2015-05-22

Abstract: La città di Bari ospiterà nei giorni 22-23-24 maggio 2015 la “Race for the cure”, evento simbolo della Susan G. Komen Italia, organizzazione senza scopi di lucro, basata sul volontariato, che opera su tutto il territorio nazionale nella lotta al tumore al seno. La manifestazione di tre giorni sarà ricca d’iniziative dedicate a salute, sport, benessere e solidarietà e culminerà domenica con la maratona di 5 km e la passeggiata di 2 km. L’evento è sponsorizzato da numerose aziende partner, locali e nazionali, tra cui Divella, Banca Popolare di Bari, MSD e Sky, tutte impegnate nella lotta al tumore della mammella. Nonostante le numerose iniziative volte a sensibilizzare i cittadini verso la prevenzione e la diagnosi precoce, di cancro al seno continuano a morire 11000 donne l’anno, solo in Italia.

Il carcinoma della mammella è la più comune neoplasia maligna nelle donne, e si attesta al secondo posto per mortalità in Italia, preceduto dal tumore al polmone e seguito dal cancro della cervice uterina. Una donna che vive sino a novanta anni di età ha una possibilità su otto di sviluppare un carcinoma della mammella. Recenti dati epidemiologici hanno dimostrato un incremento delle diagnosi di tumore al seno; questi dati potrebbero spaventare un occhio inesperto: l’aumento del numero dei casi è da ricondurre a un aumento della prospettiva di vita della popolazione (maggior numero di diagnosi negli anziani) e a una migliore sensibilità e specificità diagnostica degli esami di screening precoce. A un aumento del numero di diagnosi si è, infatti, associato un calo della mortalità, per cui, dal 2008, il tumore al polmone ha spiazzato il carcinoma della mammella come neoplasia più frequente e letale nella donna. Quello che tuttora preoccupa è il divario tra Nord e Sud Italia nella percentuale di donne che si sottopongono agli screening (80% contro 50%), il che spiega come la mortalità per cancro al seno sia maggiore nel meridione rispetto al settentrione.

Si è osservato che la neoplasia della mammella è una malattia eterogenea con una grande varietà di aspetti istologici (forma, numero, dimensione e numero delle cellule tumorali). Recenti studi hanno dimostrato che esistono diversi tipi di carcinoma, che si possono però classificare in alcuni grandi gruppi con importanti differenze biologiche, cliniche e terapeutiche. La maggior parte dei carcinomi è positiva per il recettore degli estrogeni (ER). I carcinomi ER-positivi ed ER-negativi mostrano differenze significative in quanto a caratteristiche del paziente, aspetti patologici, risposta alla terapia e prognosi; tra poco scopriremo il motivo.

Quali sono i fattori di rischio?

A differenza di altre neoplasie, per cui esistono solo elementi che predispongono al cancro, per il tumore al seno è stato possibile individuare fattori di rischio negativi (aumentano il rischio di contrarre il tumore) e fattori di rischio positivi (riducono il rischio di contrarre il tumore). I più comuni fattori di rischio sono stati raccolti nel modello Breast Cancer Assessment Tool (BRCAT); il modello serve per calcolare il rischio assoluto che una specifica donna ha di sviluppare un carcinoma nei successivi 5 anni oppure nel corso della vita.

– Sesso: il sesso rappresenta sicuramente il principale fattore di rischio; solo l’1% dei carcinomi al seno si presenta negli uomini, che si traduce in un rischio nel corso della vita dello 0,11% per gli uomini, rispetto al 13% delle donne.

– Età: l’incidenza aumenta nel corso della vita, con un picco all’età di 75-80 anni. L’età media al momento della diagnosi è di 61 anni per le donne bianche, 56 per le ispaniche e 46 anni per le afroamericane. Il carcinoma della mammella è molto raro in tutti i gruppi etnici prima dei 25 anni.

– Età del menarca: le donne che presentano il menarca (prima mestruazione) prima degli 11 anni hanno un aumento del rischio del 20% rispetto alle donne che raggiungono il menarca dopo i 14 anni. Anche la menopausa tardiva (dopo i 56 anni) aumenta il rischio.

