2015-02-04



A Venezia e Roma, le due tappe italiane di Naomi Klein in Italia per presentare il suo ultimo lavoro "Una rivoluzione ci salverà - Perché il capitalismo non è sostenibile"

Un testo che rappresenta in ogni capitolo uno stimolo inedito ed utile a ridare centralità ad un tema, quello del cambiamento climatico, che non può più essere eluso.

"Cambiare il sistema e non clima" per per far crescere una dimensione di pensiero e d'azione condivisa tra i percorso sociali che ricercano un'alternativa al capitalismo moderno. "Una rivoluzione ci salverà". E' tempo di costruirla adesso. L'occasione per cominciare può essere per tutt@ la costruzione nei prossimi mesi delle mobilitazioni in occasione della Cop 21 a Parigi in dicembre.

Vi proponiamo l'intervista curata da Beppe Caccia apparsa in Il manifesto e la rassegna stampa dell'evento sia a Venezia che a Roma.



Naomi Klein a Venezia

Naomi Klein: «L'austerity inquina il Pianeta»

Naomi Klein è una stu­diosa, gior­na­li­sta e atti­vi­sta che i movi­menti sociali hanno imparato a cono­scere negli anni. Autrice del for­tu­nato «NoLogo», ha par­te­ci­pato ai movi­menti noglo­bal sta­tu­ni­tensi e cana­desi. Ha poi seguito da vicino l'esperienza delle «fab­bri­che auto­ge­stite» argen­tine. Alcuni anni fa ha pub­bli­cato un impor­tante libro dove met­teva al cen­tro la paura come il sen­ti­mento usato dal potere costi­tuito per imporre poli­ti­che sociali e eco­no­mi­che neo­li­be­ri­ste (Shock eco­nomy, Riz­zoli). Incon­triamo Naomi Klein a Vene­zia, a mar­gine dell'evento di pre­sen­ta­zione dell'edizione ita­liana del suo ultimo libro, Solo una rivo­lu­zione ci sal­verà (Riz­zoli. Il volume è stato pre­sen­tato il 21 set­tem­bre del 2014 su que­ste pagine, qui e qui).

«Con voi in Ita­lia – esor­di­sce Naomi Klein — ho capito per la prima volta, quin­dici anni fa, il con­cetto di red­dito di cit­ta­di­nanza e ho impa­rato una parola per me nuova: precarietà. È impor­tante tor­nare qui a discu­tere come que­sto ter­mine descriva oggi la situa­zione dell'intero pia­neta. E sono i decenni del neo­li­be­ri­smo ad aver resa drammatica la crisi ambien­tale. A imporre un cam­bia­mento radi­cale che metta in discus­sione il capi­ta­li­smo per come lo conosciamo».

«No Logo» è stato tra i testi che hanno segnato la sta­gione del movi­mento noglo­bal, poi hai costruito un rap­porto sta­bile con le lotte indi­gene, in par­ti­co­lare nell'esperienza zapa­ti­sta, infine hai attra­ver­sato le prime mobi­li­ta­zioni sul cli­mate change, come a Cope­n­ha­gen nel 2009. La tua defi­ni­zione di «Bloc­ka­dia» è anche uno sti­molo a pen­sare movi­menti in forma nuova. Quali dif­fe­renze vedi col pas­sato e con quali prospettive?

I movi­menti sono fluidi e le eti­chette che gli attri­buiamo sono spesso arbi­tra­rie. Credo ci sia una con­ti­nuità tra le espe­rienze che hai citato e il pre­sente. Tutte le espe­rienze nuove si appog­giano sulle spalle delle pre­ce­denti, evol­vendo e cam­biando. Ho pro­vato a indi­vi­duare il momento d'inizio di «Bloc­ka­dia» nella lotta del popolo Ogoni, la cui resi­stenza ha com­bi­nato la difesa dei diritti umani e la resi­stenza alle poli­ti­che estrattive, nel lon­tano 1998 in Nige­ria. Dal punto di vista del Nord glo­bale, dob­biamo rico­no­scere che, a dif­fe­renza del pas­sato, i movi­menti del «no» si pon­gono oggi il problema di costruire modelli alter­na­tivi. Pen­siamo al caso della lotta in Gre­cia con­tro la miniera di Eldo­rado, che ha un impatto pesan­tis­simo sull'ambiente cir­co­stante e che Syriza si pro­pone di chiu­dere. La comu­nità locale in lotta, di fronte alla que­stione della disoc­cu­pa­zione, ha indi­cato quali potes­sero essere le alter­na­tive, nello svi­luppo del turi­smo e di altre atti­vità sostenibili.

