2015-05-14

Un po’ di storia

La seta ha una storia millenaria. Si narra che la nascita della bachicoltura si deve all’imperatrice cinese Xi Ling Shi, ma probabilmente la lavorazione della seta si conosceva in Cina già nel 3000 a.C. Le vesti di seta che erano riservate agli imperatori cinesi entrarono a far parte del guardaroba della classe sociale più ricca, diventando un bene di lusso ambìto che si estese fino alle aree raggiunte dai mercanti cinesi per le qualità di leggerezza e bellezza.

In Italia giunse verso l’XI secolo e da quello successivo fu la maggior produttrice europea di seta: le città di Palermo, Messina, Catanzaro erano particolarmente rinomate. Da Palermo la coltivazione del baco e la lavorazione della seta si sarebbe diffusa prima in Italia e quindi in Europa. Il primato italiano venne infatti conteso dalla zona di Lione in Francia nel XVII secolo, nella quale giunsero molti artigiani provenienti da Catanzaro sotto dominazione francese. L’allevamento dei bachi fu un importante reddito di supporto all’economia agricola e la produzione e commercio di tessuti, assieme a quella della lana, un’industria molto redditizia che diede ricchezza e potere alle corporazioni che la praticavano, come a Firenze dove venne riconosciuta l’Arte della Seta quale una delle sette Arti Maggiori.

Industrie dei filati serici fiorirono a Lucca ed in seguito (alla fine del XIII secolo) a Bologna; il “mulino alla bolognese” viene così descritto in una cronaca del 1621:

“Certe macchine grandi, le quali mosse da un piccolo canaletto d’acqua di Reno fanno ciascuna di loro con molta prestezza filare, torcere et adopiare quattro mila fila di seta, operando in un istante quel che farebero quatro mila filatrici”



Il “mulino alla bolognese” migliorava le macchine utilizzate a Lucca mediante una ruota idraulica ed un incannatoio meccanico e permetteva di ottenere filati più uniformi e resistenti rispetto a quelli prodotti a mano o con altri mezzi meccanici. Secondo numerosi storici della rivoluzione industriale il mulino da seta alla bolognese, forte di innovazioni tecniche e dell’energia meccanica dei canali di Bologna, rappresenta un importante modello di sistema protoindustriale che permise alla città di commercializzare filati in tutta Europa attraverso il Canale Navile.



Assieme a Cina e Giappone, l’Italia è ai vertici della produzione mondiale di seta greggia. Primeggiano Catania (con sede a Palazzo Auteri), Como, zona di Meldola nel forlivese, e San Leucio (Caserta).

Caratteristiche

Caratteristiche

La seta è una fibra proteica di un animale con la quale si possono ottenere tessuti tendenzialmente pregiati. Viene prodotta da alcuni insetti dell’ordine dei lepidotteri oppure dai ragni. La seta utilizzata per realizzare tessuti si ottiene dal bozzolo prodotto da bachi da seta, nella maggior parte appartenenti alla specie Bombyx mori. A volte vengono utilizzate anche alcune specie della famiglia Saturniidae.

Il baco da seta secerne un filamento, di lunghezza variabile tra 350 metri a circa 3 chilometri, con il quale forma il bozzolo che gli serve da protezione durante la metamorfosi. Il filamento è formato da due bavelle di fibroina (presente per circa l’80% in peso) avvolte nella sericina (20% circa). Quest’ultima viene eliminata durante un processo chiamato “sgommatura”. Al microscopio la fibra ha un aspetto regolare molto simile a quello di fibre sintetiche.

La sericina può essere eliminata trattando il filo di seta grezza (seta cruda) con acqua calda: questo trattamento migliora la lucentezza, la flessibilità e la “mano” della fibra. A seconda della quantità di sericina eliminata possiamo avere:

la seta sgommata o cotta, quando la sericina è stata rimossa del tutto;

la seta raddolcita o “souplè”, nella quale la sericina è stata tolta solo in parte.

