2016-09-22



Ph. Signe Vilstrup

Kasia Smutniak è una donna che va presa al volo, mentre fa i bagagli, una zona franca tra l’ennesimo ritorno e un’altra partenza. L’attrice, 37 anni appena compiuti, fra le più belle e le più intense della sua generazione, arriva da un impegno in Puglia e sta per «sparire», dice, «in Nepal, nel cuore del Mustang, l’ultimo vero Tibet, per inaugurare la scuola costruita con i fondi della Pietro Taricone onlus», creata nel 2011 in memoria del compagno scomparso.

In un caldo sabato pomeriggio, Kasia parla via Skype dalla sua casa a Formello, nella campagna a un’ora scarsa dalla capitale, dove il cellulare prende pochissimo e la connessione Wi-Fi può essere capricciosa. «Aspetta che attivo la webcam… Eccoti, eccomi!». Capelli raccolti in una semplice coda di cavallo, viso luminoso acqua e sapone, canotta nera. Dall’interno dell’abitazione si sposta in quello che ha tutta l’aria di essere un patio; in sottofondo, il canto delle cicale. Si lascia cadere su una sedia. La sua quiete dura meno di un attimo. Si alza, mi abbandona davanti allo schermo vuoto per cercare qualcosa. Ricompare per chiacchierare fino alla fine, con calma, intelligenza, una certa cautela e sorrisi veri. Il primo che le attraversa il volto è dedicato al servizio fotografico di queste pagine, realizzato giorni addietro a Milano, negli spazi di NonostanteMarras, il concept store dello stilista di Alghero: «Ogni volta che mi capita “un’incursione” nella moda, ritrovo qualcuno con cui ho condiviso momenti piacevoli di shooting passati».
Sguardi che stregano l’obiettivo, giochi di gambe, una sistemata alla scollatura. Il tutto con una tale naturalezza. Averti vista sul set di questa cover story mi ha fatto pensare ai tuoi esordi come modella.

«Ero una ragazzina, una diciassettenne credo. A quei tempi si trattava di una carriera ancora più breve di oggi: quattro anni, forse tre. Oddio, non me lo ricordo. Però, se eri sveglia e avevi capacità di osservazione, ne traevi il meglio: visitavi mezzo mondo, ti concedevi full immersion in culture lontane e imparavi le lingue».
Tu quante ne parli?

«Quattro: la mia d’origine ovvero il polacco, l’italiano, l’inglese e il russo».
Dagli stilisti top e dalle pubblicità-tormentone – leggi Tim – ai film scelti con cura, un bravo regista via l’altro, tra i quali Luc Besson, Carlo Mazzacurati, Ferzan Özpetek.

«Invece da piccola sognavo per me cose diverse, cose grandi, ambiziose: diventare astronauta oppure la donna numero 1 che sbarca sulla luna, o una ricercatrice che scopre una particella fondamentale e così salva vite umane».
I tuoi genitori che cosa sognavano per te?

«Per molto tempo hanno sperato che tornassi sulla retta via, che riprendessi gli studi e trovassi un mestiere serio. Un padre nell’aeronautica, un’infanzia nelle basi militari della Polonia, gli amici di famiglia e i figli degli amici di famiglia anche loro appartenenti a quel contesto: insomma, non era certo un ambiente dove si frequentavano gli artisti. Per i miei genitori, io ho preferito la strada facile, anzi, facilissima. Soltanto con gli anni si sono ricreduti. Hanno visto la quantità di impegno che serve per lavorare nel mondo dello spettacolo. Sì, impegno e tempra, e parecchia disciplina, e altrettanta testa per gestire ciò che ti succede, scegliere le persone di cui fidarti e a cui affidarti, prendere le decisioni giuste per te».

>> LEGGETE TUTTA L’INTERVISTA A PAG. 189 DI GLAMOUR OTTOBRE.

L'articolo Kasia Smutniak: «Io sono vera» sembra essere il primo su Glamour.it.

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