– Età del primo parto a termine: le donne che hanno il primo parto a termine a meno di 20 anni hanno un rischio dimezzato rispetto alle donne senza figli o alle donne che all’epoca della prima gravidanza a termine hanno più di 35 anni. Si suppone che la gravidanza comporti una modificazione delle cellule della ghiandola che le sottrae da una possibile evoluzione neoplastica; una gravidanza tardiva tuttavia, non allontana questo rischio, perché la modificazione in senso tumorale potrebbe già essere avvenuta.

– Parenti di primo grado con tumore al seno: il rischio di sviluppare carcinoma mammario aumenta con il numero di parenti di primo grado (madre, sorella, figlia) affetti da neoplasia della mammella. Tuttavia solo il 13% delle donne con tumore al seno ha un parente di primo grado affetto e, a sua volta, oltre l’87% delle donne con storia familiare di tumore al seno non svilupperà il cancro.

– Razza: le donne bianche non ispaniche presentano la più elevata incidenza di tumore al seno; tuttavia, nelle donne afroamericane e ispaniche la patologia si presenta più precocemente e con maggiore aggressività.

– Iperplasia atipica: la precedenza di biopsie mammarie che mostravano un’iperplasia atipica, aumenta il rischio di carcinoma invasivo.

– Esposizione agli estrogeni: è stato dimostrato che la terapia ormonale sostitutiva post-menopausale, ossia la somministrazione di estrogeni in donne in menopausa, aumenta il rischio di tumore al seno di 1,2-1,7 volte e l’aggiunta di progesterone alla terapia aumenta ulteriormente il rischio. Non è stato dimostrato in modo convincente che i contraccettivi orali influiscano sul rischio di carcinoma della mammella, ma diminuiscono quello di sviluppare carcinomi dell’endometrio e delle ovaie. I farmaci che bloccano gli effetti degli estrogeni o limitano la formazione di estrogeni diminuiscono il rischio di carcinoma della mammella ER-positivo.

– Densità della mammella: un’alta radio densità della mammella rappresenta un forte fattore di rischio per lo sviluppo del tumore al seno. L’alta densità è correlata alla giovane età, alla predisposizione familiare e all’esposizione agli estrogeni.

– Esposizione a radiazioni: l’esposizione del torace a radiazioni dovute a radioterapia (in passato soprattutto per linfomi del torace) o incidenti nucleari aumenta la frequenza di sviluppo del tumore al seno in modo direttamente proporzionale alla quantità di radiazioni ricevute.

– Dieta: non sono state dimostrate associazioni significative tra dieta e sviluppo del carcinoma mammario; tuttavia si ritiene che i consumatori abituali di caffeina abbiano un rischio ridotto, mentre chi consuma abbondantemente alcool, ha un rischio aumentato. Le donne obese in età fertile hanno un rischio minore di contrarre il tumore; tuttavia l’obesità rappresenta un fattore negativo dopo la menopausa, non solo per il tumore al seno, ma anche per lo sviluppo di neoplasie del tratto gastrointestinale e patologie cardiovascolari.

– Allattamento al seno: quanto più le donne allattano al seno, tanto, maggiore è la riduzione del rischio. La più bassa incidenza del carcinoma mammario nei Paesi in via di sviluppo è in gran parte correlata alla più frequente e prolungata pratica dell’allattamento al seno.

– Fumo di sigaretta: il fumo non sembra essere associato allo sviluppo del tumore al seno; tuttavia è associato con mastiti periduttali (processo infiammatorio della ghiandola mammaria) e carcinoma polmonare.

Il tumore al seno

I maggiori fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma della mammella sono l’ereditarietà genetica e l’esposizione ormonale. I tumori al seno possono perciò essere divisi in due grandi gruppi: casi sporadici e casi ereditari.