Nel caso della seta cotta si può fare un trattamento di “caricatura” che serve a migliorare la resistenza della fibra, che era stata compromessa con il processo di sgommatura. Una caratteristica particolare di questa fibra è la lunghezza del filamento: può arrivare facilmente ai 700-800 metri. Questo, rende la fibra animale più lunga.

Da 100 kg di bozzoli si ricavano 20/25 kg di seta cruda e 15 kg di cascame.

Il Gelso, la pianta del prezioso “baco da seta”

Nelle campagne, come pure nelle valli delle colline fino a circa 700 metri d´altitudine e, in posizioni soleggiate, era molto diffuso nei primi decenni del secolo scorso un albero originario della Cina e dell´India che fu introdotto in Italia nel secolo XV: si trattava del gelso bianco, l´unico albero al mondo coltivato per fornire nutrimento al preziosissimo baco da seta. Questi bachi si nutrivano di foglie di gelso, i cui alberi crescevano numerosi in lunghi filari. Grande quantità di foglie di gelso bisognava raccogliere e darli a tali insetti, i quali le “divoravano” prima di rinchiudersi nei bozzoli.

L'Arte della Seta

L’Arte della Seta

Questa corporazione riunì diverse categorie di commercianti ed artigiani, le cui botteghe erano prevalentemente ubicate tra Via Por Santa Maria, Via Porta Rossa, Via Calimala e la chiesa di Santa Cecilia, in Piazza della Signoria.

I setaioli fiorentini erano sia commercianti che tessitori; la produzione della seta in città registrò un incremento significativo a partire dal 1314, anno in cui Lucca, che fino a quel momento deteneva il primato in questo settore, venne conquistata e saccheggiata da Uguccione della Faggiola, signore di Pisa. Molti setaioli lucchesi, per sfuggire alla rovina economica decisero perciò di trasferirsi a Firenze, apportando anche tutto il loro bagaglio di conoscenze; la produzione si fece così più variegata e gli splendidi tessuti confezionati divennero sempre più richiesti. Vennero così avviate delle colture locali di bachi da seta, che fino alla fine del Trecento non erano praticate in Toscana; ma la vera e propria “industria della seta” fiorentina raggiunse i massimi livelli nel Quattrocento, quando comparvero le stoffe damascate e i broccati intessuti con fili d’oro e d’argento, che divennero rapidamente famosi ed esportati in tutta Europa. Si trattava certamente di merci di lusso, destinate ad una clientela raffinata ed esigente, molto attenta alle tendenze della moda dell’epoca; la corporazione offriva però la garanzia di commercializzare un prodotto perfetto, realizzato secondo criteri scrupolosi e da operai altamente specializzati. Alcune fasi della lavorazione erano quasi esclusivamente affidate alle donne che filavano, tessevano e ricamavano; il modo di dire “a occhio e croce”, in uso ancora oggi, proviene proprio dal linguaggio legato alle lavoranti dell’Arte della Seta, che nel caso di rottura di uno dei fili della trama durante la tessitura, dovevano fermare il telaio e rappezzarlo “ad occhio”, ripassando più volte su e giù con l’ago ed il filo “a croce” sull’ordito.

Bachicoltura

La coltivazione del baco da seta è un lavoro lungo che richiede particolari cure ed attenzioni. In passato, pur coinvolgendo l’intera famiglia, si configurava essenzialmente come attività femminile.

L’allevamento del baco aveva inizio con la schiusa dell’uovo che, prodotto a febbraio, era in genere venduto verso la seconda metà di aprile. L’incubazione durava dagli otto ai dieci giorni, al termine dei quali l’uovo si sarebbe schiuso. La larva veniva di seguito nutrita con foglie di gelso finemente sminuzzate. Raggiunte le opportune dimensioni, veniva quindi collocata su stuoie di canne o assi poste l’una sopra l’altra, in una struttura di legno sorretta da quattro pali, detta castello. Qui proseguiva la fase di nutrimento e crescita, contraddistinta da quattro lunghi periodi di inattività, al termine dei quali il baco, mangiando fino a cinque/sei volte al giorno, raggiungeva lo stadio che precede la pupa.

