2015-12-13



La Cop21 ha chiuso i battenti con un documento che tutte le varie anime del movimento per la giustizia climatica non esitano a definire insufficiente, come descrive Marica Di Pierri nel suo articolo per l'Huffington Post.

Che l'accordo sia più il frutto di compromessi che non di un intenzione reale di invertire la marcia verso il "punto di non ritorno" del surriscaldamento globale, lo si vede dalla tempistica , il 2020, dalla genericità nel definire chi dovrebbe sganciare i 100 miliardi di dollari promessi (... dopo Copenaghen è partito il Fondo Verde che guarda caso non si è mai materializzato!) e dall'diassenza controlli.

E' oggi il tempo in cui si tratta di agire per mantenere il carbone sotto terra, per fermare l'estrattivismo vorace e l'agrobusiness, per far pagare a chi inquina, per costruire politiche basate su una gestione slow emission del territorio e su una diversa mobilità.

Il tempo è un fattore vitale: tra 5 anni i cittadini di Pechino che stanno respirando un'aria mefitica vedranno la loro salute irrimediabilmente compromessa, così come gli abitanti delle zone devastate da minere e estrazioni ...

Per questo i movimenti che sono scesi in piazza il 12 dicembre a Parigi lo hanno fatto per rompere la stretta repressiva affermando che è oggi "il tempo dell'emergenza climatica" in cui si tratta di cambiare il sistema complessivamente.

Di come è finita a Parigi, parleremo a Padova lunedì 14 dicembre dalle 20.00 in poi con l'iniziativa "Cop21: la nave affonda .. e tu non puoi scappare", promossa da Osteria Volante presso il Giardino di Cristallo - Parco Europa - Entrata Via Pescarotto con Beppe Caccia, attivista di ritorno da Parigi e Davide Pettenella, con la Preview del film This Changes Everything, di Avi Lewis (dal libro di Naomi Klein). Non mancare!

Mobilitazioni - Cortei con decine di migliaia di attivisti sfidano le misure di sicurezza

"Un accordo troppo vago"

di Beppe Caccia

È una città stretta nella tenaglia di un duplice «stato d'emergenza», la Parigi teatro dell'ultimo giorno di Conferenza intergovernativa delle Nazioni Unite. Da una parte la morsa dell'état d'urgence, dichiarato e applicato dal governo Valls dopo le stragi del 13 novembre. Dall'altra l'«emergenza democratica» alla vigilia di cruciali ballottaggi che, per la prima volta, potrebbero consegnare al Front National alcune regioni dell'Esagono.

Una stretta che rischiava di ridurre al silenzio le mobilitazioni, colpite dal dispositivo poliziesco di limitazione delle libertà costituzionali. Ciò nonostante migliaia di persone hanno animato, nello spazio culturale Le Centquatre, le affollatissime assemblee della Zone d'Action Climatique, promossa dalla coalizione Climat21, e numerose iniziative a sorpresa hanno saputo, nei giorni scorsi, indicare efficacemente le responsabilità di multinazionali e istituzioni pubbliche nell'alimentare il surriscaldamento globale.

Ieri è stata la giornata in cui, finalmente, migliaia di attiviste e attivisti da tutto il mondo sono riusciti a rompere la cappa di piombo dei divieti, richiamando la necessità di intervenire sullo «stato d'emergenza climatico». Prima che sia troppo tardi. Fin dalla mattinata centinaia di ciclisti hanno attraversato la città, mentre diversi flash mob tracciavano una gigantesca scritta «georeferenziata» che, inequivocabile, recitava: «Climate Justice and Peace». Poi sono venute la musica, le danze, le urla liberatorie di oltre 15 mila persone che si sono date appuntamento, raccogliendo in maniera unitaria la proposta lanciata dalla coalizione globale 350​.org per la creazione di un'enorme «linea rossa» che ha attraversato e invaso l'avenue de la Grande Armée, tra l'Étoile e i grattacieli del centro direzionale della Defense, sede delle multinazionali legate all'economia fossile. Una «linea rossa» destinata a simboleggiare il limite invalicabile di un grado e mezzo nell'incremento delle temperature medie planetarie nei prossimi anni, pena la catastrofica irreversibilità dell'impatto sugli equilibri ecosistemici. Ma anche la «linea rossa» da varcare per mettere in discussione le politiche del terrore e della guerra e lo stato d'eccezione liberticida che ne è il conseguente corollario.

Dopo due ore di blocco della circolazione, un corteo spontaneo, guidato dalla rete internazionale Via Campesina (tra cui gli agricoltori francesi della Confédération Paysanne), si è mosso superando i cordoni della polizia antisommossa, per raggiungere l'unico concentramento autorizzato della giornata: il raduno ai piedi della Tour Eiffel, sulla vasta spianata del Campo di Marte.

Anche in questo caso l'iniziativa era stata promossa da un coordinamento, quello di Alternatiba75, ma assunta con grande spirito collaborativo da molti altri. Qui hanno preso parola Climat21, Attac, gli esponenti di diverse lotte locali contro grandi opere «inutili e devastanti» e Naomi Klein, resa dal suo lavoro d'inchiesta una delle voci più autorevoli nel movimento per la giustizia climatica. Proprio la Klein ha espresso il punto di vista della piazza sull'accordo appena raggiunto: «Un testo che ignora il necessario sostegno ai paesi più vulnerabili, che assume solo generici intenti, senza concretizzare la volontà di indurre le multinazionali a riconoscere le loro responsabilità. Toccherà a noi – ha insistito la giornalista-attivista canadese tra gli applausi di oltre 25 mila persone – farlo dal basso».

E le occasioni non mancheranno: sono stati infatti ricordati gli appuntamenti con la mobilitazione europea di Ende Gelände, a maggio, per bloccare la più grande miniera di carbone nel bacino della Ruhr. E il ruolo, decisivo, dei governi metropolitani, che possono diventare i protagonisti di una transizione ecologica e sociale, attraverso la costruzione di città fossil-free.

Nei prossimi giorni sarà possibile trarre un bilancio più definito di queste settimane parigine. Per il momento, come ci dice Marica Di Pierri di A Sud, tra i pochi italiani presenti alle mobilitazioni:

«Di fronte alla volontà dei governi di non porre in discussione l'estrazione di combustibili fossili dal sottosuolo, si tratta di tornare a lottare nei nostri territori contro ogni progetto impattante, a partire dalle trivellazioni. Ma di farlo fuori da ogni logica localistica, inscrivendo ogni singola battaglia nella lotta globale per salvare il pianeta». La giornata di ieri dimostra che un movimento mondiale che si propone di «cambiare il sistema per non cambiare il clima» non solo esiste, ma è in buona salute, forza capace di disobbedire allo stato d'eccezione.
Tratto da Il Manifesto del 13 dicembre

Original post of Ya Basta - Padova.
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