Hai dedi­cato una par­ti­co­lare atten­zione agli sti­moli che ven­gono dalle popo­la­zioni native. Al recente Festi­val zapa­ti­sta in Mes­sico, alla domanda «voi siete con­tro il progresso?», gli indi­geni rispon­de­vano «non siamo con­tro la moder­nità, basta met­tersi d'accordo su che cosa significhi»…

Dob­biamo chie­derci: quale è lo scopo dell'economia? Se l'obiettivo è sola­mente la crescita, che troppo spesso viene con­fusa con il pro­gresso, siamo fuori strada. Lo scopo dev'essere invece un sistema eco­no­mico che pro­tegga e favo­ri­sca la vita sulla Terra. Per que­sto non mi con­vince la defi­ni­zione di «decre­scita», per­ché ti fa pen­sare che tutto debba essere con­tratto, quando invece non è così. Ci sono cose che, per forza, dovranno essere dra­sti­ca­mente limi­tate, e cose che hanno al con­tra­rio un'enorme pos­si­bi­lità di espan­sione. Ci sono pro­fes­sioni come i lavori di cura, i lavori crea­tivi, che sono già a bas­sis­simo con­sumo di risorse non rin­no­va­bili, a bas­sis­simo livello di emis­sioni, e sulle quali si può inve­stire mol­tis­simo. L'approccio all'economia dev'essere sem­pre stra­te­gico: da un lato ridurre ciò che è nocivo, dall'altro ampliare ciò che c'è di positivo.

La cosa più inte­res­sante che ho impa­rato dall'attivismo in «Bloc­ka­dia» è pro­prio l'influsso delle lotte delle popo­la­zioni indi­gene di tutto il mondo sui movi­menti sociali urbani. Gran parte delle risorse fos­sili nel sot­to­suolo si tro­vano in ter­ri­tori abi­tati dai nativi. E sono loro i primi a sof­frire, nella loro cul­tura e nei loro corpi, dell'impatto delle poli­ti­che estrat­ti­vi­ste, per l'impossibilità a con­durre i loro modi di vita tra­di­zio­nali e per i danni alla loro salute. Per que­sto sono diven­tati figure chiave in que­ste bat­ta­glie. E hanno tro­vato sponde anche al di fuori dei con­fini delle loro comu­nità. Le per­sone, lavorando assieme, hanno comin­ciato a influen­zarsi reci­pro­ca­mente. Il con­tri­buto più signi­fi­ca­tivo dei nativi è stata l'idea di supe­rare la logica della domi­na­zione dell'uomo sull'ambiente, della supre­ma­zia che anni­chi­li­sce la natura.

Dopo i fatti di Fer­gu­son, la grande mobi­li­ta­zione negli Stati Uniti con­tro le vio­lenze e l'impunità della poli­zia, sei inter­ve­nuta sul tema del «raz­zi­smo ambien­tale». Quale rapporto indi­vi­dui tra le lotte sul cam­bia­mento cli­ma­tico e quelle per i diritti?

Se noi vives­simo in un mondo in cui tutte le vite aves­sero lo stesso valore, si sarebbe agito per tempo con­tro i cam­bia­menti cli­ma­tici. Le per­sone mag­gior­mente responsabili per la crisi ambien­tale sono quelle più pro­tette dai suoi effetti, men­tre quelle meno respon­sa­bili sono le più vul­ne­ra­bili alle sue con­se­guenze. C'è della crudele iro­nia in que­sto. Ma è una realtà che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Pensiamo all'Africa Sub­sa­ha­riana, paesi dove il livello di emis­sioni è pra­ti­ca­mente nullo, ma dove gli impatti dell'aumento delle tem­pe­ra­ture medie hanno avuto effetti deva­stanti sulla vita di tan­tis­sime persone.