Soltanto nel momento in cui dalla bocca spuntava il filamento, il baco era pronto per il bosco che, in meno di una settimana, si sarebbe popolato di bozzoli, in seguito trasferiti alla filanda per la filatura.

La filatura: dal bozzolo al filo di seta

Per torcere le fibre tessili il primo attrezzo utilizzato dall’umanità furono le mani, lavoro lungo e complesso che già nel neolitico veniva seguito con l’aiuto di un fuso. Del tutto identico al modello usato in sud America, Africa e tradizionalmente nel sud Italia, il fuso dell’antichità era formato da un bastoncino (lungo una spanna) infilato in un tondino forato (largo 4-6 cm). La rotazione impressa al bastincino, prolungata dall’inerzia del tondino torce le fibre che vengono legate al fuso, che nel girare accumula sul bastoncino il filo fatto.

Filare è un lavoro lungo che occupava una considerevole fetta della popolazione, soprattutto donne e bimbi, la produzione di un alacre filatore poteva essere di pochi etti nella giornata, l’esigenza di velocizzare la lavorazione portò alla costruzione di apparecchi in legno che azionati da un pedale sveltivano di molto la produzione.

Nel Medioevo si cominciò a usare questo apparecchio che viene chiamato arcolaio, filerina o filatoio. Il primo filatoio a mano risale al 1280. Nella metà del XVIII secolo con la rivoluzione industriale si avviò la meccanizzazione della filatura. nel 1764 James Hargreaves inventa il primo filatoio meccanico a lavoro intermittente (Spinning Jenny o Giannetta), che brevetterà nel 1770. Nel 1769, Richard Arkwright, lo azionerà con una ruota idraulica. nel 1787 vi verrà applicato un primo motore a vapore.

Ciclo della filatura tradizionale

La filatura richiede delle fasi di lavorazione dei materiali indispensabili alla preparazione delle stesse, differenti a seconda delle fibre utilizzate,

Preparazione: apre, miscela e pulisce il materiale, prevede la battitura per la lana lo sfibramento con la gramola per il lino.

Cardatura: distriva le fibre, dandogli un certo ordine

che può essere seguita di finiture strutturali o estetiche come:

Filatura: torce le fibre trasformando l’ammasso cardato in cordone più o meno sottile. Il risultato si chiama filato.

Che può essere seguita da finiture strutturali o estetiche come:

Binatura: accoppiamento con torsione di capi per ottenere un filato più robusto e più stabile.

Lavaggio

Tintura

Filatura industriale

La filatura industriale è effettuata da batterie di macchinari che funzionano in modo completamente automatico. Le fasi di lavorazioni cambiano in relazione al tipo di prodotto voluto. Le operazioni per la filatura lunga prevedono le seguenti fasi:

Preparazione

Pulizia e depolverizzazione con aria compressa

Mischia: miscelazione delle fibre provenienti da balle diverse o di materiali diversi.

Cardatura

Ha lo scopo di orientare le fibre in un’unica direzione (parallelizzazione), tramite apposite macchine chiamate carde o “assortimenti di carde”. La carda è costituita da cilindri rotanti di grandi dimensioni (tamburo e pettinatore) muniti di denti metallici di opportuna finezza e numero, registrati tra di loro a pochi centesimi di millimetro (da 40 a 15 progressivamente), da organi ausiliari cardanti (lavoratori e volteggiatori) e da numerosi altri organi ausiliari (volante, sopravolante, sottovolante, entrate, rouletabosse); le fibre passano attraverso queste due superfici mobili munite di punte, per essere districate ed orientate, fino a ridursi di passaggio in passaggio in un velo di fibre parallelizzate che viene trasformato in nastro cardato (piatto) nell’ultima parte della macchina detta “divisore”.

Pettinatura

Ha lo scopo di aumentare l’omogeneità e la parallelizzazione delle fibre, scartando le più corte.

Stiro o stiratura

Ha lo scopo di mescolare e regolarizzare fibre di diverso genere o diversi lotti dello stesso genere (a esempio fibre sintetiche con fibre naturali) e rendere uniforme lo stoppino, procedendo ad una serie di accoppiamenti e successivi stiraggi (tramite stiratoi) fino a ottenere un numero determinato di fibre in ogni punto dello stoppino stesso in modo da fargli raggiungere, durante la successiva fase di filatura, il titolo desiderato, cioè la finezza desiderata.

