Come in ogni dicembre che si rispetti, per i cervellotici che non rinunciano mai a farsi venire crucci e paturnie, arrivano i primi pensieri sui bilanci, quei bilanci che poi di solito ti accompagnano per tutta la serata del 31, anche nei trenini solitamente imposti a suon di Peppepeppeppeppè e Brigitte Bardot. Cos’è cambiato, cosa sarà, che cosa resta.
Resta per esempio, tra i file del mio computer, una serie di cartelle con foto diverse, di fritti, riservati ad un lavoro che non è andato in porto. Cosa c’entro io con i fritti? Penserebbero le persone che mi conosco bene.
Davvero poco. Non è tra le mie cotture preferite, diciamo pure che è il tipo di cottura che più mi dà noia e che di solito evito. Preferisco arrampicarmi sulla scala per prendere, sul ripiano più alto della credenza dello stanzino delle provviste (ogni donna ciociara ha uno stanzino delle provviste da riempire in caso di terromoti, nubifragi, catastrofi naturali, carestie) i miei tre cestelli di bambu per cuocere le cose a rate, un poco per volta. Bollire, stufare, brasare, infornare? Molto meglio.
L’odore di fritto sui capelli, lo scoppiettare dell’olio sulla cucina a gas, l’idea di fritto= milioni di calorie non aiuta.
E’ anche vero che ogni tanto il fritto non si può proprio evitare. Non può mancare in ogni cucina che si rispetti almeno qualche volta all’anno. A Natale da mia madre, per esempio, sotto forma di filetti di baccalà, fritture di calamari e di paranza, carciofi panati, crespelle all’uvetta e a Carnevale sotto forma di chiacchiere e struffoli. E’ innegabile poi che ogni tanto sia bello assaggiare qualche piatto tipico regionale, possibilmente unto e bisunto, e prepararselo in casa . Zeppulelle, panelle , frittelle sono buone anche al forno, ma, diciamo la verità, fritte sono tutt’altra cosa. Tutto quello che finisce per “elle”, si sa, va fritto, è la regola.
Dovendo interrogarmi sul cosa resta, cosa è cambiato, cosa ho perduto, rimandando le questioni più serie alle 23 e 30 del trentun dicembre, restano decine e decine di fotografie, che mi sono valse fatica, impegno, di sicuro anche qualche litigata quando di mezzo c’erano modelli molto belli ma indisciplinati, ma anche tante risate e momenti piacevoli. Restano anche alcuni trucchi e accorgimenti che ho acquisito e mi porterò dietro per sempre, per affrontare questo tipo di cottura senza i soliti inconvenienti in cui incorrono le persone sempre un po’ a dieta come me, abituate più a lessare.
Cosa resta? Resta il racconto, scritto per me da un amico, pensando e ridacchiando su questo progetto andato a farsi friggere (passatemi la battuta senza compatirmi troppo)
“Ma quando chiude questa cazzo di banca?” – Antonello smaniava in macchina, controllando l’orologio e fumando una Merit.
Il direttore della Banca popolare di Castelrotto lo aveva convocato d’urgenza, e stavolta sapeva che la situazione era grave. Lo voleva vedere dopo l’orario di chiusura per fare le cose con calma. L’ultima attività che aveva intrapreso non stava andando come sperava. Anche il direttore della banca lo aveva sconsigliato di buttarsi a capofitto in questa nuova avventura.
“Signor Giammariotti, chi glielo fa fare di aprire un negozio di caramelle gommose in questo paesino? In un paese di cinquemila anime chi pensa che verrà a mangiare orsetti gommosi? Ai paesani piace la roba genuina.” – queste le sagge parole del direttore della banca. Però il prestito glielo accordò comunque, al comodo tasso d’interesse del 14%.
Mentre accendeva l’ennesima sigaretta vide affacciarsi il signor Severo, il direttore, alla porta facendogli gesto di entrare.
“Lasciare gli oggetti metallici nell’apposito armadietto.” – Ogni volta la stessa storia con il metal detector, ma la placca di metallo dal malleolo non poteva riporla nell’apposito armadietto. La guardia giurata gli aprì la porta di sicurezza, e Antonello si avviò a testa bassa verso l’ufficio in fondo, senza degnare di un saluto i cassieri.