E anche le rispo­ste future saranno fil­trate da que­sto strut­tu­rale raz­zi­smo. Signi­fica che le fron­tiere saranno sem­pre più mili­ta­riz­zate per fer­mare i pro­fu­ghi ambien­tali in fuga dalla deser­ti­fi­ca­zione. Signi­fica che se le geo­tec­no­lo­gie fos­sero effet­ti­va­mente appli­cate pro­dur­reb­bero effetti dele­teri per il resto del mondo, per esem­pio con il fenomeno dei mon­soni in Asia. In altri ter­mini, le per­sone saranno ancora più sacrificate, non solo nella crea­zione, ma anche nella solu­zione dei pro­blemi. Per questo è neces­sa­rio un cam­bia­mento pro­fondo nei valori. Se il capi­ta­li­smo è un sistema che con­tiene diversi ele­menti di effe­ra­tezza, di fronte ai rischi cli­ma­tici que­sti aspetti bru­tali non faranno altro che aggravarsi.

L'Europa sta vivendo un momento par­ti­co­lare. Cono­sci la situa­zione greca e gli effetti della gestione della crisi in que­sti anni. Che rap­porto indi­vi­dui tra auste­rity e «climate change»? E quali rispo­ste pos­siamo dare?

Per me il legame è chia­ris­simo. Ed è la ragione per cui, dall'inizio della crisi economica, il tema della crisi cli­ma­tica è spa­rito dall'agenda poli­tica euro­pea. E contra­stare il disa­stro ambien­tale man­te­nendo le poli­ti­che di auste­rity è semplicemente impos­si­bile. Per­ché se pren­diamo sul serio il tema del cam­bia­mento cli­ma­tico, dob­biamo accet­tare delle dure verità. Cioè porci il pro­blema di tagliare almeno del dieci per cento ogni anno il livello delle nostre emis­sioni. Que­sto richiede enormi inve­sti­menti nella sfera pub­blica, che dev'essere pre­pa­rata ad affron­tare i tempi dif­fi­cili che ci atten­dono. Per evi­tare che la situa­zione divenga cata­stro­fica, vanno messe in gioco grandi risorse. Biso­gna ripen­sare il tra­sporto pub­blico che dev'essere gra­tuito. Devi ridi­se­gnare le nostre città. Biso­gna ripen­sare le infra­strut­ture ener­ge­ti­che in ter­mini decen­tra­liz­zati. Tutto que­sto è sem­pli­ce­mente incom­pa­ti­bile con il con­cetto di auste­rity. La buona noti­zia è però che, met­tendo in atto que­ste misure, si creano incre­di­bili oppor­tu­nità anche eco­no­mi­che e lavorative.

Per que­sto motivo, il cam­bia­mento cli­ma­tico potrebbe essere uno dei migliori argomenti per i movi­menti anti-austerity. E rimane per me un mistero la ragione per cui non si parla mai di ambiente quando ci si mobi­lita per difen­dere la sfera pub­blica dalle logi­che neo­li­be­rali. Al tempo stesso in Europa abbiamo tanti motivi di spe­ranza, dopo la vit­to­ria di Syriza nelle ele­zioni in Gre­cia e la straor­di­na­ria cre­scita di Podemos in Spa­gna, in vista della con­fe­renza COP 21 a Parigi alla fine dell'anno. E sarebbe indi­spen­sa­bile che tutti que­sti fili si con­giun­ges­sero, per riu­scire a creare un unico movi­mento per il cambiamento.

Un'ultima que­stione: «change» appunto è la parola chiave di que­sto tuo ultimo libro. Che pos­si­bile defi­ni­zione dare­sti oggi del cam­bia­mento radi­cale di cui abbiamo biso­gno?

Ci sono molti modi per affron­tare la que­stione. La cosa più impor­tante è respin­gere la cul­tura del con­sumo, una cul­tura che prima usa e poi getta via indif­fe­ren­te­mente le per­sone, il loro lavoro, le loro vite. Anche il pia­neta viene usato e get­tato. Come se la fine non dovesse mai arri­vare. Qui sta il neces­sa­rio cam­bio di para­digma. Comin­ciare a vivere come se il futuro fosse effet­ti­va­mente in arrivo e come se doves­simo dav­vero fare i conti con le con­se­guenze delle nostre scelte di oggi. Il crollo del prezzo del petro­lio ci offre adesso una gran­dis­sima oppor­tu­nità. Se mi guardo attorno, vedo che la gente non ne può più di pas­sare da uno shock eco­no­mico all'altro, da un disa­stro ambien­tale al pros­simo, da una crisi all'altra. La pro­spet­tiva di vivere in una società giu­sta e dure­vole è qual­cosa che sta diven­tando desi­de­ra­bile per molti.

