A Venezia e Roma, le due tappe italiane di Naomi Klein in Italia per presentare il suo ultimo lavoro "Una rivoluzione ci salverà - Perché il capitalismo non è sostenibile"
Un testo che rappresenta in ogni capitolo uno stimolo inedito ed utile a ridare centralità ad un tema, quello del cambiamento climatico, che non può più essere eluso.
"Cambiare il sistema e non clima" per per far crescere una dimensione di pensiero e d'azione condivisa tra i percorso sociali che ricercano un'alternativa al capitalismo moderno. "Una rivoluzione ci salverà". E' tempo di costruirla adesso. L'occasione per cominciare può essere per tutt@ la costruzione nei prossimi mesi delle mobilitazioni in occasione della Cop 21 a Parigi in dicembre.
Vi proponiamo l'intervista curata da Beppe Caccia apparsa in Il manifesto e la rassegna stampa dell'evento sia a Venezia che a Roma.
Naomi Klein a Venezia
Naomi Klein: «L'austerity inquina il Pianeta»
Naomi Klein è una studiosa, giornalista e attivista che i movimenti sociali hanno imparato a conoscere negli anni. Autrice del fortunato «NoLogo», ha partecipato ai movimenti noglobal statunitensi e canadesi. Ha poi seguito da vicino l'esperienza delle «fabbriche autogestite» argentine. Alcuni anni fa ha pubblicato un importante libro dove metteva al centro la paura come il sentimento usato dal potere costituito per imporre politiche sociali e economiche neoliberiste (Shock economy, Rizzoli). Incontriamo Naomi Klein a Venezia, a margine dell'evento di presentazione dell'edizione italiana del suo ultimo libro, Solo una rivoluzione ci salverà (Rizzoli. Il volume è stato presentato il 21 settembre del 2014 su queste pagine, qui e qui).
«Con voi in Italia – esordisce Naomi Klein — ho capito per la prima volta, quindici anni fa, il concetto di reddito di cittadinanza e ho imparato una parola per me nuova: precarietà. È importante tornare qui a discutere come questo termine descriva oggi la situazione dell'intero pianeta. E sono i decenni del neoliberismo ad aver resa drammatica la crisi ambientale. A imporre un cambiamento radicale che metta in discussione il capitalismo per come lo conosciamo».
«No Logo» è stato tra i testi che hanno segnato la stagione del movimento noglobal, poi hai costruito un rapporto stabile con le lotte indigene, in particolare nell'esperienza zapatista, infine hai attraversato le prime mobilitazioni sul climate change, come a Copenhagen nel 2009. La tua definizione di «Blockadia» è anche uno stimolo a pensare movimenti in forma nuova. Quali differenze vedi col passato e con quali prospettive?
I movimenti sono fluidi e le etichette che gli attribuiamo sono spesso arbitrarie. Credo ci sia una continuità tra le esperienze che hai citato e il presente. Tutte le esperienze nuove si appoggiano sulle spalle delle precedenti, evolvendo e cambiando. Ho provato a individuare il momento d'inizio di «Blockadia» nella lotta del popolo Ogoni, la cui resistenza ha combinato la difesa dei diritti umani e la resistenza alle politiche estrattive, nel lontano 1998 in Nigeria. Dal punto di vista del Nord globale, dobbiamo riconoscere che, a differenza del passato, i movimenti del «no» si pongono oggi il problema di costruire modelli alternativi. Pensiamo al caso della lotta in Grecia contro la miniera di Eldorado, che ha un impatto pesantissimo sull'ambiente circostante e che Syriza si propone di chiudere. La comunità locale in lotta, di fronte alla questione della disoccupazione, ha indicato quali potessero essere le alternative, nello sviluppo del turismo e di altre attività sostenibili.
