2016-10-27



Si  sono sprecati fiumi di caratteri nelle ultime ore, una gara alla presa di posizione per affrontare l’affronto che Bethesda ha rivolto alla categoria dei giornalisti videoludici. Sintesi per chi ieri si fosse recato su Marte a verificare le condizioni della sonda Schiaparelli: l’azienda statunitense ha ufficializzato, sulla scia della release di Skyrim: Special Edition, che fornirà i codici review dei suoi titoli solo in prossimità del lancio dei sudetti, in modo che tutti possano fruirne allo stesso modo. Potete andare anche a leggere il post ufficiale di Bethesda direttamente sul loro sito,  chissà che ne possiate cogliere qualche altra sfumatura che lasci spazio alle interpretazioni.



Inutile sollevare stendardi della professionalità, indignarsi di fronte ad un atto che si vuole identificare come un’onta per la categoria dei giornalisti videoludici: ci vuole una sana presa di coscienza che porti ad evitare di essere ipocriti per riconoscere come il mondo del videogioco sia un business e che quindi vada gestito come tale da chi ne è protagonista. Abbiamo passato anni a bearci della nostra passione, a comunicarla nel tentativo di renderla globale, interessante, che potesse essere comunicabile anche a chi era abituato a fare ben altro nel proprio tempo libero. In quegli anni eravamo la lancia e lo scudo di un settore che bramava la crescita, eravamo l’ariete pronto a sfondare le incertezze del pubblico, convincendo con i nostri sorrisi e con la nostra competenza come non ci fosse nulla di male nel preferire una partita ad un videogioco piuttosto che andare al cinema o in qualche locale. Eravamo importanti, sebbene lo fossimo in quella che a conti fatti era ancora una nicchia crescente. Ne sono successe però di cose nel tempo… l’iPhone ha sdoganato l’idea dei contenuti fruibili in qualsiasi momento, Facebook e Twitter ha permesso di condividerli in tempo zero, Youtube ha dato occasione a chiunque di avere uno spazio in cui esprimersi. E in tutto questo c’è stata una fetta di critica vidoeludica, di giornalisti professionisti del settore, che non ha provato a fare passi avanti, che anziché riconoscere l’importanza crescente di alcuni fenomeni si limitava a denigrarli dall’alto della propria posizione di “esperti” apparentemente intoccabili.

Il pubblico che fa i numeri oggi non è fatto di venti/trentenni

Ebbene non ci vuole un genio per capire che se i tanto vituperati Youtuber hanno acquisito sempre più spazio in campo promozionale e nelle fiere – senza tra l’altro che nessuno (tranne casi che definirei eccezioni) dei mitici campioni dell’informazione tradizionale trovasse il medesimo rilievo e considerazione –  non lo si doveva semplicemente ad una mandria di decerebrati incapace di discernere informazione di qualità da quella becera in stile cinepanettone, bensì ad un mutamento del modo di considerare intrattenimento e comunicazione, dovuto anche all’accesso a certi strumenti in età sempre più precoce. Il pubblico che fa i numeri oggi non è fatto di venti/trentenni, ma di ragazzini anche molto piccoli che seguono gli influencer su Youtube come noi pendevamo dalle labbra dei nostri giornalisti di riferimento. Sarà da capire quanto potrà durare, quando scoppierà la bolla dei numeri che non si traducono necessariamente in vendite, ma la realtà dei fatti è che quando ho visto qualcuno svenire davanti al palco di Nintendo era per Favij, non certo per una grande firma della stampa.