C'è un gruppo in Cali­for­nia che si occupa di giu­sti­zia cli­ma­tica e vede la realtà in termini di «shocks, fli­des and shifts»: cioè di crisi, di crolli ed improv­vise esplo­sioni di bolle; di più lenti smot­ta­menti, cioè tra­sfor­ma­zioni di più lungo ter­mine; e di mutamenti come sostan­ziali pas­saggi di stato, che rap­pre­sen­tano non a caso ciò che vor­remmo. I primi due devono essere imbri­gliati per pro­durre quest'ultimo auten­tico cam­bia­mento. Que­sto è il momento dell'onestà, il momento in cui le cose pos­sono cam­biare. Ma biso­gna essere in tanti per sfrut­tare que­sta occa­sione. Da qui alla mobili­ta­zione di fine anno a Parigi, soprat­tutto in Europa biso­gne­rebbe espri­mere quat­tro o cin­que sem­plici riven­di­ca­zioni, su cui tutti lavo­rare assieme: ad esem­pio, l'obiettivo del cento per cento di ener­gie rin­no­va­bili; poi, la gra­tuità dei tra­sporti pubblici; il con­cetto «chi inquina paga»; infine affer­mare che le risorse fos­sili devono rima­nere sotto terra. Qui c'è biso­gno, anche per i par­titi della sini­stra, di get­tare il proprio sguardo oltre il pre­sente. Dob­biamo pas­sare da una cul­tura della morte a una cul­tura della vita.

La parola «vita» è stata abu­sata dai movi­menti anti-abortisti. Ma dob­biamo riap­pro­priar­cene. L'attuale regime eco­no­mico si fonda sul dis­sot­ter­ra­mento di cose morte. Al di là della meta­fora, non è affatto sano fon­dare la pro­pria vita sulla morte. Si è creato un enorme squi­li­brio fra que­sti due ele­menti. Ed è neces­sa­rio ridare il giu­sto spa­zio alla vita.

Beppe Caccia

* Hanno col­la­bo­rato Gian­franco Bet­tin (www​.vene​ziain​co​mune​.it) e Vilma Mazza (www​.yaba​sta​.it)

RASSEGNA STAMPA
Da Ecomagazine di Riccardo Bottazzo

Naomi Klein: la rivoluzione che ci salverà parte parte da noi

Diamoci da fare. La conclusioni che l'autrice di No Logo tira al termine dell'incontro svoltosi nella serata di oggi all'auditorium di Santa Margherita, potrebbero essere condensate in queste tre parole. Diamoci tutti quanti da fare perché il mutamento del clima è oramai una verità accettata da tutti gli scienziati. Un cambiamento ci sarà. E sarà un cambiamento inevitabile perché il modello economico imposto dal capitalismo non è più sostenibile dalle risorse di cui dispone la terra. Eppure, nonostante sia ancora il sistema neoliberista a dettare i paradigmi sui quali corre l'informazione dominante, la consapevolezza che questa crisi non sia come ce la raccontano le banche si sta facendo strada tra la gente. Lo dimostra il successo di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia. E in Italia? “In Italia – scherza Naomi Klein – avete l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola”.

L'incontro organizzato dall'associazione In Comune in collaborazione con Ca' Foscari e la Rizzoli Libri è stato un successo annunciato, considerato che questa veneziana è stata una delle tre sole tappe che la scrittrice canadese ha tenuto nel nostro Paese per presentare il suo ultimo libro “Una rivoluzione ci salverà”, sottotitolo “Perché il capitalismo non è più sostenibile”. Tutti 237 posti a sedere occupati, tanta gente, giovani soprattutto, in piedi o seduta per terra. Tanti altri fuori a masticare delusione perché, per ragioni di sicurezza, i responsabili della sala sono stati costretti a chiudere le porte.

Ad introdurre il dibattito, dopo l'inevitabile rito dei saluti del magnifico rettore, Michele Bugliesi, è stato il politologo Beppe Caccia, che ha ricordato come proprio la nostra città sia particolarmente toccata dai cambiamenti climatici e come tutti i veneziani, sulla loro pelle, hanno vissuto la storiaccia brutta del Mose. La grande opere salvifica che alla fin fine ha dirottato i fondi per la salvaguardia nel baratro della corruzione e della devastazione ambientale.