Hai dedicato una particolare attenzione agli stimoli che vengono dalle popolazioni native. Al recente Festival zapatista in Messico, alla domanda «voi siete contro il progresso?», gli indigeni rispondevano «non siamo contro la modernità, basta mettersi d'accordo su che cosa significhi»…
Dobbiamo chiederci: quale è lo scopo dell'economia? Se l'obiettivo è solamente la crescita, che troppo spesso viene confusa con il progresso, siamo fuori strada. Lo scopo dev'essere invece un sistema economico che protegga e favorisca la vita sulla Terra. Per questo non mi convince la definizione di «decrescita», perché ti fa pensare che tutto debba essere contratto, quando invece non è così. Ci sono cose che, per forza, dovranno essere drasticamente limitate, e cose che hanno al contrario un'enorme possibilità di espansione. Ci sono professioni come i lavori di cura, i lavori creativi, che sono già a bassissimo consumo di risorse non rinnovabili, a bassissimo livello di emissioni, e sulle quali si può investire moltissimo. L'approccio all'economia dev'essere sempre strategico: da un lato ridurre ciò che è nocivo, dall'altro ampliare ciò che c'è di positivo.
La cosa più interessante che ho imparato dall'attivismo in «Blockadia» è proprio l'influsso delle lotte delle popolazioni indigene di tutto il mondo sui movimenti sociali urbani. Gran parte delle risorse fossili nel sottosuolo si trovano in territori abitati dai nativi. E sono loro i primi a soffrire, nella loro cultura e nei loro corpi, dell'impatto delle politiche estrattiviste, per l'impossibilità a condurre i loro modi di vita tradizionali e per i danni alla loro salute. Per questo sono diventati figure chiave in queste battaglie. E hanno trovato sponde anche al di fuori dei confini delle loro comunità. Le persone, lavorando assieme, hanno cominciato a influenzarsi reciprocamente. Il contributo più significativo dei nativi è stata l'idea di superare la logica della dominazione dell'uomo sull'ambiente, della supremazia che annichilisce la natura.
Dopo i fatti di Ferguson, la grande mobilitazione negli Stati Uniti contro le violenze e l'impunità della polizia, sei intervenuta sul tema del «razzismo ambientale». Quale rapporto individui tra le lotte sul cambiamento climatico e quelle per i diritti?
Se noi vivessimo in un mondo in cui tutte le vite avessero lo stesso valore, si sarebbe agito per tempo contro i cambiamenti climatici. Le persone maggiormente responsabili per la crisi ambientale sono quelle più protette dai suoi effetti, mentre quelle meno responsabili sono le più vulnerabili alle sue conseguenze. C'è della crudele ironia in questo. Ma è una realtà che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Pensiamo all'Africa Subsahariana, paesi dove il livello di emissioni è praticamente nullo, ma dove gli impatti dell'aumento delle temperature medie hanno avuto effetti devastanti sulla vita di tantissime persone.
E anche le risposte future saranno filtrate da questo strutturale razzismo. Significa che le frontiere saranno sempre più militarizzate per fermare i profughi ambientali in fuga dalla desertificazione. Significa che se le geotecnologie fossero effettivamente applicate produrrebbero effetti deleteri per il resto del mondo, per esempio con il fenomeno dei monsoni in Asia. In altri termini, le persone saranno ancora più sacrificate, non solo nella creazione, ma anche nella soluzione dei problemi. Per questo è necessario un cambiamento profondo nei valori. Se il capitalismo è un sistema che contiene diversi elementi di efferatezza, di fronte ai rischi climatici questi aspetti brutali non faranno altro che aggravarsi.
L'Europa sta vivendo un momento particolare. Conosci la situazione greca e gli effetti della gestione della crisi in questi anni. Che rapporto individui tra austerity e «climate change»? E quali risposte possiamo dare?
Per me il legame è chiarissimo. Ed è la ragione per cui, dall'inizio della crisi economica, il tema della crisi climatica è sparito dall'agenda politica europea. E contrastare il disastro ambientale mantenendo le politiche di austerity è semplicemente impossibile. Perché se prendiamo sul serio il tema del cambiamento climatico, dobbiamo accettare delle dure verità. Cioè porci il problema di tagliare almeno del dieci per cento ogni anno il livello delle nostre emissioni. Questo richiede enormi investimenti nella sfera pubblica, che dev'essere preparata ad affrontare i tempi difficili che ci attendono. Per evitare che la situazione divenga catastrofica, vanno messe in gioco grandi risorse. Bisogna ripensare il trasporto pubblico che dev'essere gratuito. Devi ridisegnare le nostre città. Bisogna ripensare le infrastrutture energetiche in termini decentralizzati. Tutto questo è semplicemente incompatibile con il concetto di austerity. La buona notizia è però che, mettendo in atto queste misure, si creano incredibili opportunità anche economiche e lavorative.