Filatura

Lo stoppino risulta assai poco resistente; per ottenere un filato tenace ed omogeneo, è quindi ulteriormente assottigliato tramite torsione per mezzo dei cosiddetti “banchi a fusi”. Lo stoppino proveniente dai “banchi a fusi” subisce infine la torsione definitiva e l’avvolgimento su rocchetti o bobine (bobinatura) nei filatoi che possono essere intermittenti (selfacting) o continui (ad alette o ad anelli).

Roccatura

I fusi di filato prodotti dal filatoio ad anelli (ring spinning) vengono svolti dalla roccatrice e riavvolti sotto forma di rocca che solitamente è di forma troncoconica e del peso che varia dai 900 grammi ai 3000 grammi.

Allevare bachi da seta ma tecno

Allevare bachi da seta “TECNO”

Studiare da medico, architetto, farmacista? Meglio imparare ad allevare bachi da seta.

Tra i nuovi mestieri legati al settore agricolo (tra i pochi a registrare aumenti di occupazione nonostante la crisi), spunta quello del bachicoltore, mestiere antichissimo che affonda le sue origini nella Cina millenaria, molto diffuso in Italia fino alla seconda meta’ dell’Ottocento. Oggi pero’ tornare ad allevare bachi da seta non è inusuale e può rivelarsi redditizio, sia per la produzione di seta, tessuto sempre più richiesto, ma anche per attività in campo medico e cosmetologico, in ragione di proteine preziose (fibroina e sericina) che compongono il filamento serico, utili ad esempio per realizzare il filo da sutura usato in chirurgia ma anche creme e unguenti cosmetologici.

”La domanda di seta sempre è sempre più alta, si tratta di un mercato di nicchia di lusso al quale finora la Cina ha risposto con una produzione concorrenziale che ha stracciato tutti i concorrenti” spiega Silvia Cappellozza, della sede di Padova del Cra (centro ricerche agricoltura) dove dirige l’unita’ sperimentale di bachicoltura. Ma ora il benessere che si sta diffondendo nel paese sta spingendo la bachicoltura nelle zone più povere a nord ovest della Cina, dove il clima è ostile e mancano addetti con le competenze necessarie al delicato compito. ”Il calo della produzione cinese di seta sta preoccupando molto la filiera tessile, comprese le aziende italiane” dice Cappellozza, tra una pausa e l’altra ”per andare a dare da mangiare ai bachi”, preziosi, e non solo per la seta. La fibroina, tra le proteine, ha un’alta affidabilità in campo medico in quanto e’ biocompatibile e non crea rigetti. Quindi molto adatta per le suture ad esempio. C’è un forte interesse dell’industria biomedica e dell’ingegneria tissutale per un utilizzo esteso ad altri prodotti, come protesi vascolari, membrane per la riparazione delle cornee danneggiate o anche lenti a contatto di ultima generazione, alternative al vetro o alla plastica. Non solo. La seta dei bachi può essere impiegata anche per le creme. I pigmenti contenuti nella sericina sono i carotenoidi, che vantano una forte azione antiossidante, e i flavonoidi antiossidanti ed antibatterici.

Per questo la sericina viene utilizzata per creme, lozioni, shampoo, pomate. Ma intanto nuove sperimentazioni stanno scoprendo impieghi diversi. Infatti, il baco da seta può avere anche una funzione dal punto di vista nutrizionale, come ha indicato una recente ricerca Fao sulla possibilità di combattere povertà e fame attraverso insetti commestibili. ”Le ricerche effettuate sul baco da seta al fine di ottenere produzioni innovative sono il risultato del lavoro fatto dall’Ente perseguendo contemporaneamente fini pratici e ricerca di base – dice il presidente del Cra (Consiglio per ricerca e sperimentazione in agricoltura) Giuseppe Alonzo – infatti, si può fare con la seta una fibra naturale e una tecnologia ecocompatibile, un ”processo” produttivo che utilizza solo acqua, energia e proteine, un possibile utilizzo del baco da seta anche per produzioni diverse dall’industria tessile”. Insomma, investire sull’allevamento dei bachi conviene? ”E’ una domanda che ci fanno in molti – risponde Silvia Cappellozza – le premesse ci sono tutte. Infatti i primi nuclei di bachicoltori si stanno diffondendo, e sono molti più tecnologici dei loro bisnonni”. I bachicoltori ‘professionali’ al momento in Italia sono almeno una ventina, di cui solo un quarto da almeno due anni; anche l’allevamento del bozzolo resta un’attività piuttosto diffusa a livello amatoriale. Tra costi di impianto e di produzione, per partire serve un capitale iniziale di circa 10mila euro.