La Klein ha cominciato il suo intervento proprio da questa suggestione, ricordando come proprio a Venezia, una quindicina di anni or sono, venuta a presentare il suo libro “No Logo”, abbia sentito per la prima volta la parola “precarietà” dagli attivisti dei centri sociali. “Un termine che oggi potrebbe essere esteso a tutto il mondo – ha sottolineato -. Il fatto è che non esistono risposte non radicali al problemi che ci pone l'ambiente. La scienza ci dice che entro i prossimi anni la temperatura crescerà di un valore tra i quattro e i cinque gradi. Questo cambiamento può forse essere evitato ma solo con una altro cambiamento radicale che investa la società, la cultura la produzione. Non illudiamoci che il neo liberalismo posso affrontare questo problema perché la sua agenda va in direzione completamente diversa. Un programma finalizzato al taglio delle emissioni è improponibile semplicemente perché il loro progetto è di aumentare le emissioni”.

Il compito di stimolare Naomi Klein, è toccato all'ambientalista Gianfranco Bettin. L'incontro poi si è chiuso gli interventi del pubblico coordinati dal docente Duccio Basosi. Ma è proprio Bettin a buttare benzina sul fuoco sottolineando come, nel libro della Klein, vengano mosse pesanti critiche anche un certo ambientalismo non radicale ed alle sinistre di governo che, pur con sensibilità ben diverse rispetto alle destre, continuano a non mettere l'ambiente al primo posto delle loro agende, perseverando, alle fin fine, nel sostenere una politica neo liberista che, allo stato attuale delle cose, non può più essere riformata. Un esempio è stata l'Unione Sovietica con il suo capitalismo di Stato che ha devastato tutto il devastabile ed oltre. Oppure la Cina di Mao con la sua dottrina di “guerra alla natura” in nome della quale, tra le altre cose, ha cercato di sterminare tutti i passeri del continente. Un altro esempio sono le democrazie di sinistra dell'America latina: il Brasile, l'Ecuador, il Venezuela di Chavez. Paesi che, pur con atteggiamento diverso rispetto alle dittature, hanno comunque continuato l'attività estrattiva del greggio a spese dei popoli indigeni che dalla foresta ricavavano sostentamento.

“I cambiamenti climatici – ha risposto la scrittrice canadese – pongono in discussione tutte la nostra civiltà, dalla nascita della società industriale, quando si vendevano le macchine a vapore sostenendo che con questa avremmo sconfitto la natura, ad oggi dove il capitalismo è addirittura capace di proporsi come unica via di uscita ai danni che egli stesso ha causato. I cambiamenti climatici, in fondo, altro non sono che una risposta a scoppio ritardato a questo atteggiamento di scontro che l'uomo ha avuto nei confronti della natura. Come se ne esce? Con una sorta di, come l'ho chiamato, nuovo Piano Marshall. Non aspettiamoci che siano i Governi a farlo per noi. Neppure i Governi di sinistra. E' il momento di scendere in piazza e non solo per bloccare le grandi opere devastanti ma anche per proporre con forza progetti alternativi, cosa che non sempre siamo stati capaci di fare. Progetti che siano allo stesso tempo credibili, entusiasmanti e coinvolgenti. Perché il capitalismo è bravo a smuovere le acque della paura. Ma l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è che sia il capitalismo a governare i cambiamenti che, inevitabilmente, stanno arrivando”.

Diamoci da fare, dunque.

Riccardo Bottazzo

La Klein a Venezia: «Una rivoluzione per salvare la Terra»

La scrittrice tra riscaldamento globale, capitalismo, Expo. «Uniamoci dal basso, è il momento di agire» di Marta Artico

VENEZIA. Ormai è tardi, se alla fine degli anni Ottanta potevamo ridurre le emissioni atmosferiche di qualche punto senza mettere sottosopra schemi economia, corporation, poteri forti, oggi non è più possibile: il momento è ora e per farlo, è necessario adottare un cambiamento radicale, mettere in moto gli attivisti, attuare una rivoluzione dal basso che non riguarda la destra o la sinistra, ma ciascuno di noi e che va oltre crisi. La guru di No Logo, Naomi Klein, nel suo tour italiano è arrivata anche a Venezia, in un auditorium Santa Margherita in overbooking, accompagnata da Beppe Caccia e da Gianfranco Bettin.

Dopo i saluti del rettore di Ca' Foscari, Michele Bugliesi, guidata dalle domande di Bettin e del docente di relazioni internazionali Duccio Basosi, ha ripercorso il filo rosso del suo nuovo libro “This changes everything. Capitalismo versus clima”, nella sua traduzione per il pubblico italiano “Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile”.