La familiarità per il tumore al seno rappresenta un fattore di rischio importante. In alcune famiglie, lo sviluppo della neoplasia è connesso alla mutazione di un singolo gene correlato al carcinoma mammario (BRCA1 o BRCA2 geni del carcinoma mammario tipo 1 e 2). Le mutazioni in questi geni sono responsabili del 3% dei casi totali di tumore al seno. La probabilità di sviluppare il tumore per i portatori di questa mutazione varia dal 30% al 60%, a seconda della specifica mutazione: le mutazioni di BRCA1 sono più spesso associati a una neoplasia mammaria difficile da diagnosticare e trattare (il cosiddetto fenotipo triplo negativo) e aumentano anche il rischio di sviluppare un carcinoma dell’ovaio (20-40% dei portatori); le mutazioni di BRCA2 sono spesso associate a un carcinoma mammario ER-positivo, più facile da trattare, hanno un rischio minore di sviluppare carcinoma ovarico (10-20% dei portatori), ma sono più frequentemente associate al carcinoma della mammella maschile. Il celebre caso di mastectomia bilaterale preventiva subito dall’attrice statunitense Angelina Jolie, poichè portatrice del gene BRCA 1, ha aperto un dibattito sull’adeguatezza dell’intervento in presenza della mutazione. Al momento la comunità scientifica non ha espresso pareri concordanti.

I principali fattori di rischio per il tumore al seno sporadico sono: sesso, età della prima mestruazione e della menopausa, allattamento al seno e uso di estrogeni. La maggior parte di queste neoplasie si sviluppa nelle donne dopo la menopausa ed è ER-positiva.

Aspettativa di vita

La prognosi nelle donne con tumore al seno varia ampiamente; molte donne hanno un’aspettativa di vita normale, mentre altre hanno soltanto il 10% di possibilità di sopravvivere entro 5 anni dalla diagnosi. Nella maggior parte dei casi la prognosi è determinata dall’esame istologico del tumore e dei linfonodi ascellari. I principali fattori prognostici sono:

– Carcinoma invasivo e in situ: per definizione un carcinoma in situ (CIS) non può metastatizzare. Tuttavia se un carcinoma in situ non è diagnosticato in tempo, può trasformarsi in carcinoma invasivo, altamente associato alla formazione di metastasi. Circa la metà dei carcinomi invasivi presenta metastasi a distanza al momento della diagnosi;

– Metastasi a distanza: una volta che le metastasi a distanza sono presenti, la guarigione è improbabile, sebbene remissioni a lungo tempo possano essere ottenute in donne con tumori responsivi ai trattamenti ormonali. Le sedi più colpite da metastasi sono i linfonodi ascellari e retro sternali, le ossa, i polmoni, il fegato e il sistema nervoso;

– Metastasi linfonodali: lo stato dei linfonodi ascellari è il più importante fattore prognostico per il carcinoma invasivo della mammella in assenza di metastasi a distanza. Senza coinvolgimento linfonodale, la sopravvivenza a 10 anni è vicina al 70-80%; con un numero da uno a tre linfonodi positivi la sopravvivenza scende al 35-40% e al 10-15% in presenza di più di 10 linfonodi positivi. Il “linfonodo sentinella” rappresenta il linfonodo che per primo drena la linfa proveniente dal tessuto tumorale; nella maggior parte dei casi la prima metastasi si localizza proprio nel linfonodo sentinella. Se una biopsia limitata al linfonodo sentinella è negativa per metastasi, esiste una bassa probabilità che altri linfonodi distanti siano coinvolti; per questo motivo la biopsia del linfonodo sentinella è stata adottata da molti centri per la stadiazione e la prognosi della malattia.

– Dimensioni tumorali: la dimensione del tumore rappresenta il secondo fattore prognostico per importanza; i tumori maggiormente associati a una prognosi positiva, con sopravvivenza superiore al 90% a 10 anni sono di dimensione inferiore al centimetro. Sfortunatamente, l’autopalpazione della mammella non riduce la mortalità, suggerendo che quando le neoplasie diventano palpabili (in genere quando raggiungono i 2-3 cm) hanno già acquisito capacità di metastatizzare;

– Recettori per estrogeni e progesterone: la presenza di recettori per estrogeni sulle cellule tumorali (ER-positivi) rappresenta un fattore prognostico migliore rispetto ai ER-negativi o ai tripli negativi (tumori che non possiedono il recettore per gli estrogeni e i recettori cellulari HER2 – neu). Il motivo principale risiede nella capacità del tumore ER-positivo di rispondere alla terapia ormonale con farmaci che bloccano gli effetti degli estrogeni (tamoxifene, raloxifene), limitano la formazione degli estrogeni (inibitori dell’aromatasi), o bloccano il recettore HER2-neu (trastuzumab). Gli estrogeni hanno un ruolo fondamentale nell’accrescimento delle cellule tumorali, rappresentando dei veri e propri fattori di crescita. Bloccando l’attività degli estrogeni è possibile bloccare l’accrescimento del tumore o addirittura indurne una regressione.