“Signor Giammariotti la situazione stavolta è drammatica.” – il direttore andò diritto al punto. – “Lei si trova in una posizione di sofferenza per quasi centomila euro. Stavolta non è uno scherzo.”
“Ma se mi dà un po’ di tempo che l’attività ingrana…” – provò a replicare Antonello.
“SIGNOR GIAMMARIOTTI LA SMETTA.” – tuonò il diretto – “Sono anni che deve ingranare con queste sue attività. Vogliamo ricordare come è andata a finire le altre volte?”
Effettivamente Antonello non era la prima volta che sentiva quei discorsi. Li aveva sentiti quando dovette chiudere la sua officina per auto d’epoca, quando cedette quasi gratis la pizzeria vegana che aveva aperto sempre in paese. Ma soprattutto le sentì quando decise di diventare fornitore di pezzi di ricambio per calcio balilla. Le altre volte si era salvato. Una volta vendendo la casa dei genitori, un’altra volta la sua, aveva venduto il Mercedes e ripiegato su una Panda scassata. Ma centomila euro di debiti non li aveva mai fatti.
“Mi perdoni direttore, ma come ho fatto a raggiungere una simile cifra? Non poteva avvisarmi prima?” – Il tono era sommesso ma Antonello voleva delle spiegazioni.
“Signor Giammariotti ma come? Lei ha firmato i prospetti, ha accettato le clausole, ha fornito le garanzie. Non sta a me dirle che quando si superano i 10mila euro il tasso aumenta al 43%. E poi c’è il TAEG, il TAN, il PDF, il DDT, il CCCP. Ma non sta a me spiegarglielo. È tutto scritto e lei ha firmato. Poi io glielo avevo detto che un negozio di caramelle gommose qua a Castelrotto non avrebbe funzionato. Come le avevo detto che non avrebbero funzionato le altre attività. Questo è un paesino signor Giammariotti, la gente non cerca cose strane. La gente qua va a fare la spesa e si cucina da sola, si concedono una cena fuori una volta l’anno. E i giovani su cui lei puntava se ne vanno via a 18 anni e non tornano più. Lei ha fallito su tutta la linea Giammariotti. Quindi ora la sede centrale della banca, che sarei io, ha deciso di tagliarle i ponti e mettere fine a questa storia. Quindi quello che ha dato come garanzia ora diventerà della banca, cioè mio.”
Antonello lo sapeva che non avrebbe dovuto dare come garanzia il terreno dei suoi nonni. Quasi trenta ettari poco fuori il paese, guarda caso confinanti con i terreni del direttore. Già se lo immaginava come il direttore avrebbe distrutto la vigna di famiglia per allargare il proprio praticello all’inglese.
“E poi diciamocelo Signor Giammariotti, sarebbe ora che lei la smetta con queste idee campate per aria. Metta i piedi per terra e si trovi un lavoro vero.”
“Scusi direttore, una cosa. Io ricordo che i terreni che avevo dato come garanzia valevano più del debito. Almeno datemi la differenza.”
“Eh no. Ci sono gli interessi” – Antonello già immaginava che per “interessi” il direttore intendesse il sistema di innaffiamento automatico.
“Giammariotti parliamoci chiaro. Lei è bravo a cucinare, giusto? Trovi un bel lavoro come cuoco, uno stipendio fisso e non stia dietro alle sue idee. Vuol mettere un bel lavoro fisso? E poi ora le garanzie le ha finite, nessuno le farà più credito.”
Su quello il direttore aveva ragione. Però aveva ancora qualche spicciolo che i genitori avevano conservato per i “tempi duri”. E poi lui non ci si vedeva a passare la vita in una cucina, a prendere ordini da qualcuno, a friggere tutta la notte. A friggere tutta la notte. A friggere.
“UNA FRIGGITORIA” – esclamò Antonello.
“Ecco ci risiamo, io la conosco quell’espressione Signor Giammariotti. Non si faccia venire idee strane. Poi una friggitoria. Ma dai. In questo paese le signore friggono da sole, non funzionerà mai.”
“Sa che c’è Direttore? Potrete togliermi i soldi, i mezzi e tutto quello che volete. Ma non mi toglierete mai la voglia di provarci” – E Antonello uscì con un gran sorriso sul volto.
Racconto scritto dal mio amico Francesco Malta, http://rockofagesit.blogspot.it/
Resta il pensiero che come Antonello nessuno mi toglierà mai la voglia di provarci.