«Da questa città ho imparato tanto» dice «qui ho sentito per la prima volta la parola “precarietà” e oggi dopo 15 anni questo termine è adatto a descrivere la situazione dell'intero pianeta». Per Klein «è fondamentale avere chiaro che non esistono risposte non radicali ai problemi dell'ambiente. Il cambiamento avverrà anche se non facciamo nulla, la terra si surriscalderà comunque». Eppure la lotta alle emissioni va contro l'agenda neoliberista: i governanti, anche quelli di sinistra, non riesco a battersi e l'economia non può risolvere, per sua natura, il problema, ecco perché serve una grande mobilitazione.

La scrittrice elogia la Germania: «Il miglior esempio della efficacia della transizione energetica viene dalla Germania, che è riuscita a fare un cambiamento profondo e oggi una percentuale tra il 20-25% dell'elettricità è prodotta da energie rinnovabili». Il momento è ora: «Obama investe in energia eolica e ha scavato più oleodotti di tutti, anche l'Italia mette in atto una politica energetica del “facciamo di tutto e di più”, adesso è il momento di bloccare progetti dannosi e nocivi, gli attivisti devono fare tutto ciò che è in loro possesso, dobbiamo unirci dal basso».

Secondo Klein ora il terreno è fertile: «A Parigi ci sarà la conferenza sul clima 2015, a Milano l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola» e la platea applaude ancora prima della traduzione «i leader parleranno dal di fuori e dunque ciascuno di noi, Venezia che vive sulla propria pelle queste cose, perché qui la gente va al lavoro con gli stivali contro l'acqua alta, deve essere in prima fila». A chi obietta che tanta radicalità può produrre conflitti, Klein ribatte: «Ci sono centinaia di motivi per essere scoraggiati, ma trovo che sia un'espressione di ottimismo molto più ingiustificata pensare che sia il mercato a risolvere il nostro problema».

E ancora: l'Italia secondo Naomi Klein, «può allentare l'abbraccio mortale dei vincoli dell'Ue seguendo la strategia di rinegoziazione del debito che la Grecia ha inaugurato con Tsipras». Come si sconfiggono i giganti del neoliberismo? «Mettendo in campo un gruppo di persone che hanno tutto da guadagnare». Su Venezia: «Mi ha colpito che questioni ambientali urgenti si basino su progetti di grosse dimensioni come il Mose pieni di corruzione, perfetti per mostrare ciò che non va bene. Per questo serve partecipazione delle comunità altrimenti non se ne va fuori. Qui c'è la necessità di ripulirsi da tutti i punti di vista, non solo da quello ambientale. Bisogna ripulire anche la politica».

Il comitato “No Grandi Navi” le ha donato un manifesto.
Tratto da La Nuova Venezia

Leggi gli articoli dei quotidiani locali



Dopo Venezia Naoimi Klein ha raggiunto Roma, dove si è svolto un affollato incontro moderato da Marica Di Pierri, presidente del CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali aperto a Roma dal 2007 e portavoce dell'Associazione A Sud che da oltre 10 anni lavora nell'accompagnamento e nel sostegno delle comunità locali attive per la giustizia ambientale tanto in Italia quanto nei sud del mondo.

All'iniziativa, che si è svolta presso l'Auditorium Santa Croce, ubicato all'interno del Cantiere di Rigenerazione Urbana Spin Time, a Via Statilia 15, adiacente alla Metro Manzoni. Molti gli attivisti delle principali reti sociali attive nella difesa del territorio, del diritto alla salute e della giustizia sociale: dal movimento di lotta per il diritto all'abitare Action alla campagna italiana Stop-TTIP, trattato di libero commercio attualmente in via di negoziazione tra Ue e Usa, dalla campagna Stop Biocidio, al lavoro nella terra dei fuochi contro il modello di gestione del ciclo dei rifiuti, al coordinamento nazionale No Triv in prima linea contro le politiche energetiche nazionali basate sull'ampliamento della frontiera estrattiva.