La sintomatologia

La sintomatologia più comune in un processo patologico della mammella comprende: dolore (mastodinia o mastalgia), prurito, secrezione, una massa (nodulo) palpabile. Il dolore è un sintomo comune che può presentarsi in forma ciclica in corrispondenza del ciclo mestruale. Il dolore non ciclico si manifesta in un’area ben delimitabile della mammella e può essere attribuito a traumi, infiammazione o rottura di cisti. Sebbene la maggior parte delle cisti sia benigna, è bene ricordare che il 10% circa dei carcinomi mammari si presenta con dolore. Anche i noduli palpabili sono frequentemente presenti: solo il 10% dei noduli mammari in donne con meno di quarant’anni è risultato maligno, contro il 60% dei noduli in donne con età superiore ai sessant’anni. La fuoriuscita di secreto dal capezzolo, in particolar modo stiata di sangue o francamente ematica, è un sintomo poco frequente ma non va trascurato quando la secrezione è spontanea e monolaterale, poiché potrebbe essere causata da un carcinoma. I segni radiografici (mammografici) principali di un tumore al seno sono gli addensamenti e le calcificazioni, tuttavia nel 10% dei casi non è possibile rilevare alcuna alterazione radiografica.

La diagnosi

La diagnosi del tumore al seno si avvale dell’esame fisico della mammella e di esami strumentali come la mammografia, l’ecografia mammaria e l’agoaspirato. I due esami di screening di primo livello sono la visita senologica e la mammografia. La visita senologica consiste nell’esame clinico completo del seno da parte di un medico specializzato. È una metodica semplice e indolore ma non è da sola sufficiente a formulare una diagnosi precisa. La visita senologica non è necessaria per le donne giovani con meno di quarant’anni che effettuano l’autopalpazione. Dai quarant’anni è fortemente raccomandata una visita senologica annuale. Le donne con familiarità di tumore al seno sono invitate a effettuare la visita annualmente dai venti anni. La mammografia è un esame radiografico che consente di improntare su una pellicola fotografica la struttura del tessuto mammario; non è indicata nelle donne di età compresa tra i venti e i quaranta, a causa della particolare densità del tessuto mammario. Tra i quaranta e i cinquanta è consigliabile effettuare una mammografia ogni due anni, mentre dai cinquant’anni è indicato un esame mammografico annualmente. La cadenza dell’esame può essere modificata in base al risultato dei precedenti referti o della familiarità per tumore. Nelle donne con familiarità per tumore al seno è indicata l’analisi genetica del DNA per l’identificazione di mutazioni nei geni BRCA 1 e 2. Qualora siano identificate le mutazioni, è indicata un’ecografia semestrale e una risonanza magnetica annuale.

La diagnosi positiva per neoplasia negli screening di primo livello necessita di una conferma diagnostica di secondo livello, che si avvale dell’agoaspirato e della biopsia mammaria. Un frammento di tessuto mammario è prelevato mediante sofisticati strumenti chirurgici e analizzato al microscopio per la diagnosi del tipo istologico. Il differente tipo di tumore (essenzialmente ER-posisivo e negativo) rispecchia un differente approccio terapeutico. Una volta confermata la diagnosi di tumore al seno è indicata l’individuazione del linfonodo sentinella nonché una HR-TAC (Tomografia Assiale Computerizzata ad alta risoluzione) o una RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) per la ricerca di eventuali metastasi a distanza.

L’autopalpazione

L’autopalpazione resta un momento di fondamentale importanza nella diagnosi precoce del tumore al seno. La comunità scientifica concorda sulla questione della responsabilizzazione del paziente: il paziente deve prendere coscienza del proprio stato di salute e agire come medico per se stesso. L’autopalpazione del seno è una pratica che tutte le donne, dai vent’anni in su, dovrebbero praticare almeno una volta al mese davanti allo specchio, tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo mestruale. La mammella femminile può essere anatomicamente divisa in quattro quadranti per mezzo di una croce con centro nel capezzolo; in alternativa, si può considerare la mammella come il quadrante di un orologio e un reperto può esservi localizzato indicandovi l’ora corrispondente e la distanza in centimetri dal capezzolo. La maggior parte dei carcinomi mammari (70-80%) si localizza nel quadrante superiore esterno. L’auto-esame della mammella consiste di sue momenti fondamentali: ispezione e palpazione.

