Jacopo Guzzoni, le CEO du groupe métallurgique FOMAS producteur italien de pièces forgées et moulées en acier attend les garanties des autorités italiennes pour investir dans le domaine du nucléaire.
L’industrie italienne du nucléaire vie une véritable effervescence. Emmenée par l’énergéticien italien ENEL qui compte construire 4 des huit futures centrales nucléaire italiennes, 600 entreprises convoitent un marché estimé à 18 milliards d’euros. Des entreprises italiennes qui partent aux USA chercher les certifications ASME et les tampons N-STAMP nécessaires à l’obtention de ces futurs contrats. Mais l’industrie italienne du nucléaire sort d’une hibernation qui a durée plus de 23 ans et le pays se réveille avec un manque flagrant de compétences dans le domaine du nucléaire. Les universités italiennes ne peuvent former actuellement que 120 ingénieurs par an dans le domaine du nucléaire. Un chiffre qui est très en dessous des futur boom du nucléaire italien. Les spécialités du génie nucléaire connaissent un véritable succès auprès des étudiants italiens dans les universités italiennes de Rome, Milan, Pise, Palerme et Bolgne. L’industrie italienne manque cruellement de personnels qualifiés dans toute la chaîne de production de l’industrie nucléaire , des ingénieurs jusqu’aux ouvriers. Dans ce domaine les chantiers de construction vont s’étaler sur 50 ans. Westinghouse compte recruter plus 1000 personnes alors que le consortium EDF/AREVA quand à lui va recruter à court terme plus de 1200 personnes. Déjà 120.000 personnes ont été déjà recruté dans le domaine du nucléaire en Italie ces dernières années . Le constructeur de centrales nucléaires italien ANSALDO qui coopère avec Westinghouse sur plusieurs projets et compte travailler activement avec le consortium AREVA/EDF envisage de recruter rapidement entre 500 et 600 personnes. Pour Jacopo Guzzoni, CEO de FOMAS, le producteur italien des grandes pièces forgées et moulées pour l’industrie nucléaire il insiste sur le fait que « Le coût d’entrée dans le secteur sont très élevés et les entreprises ont besoin d’avoir des assurances de la part des autorités publiques ». Reste que le plus grand handicap que doit surmonter l’industrie italienne du nucléaire consiste à décrocher les certifications nucléaires, un passage obligé pour accéder à ce marché.
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(Italian)
Chiamiamola pure generazione N. La generazione di studenti, tecnici, imprese cresciuta dopo il referendum antinucleare e che guarda con favore al ritorno delle centrali in Italia. Chi sono?Sono i giovani che mangiano biologico ma affollano i corsi di ingegneria nucleare. Sono le aziende che vanno a caccia negli Stati Uniti del certificato Asme, il bollino di qualità che apre la strada alle commesse legate ai nuovi reattori. E sono tecnici come Elisa Calvo, 25enne ingegnere nucleare piemontese, che si è presa la briga di sfidare Beppe Grillo a un dibattito pubblico: «Credo che l’opinione pubblica sia pronta a recepire una corretta informazione sui vantaggi e la sicurezza degli impianti nucleari» dice. «Ho invitato Grillo a discuterne postando un messaggio sul suo sito web, ma non ha mai risposto».Insomma, il decreto con cui il governo ha individuato i criteri per la scelta dei siti nucleari nazionali non cade certo nel vuoto. E sull’onda del rinascimento mondiale dell’atomo anche in Italia qualcosa sta cambiando.Questo spirito nuovo non si esaurisce nelle 600 aziende italiane interessate al business da 18 miliardi che hanno affollato l’incontro in Confindustria con l’amministratore delegato dell’Enel Fulvio Conti, deciso a costruire quattro degli otto reattori previsti in Italia dal piano di governo. «Un segnale importante di questo fermento culturale è il revival dei corsi di specializzazione in ingegneria nucleare delle università italiane» sottolinea Giuseppe Forasassi, docente all’Università di Pisa e presidente del consorzio interuniversitario sul nucleare Cirten. «Siamo rimasti in cinque atenei a proporli: Milano, Torino, Pisa, Palermo e Roma, ma contiamo di recuperare presto anche Bologna. Il punto è che l’università oggi è in grado di laureare circa 120 ingegneri all’anno, che non bastano a soddisfare la crescita vertiginosa della domanda».La fame di personale qualificato, dagli ingegneri agli operai, si spiega con i numeri. Nel mondo ci sono una cinquantina di impianti in fase di costruzione. La società americana Westinghouse procede a un ritmo di 1.000 assunzioni l’anno, la francese Edf ne annuncia 600 e l’Areva, società che copre l’intera filiera, ha messo a contratto in breve tempo 1.200 persone.«Il cambiamento è evidente: sino a 10 anni fa i dipartimenti in ingegneria nucleare in Italia avevano poco senso, adesso anche da noi le opportunità occupazionali sono concrete» dice Mauro Ricotti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Milano. L’esempio più lampante? Centocinquanta nuovi assunti e 4 mila persone impiegate nell’attività nucleare dell’Enel. Per non parlare del dinamismo dell’Ansaldo Energia, la società della Finmeccanica che ha vissuto tutte le stagioni del nucleare italiano.