Tu lo sfotti e lui… ZAC! Ecco che ti ruba il lavoro in un paio di click

E qui ritorniamo al discorso iniziale: quello dei videogiochi è un business, muove ormai capitali immensi anche solo in fase di marketing e distribuzione, quindi chi si occupa di comunicare determinati prodotti lo fa compiendo delle scelte che vadano nel proprio interesse. Il giornalismo videoludico non raggiunge un bacino sufficiente a pareggiare i numeri che fanno Youtuber anche di fascia non necessariamente alta, figuriamoci quelli più rilevanti che mobilitano intere armate nelle varie fiere del settore. Ma anche volendo dare fiducia a numeri ridotti in favore di competenza, professionalità e chiarezza, c’è da considerare l’elemento più importante all’atto di pubblicizzare un prodotto: se ne deve parlare bene. Il giornalista videoludico è imprevedibile, non è una risorsa sotto controllo: si potrebbero passare ore a seguire una testata per fornirgli in anteprima codici e materiali, impiegando tempo (prezioso) delle persone che la seguono giornalmente  e poi ritrovarsi – così, all’improvviso – una copertura negativa, un voto basso, un disincentivo all’acquisto. La stampa non è più uno strumento utile alla comunicazione del prodotto prima del lancio: i soldi si investono in pubblicità sulle tv, su internet, nelle fiere o supportando uno youtuber che gioca in anteprima mostrando il titolo a centinaia di migliaia di persone in un istante, magari giocandoci male, dicendo qualche fesseria, ma facendo divertire la gente che assocerà a questo prodotto il momento di intrattenimento positivo appena vissuto, tutto in linea con la filosofia del preorder al giorno zero, ovvero all’annuncio. Senza voti, senza sentenze, senza proclami su vendite e acquisto.

Di fronte all’idea che tutti i publisher seguano l’esempio di Bethesda (spoiler: forse non ve ne siete accorti, ma la cosa sta già avvenendo gradualmente) la reazione del giornalista è quella di continuare a fare quello che ha sempre fatto, rispondendo al peggioramento delle condizioni del proprio lavoro con il taglio dell’impegno e dell’attenzione per continuare a presentarsi con recensioni e articoli in tempo per gli embarghi, per non perdere click e visibilità, credibilità e indicizzazioni su Google. Esattamente come i lavoratori che nelle fabbriche vedono ridursi gli strumenti a disposizione e la paga, ma continuano a chinare il capo lavorando più veloce, per riuscire a fare lo stesso il proprio lavoro. Chissà, mossi forse da un bizzarro orgoglio o da semplice stupidità. O da cose più importanti come doversi occupare di una famiglia da mantenere. Ma non siamo operai di aziende metallurgiche, siamo elementi di un settore fluido, in continua evoluzione, che non può rimanere ancorato al modo di lavorare del passato.

Ma non siamo operai di aziende metallurgiche, siamo elementi di un settore fluido

Se si ritiene opportuno uscire con una recensione fatta di corsa per rispondere colpo su colpo a chi ha avuto settimane, se non mesi, per valutare il prodotto, preparatevi a mettere online prodotti scritti da “professionisti esperti” che faranno ridere per incompletezza rispetto a quanto prodotto dai fenomeni del web che tanto venivano derisi qualche tempo fa. È tempo di rimettersi in discussione e rendersi conto che le colpe non sono solo degli altri. Riorganizzarsi e ripartire, compatti come settore, per non farsi fagocitare da legittime scelte di chi, fino ad oggi, ci ha permesso di lavorare serenamente e che qualche tempo fa ci considerava realmente importanti. Forse siano in una di quelle situazioni in cui il nostro partner vorrebbe lasciarci, ma non vuole farlo in maniera brusca, e quindi pensiamo di poter portare ancora avanti la cose. Ma sappiamo bene che la storia è destinata a finire, tanto vale interromperla subito e cercare una nuova strada. Il critico vive del lavoro altrui ed è lecito che questo possa dettarne le condizioni, a meno di non essere figure in grado, con il proprio parere, di influenzare le masse. Pensateci su e magari guardatevelo un video di uno Youtuber. Chissà che non si possa imparare qualcosa.

L'articolo Il caso Bethesda: la fine della critica videoludica? è estratto da GamesVillage.it.

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