Per questo motivo, il cambiamento climatico potrebbe essere uno dei migliori argomenti per i movimenti anti-austerity. E rimane per me un mistero la ragione per cui non si parla mai di ambiente quando ci si mobilita per difendere la sfera pubblica dalle logiche neoliberali. Al tempo stesso in Europa abbiamo tanti motivi di speranza, dopo la vittoria di Syriza nelle elezioni in Grecia e la straordinaria crescita di Podemos in Spagna, in vista della conferenza COP 21 a Parigi alla fine dell'anno. E sarebbe indispensabile che tutti questi fili si congiungessero, per riuscire a creare un unico movimento per il cambiamento.
Un'ultima questione: «change» appunto è la parola chiave di questo tuo ultimo libro. Che possibile definizione daresti oggi del cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno?
Ci sono molti modi per affrontare la questione. La cosa più importante è respingere la cultura del consumo, una cultura che prima usa e poi getta via indifferentemente le persone, il loro lavoro, le loro vite. Anche il pianeta viene usato e gettato. Come se la fine non dovesse mai arrivare. Qui sta il necessario cambio di paradigma. Cominciare a vivere come se il futuro fosse effettivamente in arrivo e come se dovessimo davvero fare i conti con le conseguenze delle nostre scelte di oggi. Il crollo del prezzo del petrolio ci offre adesso una grandissima opportunità. Se mi guardo attorno, vedo che la gente non ne può più di passare da uno shock economico all'altro, da un disastro ambientale al prossimo, da una crisi all'altra. La prospettiva di vivere in una società giusta e durevole è qualcosa che sta diventando desiderabile per molti.
C'è un gruppo in California che si occupa di giustizia climatica e vede la realtà in termini di «shocks, flides and shifts»: cioè di crisi, di crolli ed improvvise esplosioni di bolle; di più lenti smottamenti, cioè trasformazioni di più lungo termine; e di mutamenti come sostanziali passaggi di stato, che rappresentano non a caso ciò che vorremmo. I primi due devono essere imbrigliati per produrre quest'ultimo autentico cambiamento. Questo è il momento dell'onestà, il momento in cui le cose possono cambiare. Ma bisogna essere in tanti per sfruttare questa occasione. Da qui alla mobilitazione di fine anno a Parigi, soprattutto in Europa bisognerebbe esprimere quattro o cinque semplici rivendicazioni, su cui tutti lavorare assieme: ad esempio, l'obiettivo del cento per cento di energie rinnovabili; poi, la gratuità dei trasporti pubblici; il concetto «chi inquina paga»; infine affermare che le risorse fossili devono rimanere sotto terra. Qui c'è bisogno, anche per i partiti della sinistra, di gettare il proprio sguardo oltre il presente. Dobbiamo passare da una cultura della morte a una cultura della vita.
La parola «vita» è stata abusata dai movimenti anti-abortisti. Ma dobbiamo riappropriarcene. L'attuale regime economico si fonda sul dissotterramento di cose morte. Al di là della metafora, non è affatto sano fondare la propria vita sulla morte. Si è creato un enorme squilibrio fra questi due elementi. Ed è necessario ridare il giusto spazio alla vita.
Beppe Caccia
* Hanno collaborato Gianfranco Bettin (www.veneziaincomune.it) e Vilma Mazza (www.yabasta.it)
RASSEGNA STAMPA
Da Ecomagazine di Riccardo Bottazzo
Naomi Klein: la rivoluzione che ci salverà parte parte da noi
Diamoci da fare. La conclusioni che l'autrice di No Logo tira al termine dell'incontro svoltosi nella serata di oggi all'auditorium di Santa Margherita, potrebbero essere condensate in queste tre parole. Diamoci tutti quanti da fare perché il mutamento del clima è oramai una verità accettata da tutti gli scienziati. Un cambiamento ci sarà. E sarà un cambiamento inevitabile perché il modello economico imposto dal capitalismo non è più sostenibile dalle risorse di cui dispone la terra. Eppure, nonostante sia ancora il sistema neoliberista a dettare i paradigmi sui quali corre l'informazione dominante, la consapevolezza che questa crisi non sia come ce la raccontano le banche si sta facendo strada tra la gente. Lo dimostra il successo di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia. E in Italia? “In Italia – scherza Naomi Klein – avete l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola”.