«Siamo passati dall’entusiasmo degli anni 70 agli anni bui seguiti al referendum del 1987, sino al rilancio culminato nel 2005 con la trasformazione in spa della controllata Ansaldo Nucleare, a suo tempo declassata a divisione» racconta l’amministratore delegato Giuseppe Zampini. «Oggi la società vale circa il 3 per cento del nostro fatturato (1,33 miliardi nel 2008), abbiamo contratti con Chernobyl e costruito centrali in Romania. Insieme con Westinghouse abbiamo sviluppato un reattore di terza generazione avanzata, ma siamo pronti a collaborare anche con l’Enel e l’Edf. Le prospettive internazionali sono ottime. E per questo stimiamo di poter salire in fretta dagli attuali 200 a circa 400-500 dipendenti».Va da sé che, se c’è stato un tempo in cui alcuni docenti sconsigliavano lo studio dell’atomo, adesso la musica è cambiata. Gli iscritti al corso di specializzazione del Politecnico di Milano in 5 anni sono triplicati, mentre al Politecnico di Torino gli studenti in ingegneria energetica sono decuplicati in 10 anni (da 30 a 300) e un terzo degli iscritti alle specializzazioni riguarda proprio il settore nucleare. La stessa Ansaldo, poi, ha avviato con l’Università di Genova il primo master a tema. E altri ancora ne stanno fiorendo a Pisa e Bologna.Basterà questo fertile humus a far accettare nuove centrali in Italia? «Diciamo che è un punto di partenza per traghettare l’Italia dagli anni della contestazione a quelli della conoscenza» sostiene Bruno Panella, docente a Torino e vicepresidente del Cirten. «Gli italiani accetteranno il nucleare solo se saranno informati in modo corretto e trasparente».Gli argomenti a favore dell’atomo non mancano, dalla leva economica a quella ambientale, sino ai progressi tecnologici raggiunti in materia di sicurezza e smaltimento delle scorie.«I reattori oggi sono progettati per resistere anche in caso di attacco aereo e a incidenti che risultino dalla fusione del nocciolo» precisa Panella. E se persino Barack Obama ha stanziato 8,3 miliardi di dollari per sostenere con nuovi impianti nucleari la sua green economy, un perché ci sarà. «Se confrontate con quelle di un impianto termoelettrico, infatti, le emissioni di CO2 di una centrale nucleare sono del tutto trascurabili e la resa energetica è maggiore». Quanto poi a scorie e radioattività, l’esposizione annua è inferiore a quella di una normale radiografia e in 7 anni un reattore produce poco meno di un container di scorie.La questione però è ancora più ampia. L’obiettivo sono infatti i reattori di quarta generazione, quelli che utilizzeranno le scorie come combustibile. «Elimineranno il problema dei rifiuti ed estenderanno da un secolo a 10 mila anni la disponibilità di uranio, mentre i giacimenti di oli e gas naturali si esauriranno nell’arco di 70 anni». Il problema è che la quarta generazione di reattori sarà commerciabile non prima di 20 o addirittura 50 anni. E l’Italia non può aspettare.Quello che l’alleanza Enel-Edf intende portare in Italia è il reattore Epr che sta realizzando con Areva a Flammanville, in Normandia: una centrale di terza generazione già oggi in grado di riutilizzare parzialmente le scorie. Là stanno facendo «palestra» decine e decine di tecnici italiani e una trentina di imprese nazionali sono già state coinvolte nel processo produttivo. È la dimostrazione che, da Enrico Fermi in poi, il know-how italiano non ha mai perso valore e oggi rivendica con orgoglio un business davvero interessante. Quattro centrali in Italia significano infatti opere per 18 miliardi, di cui almeno 12 (al netto del brevetto Areva) pronti a ricadere sulle imprese italiane, mentre da un punto di vista occupazionale ogni impianto (fra cantiere, gare e gestione) sviluppa almeno 3.400 posti di lavoro.«È naturale che tra le aziende si sia scatenata la corsa alla certificazione nucleare» sottolinea Alberto Ribolla, amministratore delegato della Sices e presidente dell’Energy Cluster lombardo. «Si tratta di un processo costoso, ma che può far fare alle imprese quel necessario salto qualitativo per passare dall’impiantistica tradizionale, un’eccellenza che già oggi vale 145 miliardi, a quella nucleare». Fatti due conti, conviene. «Il 20 per cento delle commesse di una centrale riguarda le installazioni elettromeccaniche: e se la matematica non è un’opinione, fanno appalti per 250 milioni di euro l’anno per 4 anni, la durata del cantiere».Tutto questo, però, sarà possibile soltanto se una corretta e puntuale campagna culturale riuscirà ad arginare l’effetto Nimby («not in my back yard», non nel mio giardino). Un obiettivo per cui «l’Ansaldo ha già messo a disposizione tutte le sue competenze» e per cui si spende senza risparmio anche Jacopo Guzzoni, amministratore delegato della Fomas, colosso mondiale nella produzione di grandi forgiati per l’industria nucleare: «I costi di ingresso al settore sono molto alti e le aziende hanno bisogno di certezze legislative. Il dibattito sul nucleare deve iniziare al più presto: lasciare troppo vantaggio a un eventuale referendum bis è davvero rischioso».
Source: Panorama – Venerdì 26 Febbraio 2010