Clima, il fronte delle associazioni green: "Il governo si impegni in modo concreto"

A Roma incontro dei movimenti che si battono per un green new deal. L'occasione è la presentazione del libro di Naomi Klein "Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è più sostenibile". Sullo sfondo, la Conferenza Onu sull'ambiente prevista a Parigi alla fine del 2015

Si parte da una considerazione: il modello di sviluppo su cui si basa il capitalismo contemporaneo non è più sostenibile. E non solo perché gli effetti della crisi economica continuano a farsi sentire, orientando verso il basso la vita concreta dei cittadini mondiali. Ma soprattutto perché a farne le spese è l'ambiente, l'ecosistema, il nostro stesso pianeta. Il riscaldamento globale, le emissioni di gas serra, quel futuro "caldo e tempestoso" che diventa anno dopo anno molto più che una minaccia. E si arriva a porre un interrogativo: cosa altro dovrà accadere per far diffondere la consapevolezza della necessità di un cambiamento radicale, di una rivoluzione che metta in sicurezza il futuro?

L'avvertimento di Naomi Klein - "la crescita sta distruggendo il pianeta" - apre numerosi spazi per articolare questo processo di cambiamento. E, in occasione della sua visita a Roma, sono numerose le associazioni italiane che ripensano le loro iniziative soprattutto in vista della Conferenza Onu sul clima in programma a Parigi per la fine dell'anno. Tra le altre A Sud. Marica Di Pierri, portavoce dell'associazione, ne discute con Repubblica.it

"È dal 1988 che le Nazioni Unite hanno istituito un apposito gruppo incaricato di studiare i cambiamenti climatici, l'IPCC, ed è dal 1992 che è attiva la Convenzione Quadro Onu sui cambiamenti climatici. Tuttavia da allora non si è riusciti, protocollo di Kyoto compreso, a stabilire e far rispettare un quadro di impegni vincolanti che inducessero di fatto i governi a ridurre le emissioni", dice Marica DI Pierri che modera l'incontro con la Klein. E sono i dati a confermare la gravità di questo disimpegno internazionale: "Secondo il Global Carbon Project, nel 2013 le emissioni di Co2 causate da fossili e cemento ha raggiunto i 36 miliardi di gigatonnellate di CO2, 61% in piu rispetto ai livelli del 1990".

E le soluzioni non sono più rinviabili. La necessità è quella di un "ripensamento complessivo del sistema produttivo e del modello di consumi". Ovvero: incentivare le fonti energetiche rinnovabili, avviare processi di conversione ecologica delle produzioni, investire in reti capillari di trasporti pubblici ad alta efficienza. Ancora: "riqualificare il patrimonio immobiliare invece di continuare a costruire, risanare il dissesto idrogeologico, spingere alla promozione e al rafforzamento di reti di consumo condiviso", continua la portavoce di A Sud.

La richiesta è quella di un impegno concreto anche da parte del governo italiano. Perché non si tratta di temi astratti ma di tematiche concrete. "Renzi è stato al Climate Forum di New York a settembre e ha affermato testualmente che quella dei cambiamenti climatici è la sfida del nostro tempo, lo dice la scienza, non c'è tempo da perdere: la politica deve fare la sua parte. I nostri figli attendono che a Parigi l'accordo sia vincolante", ricorda la Di Pierri. Che aggiunge: "Poi, tornato in Italia, il suo governo ha imposto doppia fiducia, alla Camera e al Senato, per la conversione in legge dello Sblocca Italia che, al di là del nome molto glamour, in realtà significa una colata di cemento in mega infrastrutture, il raddoppio delle estrazioni petrolifere, la scelta dell'incenerimento come core strategy per la gestione dei rifiuti, il modello nella multiutilities, dunque delle privatizzazioni, per la gestione dei servizi pubblici essenziali", conclude la Di Pierri. Passi che vanno in direzione opposta a quelli auspicati dai movimenti per l'ambiente.

All'incontro di Roma sono presenti numerosi attivisti delle principali reti sociali attive nella difesa del territorio, del diritto alla salute e della giustizia sociale. Si va dal movimento di lotta per il diritto all'abitare Action alla campagna italiana Stop-TTIP. Fino dalla campagna Stop Biocidio, al lavoro nella Terra dei Fuochi contro il modello di gestione del ciclo dei rifiuti. E sono presenti anche esponenti del coordinamento nazionale No Triv in prima linea contro le politiche energetiche nazionali basate sull'ampliamento della frontiera estrattiva.

Tratto da www.repubblica.it

Video da www.docstation.org

Doc Station live (REPLAY) di docstation

Doc Station live (REPLAY) di docstation

In mattinata Naomi Klein si è incontrata a Montecitorio con parlamentari eed esponenti di Sel e di altri partiti ed organizzazioni poltiche.
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