielezione di Mahmud Ahmadinejad, l’ex presidente iraniano. Ed erano anche a Teheran il 14 febbraio del 2011 – il “Day of Rage” – quando sono partite le nuove proteste, sulla stessa linea di quelle del 2009.

I giovani iraniani sono anche i protagonisti di alcuni reportage realizzati da Nicola Zolin, fotogiornalista, e da Loulou d’Aki, fotografa e documentarista, che sono stati illustrati il 16 aprile nella Sala Perugino dell’Hotel Brufani durante la conferenza L’altra faccia del Medio Oriente: quando il reportage svela le società in cambiamento. Per Giuseppe Acconcia, corrispondente dal Cairo per il Manifesto, è molto importante parlare del cambiamento della società iraniana perché il paese si trova attualmente sotto i riflettori internazionali. I motivi sono due: l’elezione del presidente Hassan Rouhani il 14 giugno del 2013 e la discussione sull’accordo sul nucleare con i paesi “5+1” (Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna, ovvero gli stati che hanno diritto di veto all’Onu, più la Germania).

Durante il panel, Nicola Zolin ha proiettato alcune immagini del suo reportage Iran Underground, realizzato nel 2012. Nelle foto ha messo in risalto il forte contrasto tra lo spazio pubblico e lo spazio privato, raccontando come i ragazzi vivono in modo completamente differente entrambe le dimensioni. Uno dei momenti più emblematici del reportage è il Nawruz, la celebrazione del nuovo anno che viene festeggiato il 21 marzo in Iran, Azerbaigian, Afghanistan, Albania, Georgia, in vari paesi dell’Asia centrale come il Turkmenistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan e il Kazakistan, e presso le comunità iraniane in Iraq, Pakistan e Turchia. Ogni persona presente deve scrivere un biglietto con un desiderio e chiuderlo. Da quel momento parte una meditazione collettiva che ha lo scopo di mettere in sintonia tutti presenti, concentrandosi singolarmente sul proprio desiderio.

Altre foto raccontano di come sia diffusissimo il culto della bellezza. Non solo tra le ragazze, ma anche tra i ragazzi. In particolare in Iran si fa ampio uso di chirurgia plastica, in particolare sono molto frequenti gli interventi al naso.

Zolin ha spiegato che non ci sono locali per “rimorchiare”, ma esistono dei modi alternativi di incontrarsi e fare nuove conoscenze. A Teheran, ad esempio, i giovani girano con la macchina intorno a una rotonda per alcuni minuti, si affiancano ad altre auto e si lanciano i numeri di telefono dal finestrino. Mancando luoghi di aggregazione pubblici, i ragazzi solitamente si riuniscono e si incontrano durante le feste private, ma il problema è che quasi sempre le cerchie di amicizie sono chiuse ed è difficile conoscere nuove persone.

Il vero problema per i ragazzi iraniani è andare via dall’Iran. È estremamente difficile farsi rilasciare un visto per andare all’estero, spesso perché chi se ne va non torna più indietro. Questa situazione è ben visibile nel reportage Make a Wish di Loulou d’Aki, dove viene raccontata la storia di Bahman Nasirifar, un chitarrista appassionato di death metal, con il sogno di scappare in Svezia, la patria del suo genere musicale preferito. Sogno che però gli è stato negato dallo stato, che non gli ha rilasciato il visto l’ha costretto a rimanere a casa. Insieme alla d’Aki, Bahman ha viaggiato nell’unico paese che è possibile visitare con un visto temporaneo: la Turchia. È rimasto là qualche mese, giusto il tempo per fare un’esperienza lontano da casa. Poi, per mancanza di soldi è stato costretto a tornare in Iran e oggi sogna di trasferirsi negli Stati Uniti.

Nonostante ci sia l’obbligo di indossare l’hijab, il tradizionale velo iraniano, nei luoghi pubblici, Loulou d’Aki ha raccontato come le ragazze iraniane negli ultimi anni abbiano trovato nuovi modi di indossarlo: è un tentativo di ritagliarsi un piccolo spazio di libertà nella vita quotidiana, senza trasgredire la legge. Se negli spazi pubblici ci sono delle restrizioni, in quelli privati no. Durante le feste, le ragazze iraniane si vestono come quelle occidentali. Lo stesso discorso vale per i ragazzi. Grazie a internet, infatti, in tutto il mondo, da nord a sud e da est a ovest, ogni ragazzo ha la possibilità vedere gli stessi film, di leggere gli stessi libri e di ascoltare la stessa musica. Per la d’Aki la differenza è intergenerazionale: è molto marcata tra i ventenni iraniani di oggi e i trentenni che hanno vissuto la guerra – quella con l’Iraq dal 1980 al 1988. Come mettono in evidenza i documentari, i giovani iraniani di oggi hanno la voglia di divertirsi, di fare nuove conoscenze, di esplorare il mondo e di ricercare una libertà che al momento non trovano nel loro paese.

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