Fonte: http://www.conipiediperterra.com/

Artigianato serico in Italia

La crescita della produzione serica in Italia iniziò con la fine del Quattrocento: in questo periodo il paese si presentava soprattutto come un’area di produzione di materia prima, di seta grezza. Inizialmente la diffusione della seta grezza avvenne nell’Italia meridionale, soprattutto in Calabria e Sicilia, aree in cui maggiormente veniva effettuata la coltivazione dei gelsi. Successivamente, a partire dal XV secolo, questa cominciò a diffondersi in varie zone della Pianura Padana; una delle aree a maggior concentrazione produttiva di materia prima fu proprio la terraferma veneta, in particolare i territori di Vicenza e Verona che in seguito diverranno i più grossi produttori europei di seta grezza. Come si può immaginare, la seta grezza poteva essere esportata e ciò implicava uno svantaggio economico non trascurabile, in quanto il valore aggiunto si trovava sul prodotto finito e non sul semilavorato. Quindi, se un paese si specializzava sulla materia prima, non poteva certamente rappresentare il paese guida ed è proprio per questo che l’Italia, da dominatrice dell’economia europea, fu sottoposta al superamento da parte dei paesi del Nord Europa.

Malgrado questo, in Italia persistettero città come Lucca, Firenze, Milano e Genova che producevano il manufatto finito; è importante inoltre ricordare Bologna, che si specializzò in una produzione particolare di drappi serici: il velo da seta, un tessuto molto leggero che doveva essere trattato per essere completato.

Se il 1146, con l’apertura di setifici a Palermo, Reggio Calabria, Catanzaro e Messina, segnò l’inizio della grande arte serica italiana, il 1272 vide aperta a Bologna, dal lucchese Francesco Borghesano, la prima torcitura.

La produzione di bozzoli in Italia comincia a declinare nel periodo tra le due guerre mondiali fino a scomparire dopo l’ultima, a causa di due fattori: la produzione di fibre sintetiche e il cambiamento dell’organizzazione agricola. Con l’inurbamento e l’industrializzazione la concorrenza estera divenne insostenibile. Continuarono a produrre, grazie alle tecnologie avanzate e all’alta qualità dei prodotti destinati alla moda e all’arredamento, le tessiture e stamperie del centro-nord, che lavoravano seta cinese. Ora che i paesi asiatici si stanno massicciamente industrializzando e il loro livello tecnologico e qualitativo si adegua alle esigenze occidentali la loro concorrenza è diventata insostenibile: molti produttori italiani si limitano a commercializzare coi loro marchi prodotti interamente realizzati all’estero.

Nel 1900 i maggiori esponenti dell’ industria serica italiana furono le famiglie Gavazzi e Ferrario (cav. comm. grande uff. Angelo Ferrario, presidente nazionale ed internazionale dell’industria serica dal 1913 al 1929) e la ditta Schmid. La Schmid aveva stabilimenti a Cavenago di Brianza (MB) ed a Cassolnovo (PV), ma aveva sede a Milano. A Cavenago venne prodotta tutta la stoffa usata per ricoprire i palchi e le pareti del teatro alla Scala di Milano dopo i bombardamenti subiti nella seconda guerra mondiale. Sempre a Cavenago venne confezionata tutta la stoffa usata per produrre il manto della Regina d’Italia, Elena del Montenegro.

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