Nell’ispezione la paziente è invitata a porsi a petto nudo davanti allo specchio e valutare:

– Dimensioni e asimmetria: una lieve asimmetria o differenza di volume può essere normale;

– Contorno: per evidenziare eventuali masse, fossette o retrazioni la paziente deve sollevare le braccia sopra la testa o premere le mani contro i fianchi;

– Aspetto della cute: colore, ispessimento o edema, reticoli venosi, arrossamento, cute a buccia d’arancia;

– Dimensioni e forma dei capezzoli: un’introflessione congenita del capezzolo è normale, tuttavia una deviazione anomala o un’introflessione di un capezzolo normale può essere indice di un sottostante tumore o processo infiammatorio;

– Presenza di eruzioni o ulcerazioni: le dermatiti sono suggestive per un cancro infiammatorio;

– Secrezioni: la presenza di secrezione, soprattutto dopo la stimolazione del capezzolo è frequente; la natura della secrezione può essere d’aiuto: in genere il secreto di una paziente con tumore al seno è generalmente striato di sangue o francamente ematico;

– Colore: un cambiamento del colore dell’areola è apprezzabile durante la gravidanza.

La palpazione della mammella sarà volta a meglio definire eventuali reperti osservati o a coglierne di nuovi. Per una migliore valutazione è consigliato alla paziente di porsi a petto nudo davanti allo specchio e di sollevare sopra la testa il braccio dello stesso lato della mammella da analizzare, mentre con l’altro si effettua la palpazione. Successivamente si inverte la posizione. Con i polpastrelli delle tre dita centrali bisogna palpare dolcemente e, attraverso movimenti rotatori, tutto il tessuto mammario, esaminando un quadrante alla volta. I movimenti da usare possono essere: dall’alto verso il basso, circolari, latero-laterali, un quadrante per volta. I caratteri da valutare sono: consistenza ed elasticità dei tessuti, la dolorabilità, la presenza di eventuali noduli; in periodo premestruale sono frequenti una lieve dolorabilità e tensione delle mammelle. Nel caso siano presenti noduli, andranno descritti sede, dimensioni, consistenza, mobilità e dolorabilità degli stessi. Infine deve essere palpato ciascun capezzolo per valutare forma, consistenza, elasticità, dolorabilità e la presenza di eventuali secrezioni. È importante notare le differenze tra le due mammelle nell’individuare eventuali anomalie. Nella palpazione del seno non bisogna tralasciare il cavo ascellare: dal quadrante superiore esterno si diparte verso l’ascella il legamento di Cooper, legamento fibroso che mantiene sollevato il seno e lo attacca al cavo ascellare. Frequentemente, residui di tessuto mammario si estendono verso l’ascella e frequentemente possono essere interessati dal processo neoplastico. Nell’esame del cavo ascellare andrà valutato l’aspetto della pelle, il colore, la consistenza, la dolorabilità, la sudorazione e l’eventuale presenza di noduli che possono rappresentare il primo segno di un tumore al seno.

La terapia

La prima e più efficace terapia nei confronti dei tutti i tumori solidi è senza dubbio la terapia chirurgica. Dai primi interventi di mastectomia radicale, in cui si rimuoveva tutto il seno e tutti i linfonodi del cavo ascellare, si è arrivati a delle tecniche chirurgiche sofisticate e conservative che permettono di conservare gran parte della mammella, avendo un impatto significativo sia sulla patologia sia sulla psiche della donna che ha subito l’intervento. La quandrantectomia è la tecnica chirurgica più adoperata, quando le dimensioni del tumore lo permettono, poiché consente l’asportazione di una parte limitata di tessuto mammario e muscolo pettorale con risultati estetici sovrapponibili a quelli di un normale intervento di riduzione del seno (mastoplastica riduttiva). Spesso all’intervento sulla mammella col tumore, si aggiunge un intervento di riduzione del seno opposto al fine di migliorare il risultato estetico. Spesso alla terapia chirurgica sono affiancate la radioterapia e la chemioterapia con lo scopo di ridurre al minimo la possibilità che il tumore si ripresenti (recidiva). Quando la chirurgia non può essere adoperata, chemioterapia e radioterapia rappresentano dei supporti volti a prolungare la sopravvivenza delle pazienti, con risultati non sempre efficaci.

L’identificazione istologica di particolari recettori (estrogeni – HER2-neu) ha aperto la strada a nuove forme di terapie farmacologiche (tamoxifene, raloxifene, trastuzumab) ampiamente efficaci, da affiancare alla chirurgia.

Spesso però ci si dimentica che la patologia neoplastica va oltre a quello che è il semplice tumore della mammella: la diagnosi di un carcinoma ha un profondo effetto negativo sulla psicologia del paziente che ha bisogno di non sentirsi solo, e di non essere trattato come un pezzo di carne da cui asportare qualcosa di marcio. Il rapporto tra il medico e il paziente neoplastico è spesso difficile e richiede grande umanità ed empatia da parte del medico, ma anche da parte dell’equipe ospedaliera e da tutti coloro che circondano il paziente. Sono numerosissimi gli studi che hanno dimostrato la diretta correlazione tra un atteggiamento negativo, la depressione, le psicosi, con lo sviluppo o l’aggravamento di patologie, tra cui i tumori. È importante rassicurare il paziente sulle proprie condizioni di salute e fare in modo che ogni alternativa terapeutica non sia tralasciata; ecco perché al chirurgo e all’oncologo, devono essere affiancate figure che permettano un recupero psicologico del paziente tanto da renderlo di nuovo padrone della propria vita e sicuro di sé. Queste figure sono gli psicologi, ma la maggior parte del lavoro è svolta da parenti e amici. Spesso la chirurgia oncologica della mammella lascia un segno indelebile sul corpo e nell’anima di chi la subisce. Le pazienti sono invitate a sottoporsi a sedute di chirurgia ricostruttiva del seno, che restituisca la normale armonia della mammelle e la consapevolezza di sentirsi donna a tutti gli effetti. Da circa tre anni è stato introdotto il corso di laurea di “Beauty Recovery Specialist” presso l’Università Campus Biomedico di Roma. Questo corso di laurea, promosso dall’unità operativa di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, mira alla formazione di figure indispensabili che affianchino il medico nella gestione del paziente. Il corso si rivolge prevalentemente a chi possiede diploma di estetista e si pone l’obiettivo di aumentare, attraverso la specializzazione, la formazione di operatrici capaci di eseguire trattamenti estetici e di supporto psicologico su persone che hanno subito interventi chirurgici traumatici (in primis la mastectomia radicale). Questa figura professionale fornisce la propria consulenza in cosmesi e trattamento delle lesioni cutanee, nonché la propria consulenza psicologica volta a far sentire il paziente una persona e non un malato. Nonostante il corso di laurea sia avviato da almeno 3 anni, si parla ancora poco del beauty recovery specialist. Spesso in mancanza di un supporto da parte delle istituzioni, nascono associazioni di volontariato che forniscono supporto farmacologico, e psicologico a malati terminali o pazienti sottoposti a chirurgia demolitiva. L’associazione Gabriel, nata da un’idea del professor Gennaro Palmiotti, responsabile dell’unità operativa oncologica dell’ospedale Di Venere di Bari, promuove, attraverso il volontariato, l’umanizzazione in oncologia, mediante la formazione di ambienti idonei in cui non si cura solo la malattia, ma anche la persona, facendola sentire apprezzata, restituendo l’importanza della cura del corpo. L’associazione fa conto sull’aiuto di volontari, medici e beauty recovery specialist. In questo modo è possibile non solo guarire il cancro, ma anche restituire la vita al paziente.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

Harrison, principi di medicina interna XVIII edizione (2013);

Robbins e Cotran, le basi patologiche delle malattie VIII edizione (2013);

Fradà e Fradà, Semeiotica medica, IV edizione (2009);
www.airc.it;
www.registri-tumori.it;
www.unicampus.it/beauty-recovery-specialist;
www.associazionegabriel.altervista.org;

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