L'incontro organizzato dall'associazione In Comune in collaborazione con Ca' Foscari e la Rizzoli Libri è stato un successo annunciato, considerato che questa veneziana è stata una delle tre sole tappe che la scrittrice canadese ha tenuto nel nostro Paese per presentare il suo ultimo libro “Una rivoluzione ci salverà”, sottotitolo “Perché il capitalismo non è più sostenibile”. Tutti 237 posti a sedere occupati, tanta gente, giovani soprattutto, in piedi o seduta per terra. Tanti altri fuori a masticare delusione perché, per ragioni di sicurezza, i responsabili della sala sono stati costretti a chiudere le porte.
Ad introdurre il dibattito, dopo l'inevitabile rito dei saluti del magnifico rettore, Michele Bugliesi, è stato il politologo Beppe Caccia, che ha ricordato come proprio la nostra città sia particolarmente toccata dai cambiamenti climatici e come tutti i veneziani, sulla loro pelle, hanno vissuto la storiaccia brutta del Mose. La grande opere salvifica che alla fin fine ha dirottato i fondi per la salvaguardia nel baratro della corruzione e della devastazione ambientale.
La Klein ha cominciato il suo intervento proprio da questa suggestione, ricordando come proprio a Venezia, una quindicina di anni or sono, venuta a presentare il suo libro “No Logo”, abbia sentito per la prima volta la parola “precarietà” dagli attivisti dei centri sociali. “Un termine che oggi potrebbe essere esteso a tutto il mondo – ha sottolineato -. Il fatto è che non esistono risposte non radicali al problemi che ci pone l'ambiente. La scienza ci dice che entro i prossimi anni la temperatura crescerà di un valore tra i quattro e i cinque gradi. Questo cambiamento può forse essere evitato ma solo con una altro cambiamento radicale che investa la società, la cultura la produzione. Non illudiamoci che il neo liberalismo posso affrontare questo problema perché la sua agenda va in direzione completamente diversa. Un programma finalizzato al taglio delle emissioni è improponibile semplicemente perché il loro progetto è di aumentare le emissioni”.
Il compito di stimolare Naomi Klein, è toccato all'ambientalista Gianfranco Bettin. L'incontro poi si è chiuso gli interventi del pubblico coordinati dal docente Duccio Basosi. Ma è proprio Bettin a buttare benzina sul fuoco sottolineando come, nel libro della Klein, vengano mosse pesanti critiche anche un certo ambientalismo non radicale ed alle sinistre di governo che, pur con sensibilità ben diverse rispetto alle destre, continuano a non mettere l'ambiente al primo posto delle loro agende, perseverando, alle fin fine, nel sostenere una politica neo liberista che, allo stato attuale delle cose, non può più essere riformata. Un esempio è stata l'Unione Sovietica con il suo capitalismo di Stato che ha devastato tutto il devastabile ed oltre. Oppure la Cina di Mao con la sua dottrina di “guerra alla natura” in nome della quale, tra le altre cose, ha cercato di sterminare tutti i passeri del continente. Un altro esempio sono le democrazie di sinistra dell'America latina: il Brasile, l'Ecuador, il Venezuela di Chavez. Paesi che, pur con atteggiamento diverso rispetto alle dittature, hanno comunque continuato l'attività estrattiva del greggio a spese dei popoli indigeni che dalla foresta ricavavano sostentamento.
“I cambiamenti climatici – ha risposto la scrittrice canadese – pongono in discussione tutte la nostra civiltà, dalla nascita della società industriale, quando si vendevano le macchine a vapore sostenendo che con questa avremmo sconfitto la natura, ad oggi dove il capitalismo è addirittura capace di proporsi come unica via di uscita ai danni che egli stesso ha causato. I cambiamenti climatici, in fondo, altro non sono che una risposta a scoppio ritardato a questo atteggiamento di scontro che l'uomo ha avuto nei confronti della natura. Come se ne esce? Con una sorta di, come l'ho chiamato, nuovo Piano Marshall. Non aspettiamoci che siano i Governi a farlo per noi. Neppure i Governi di sinistra. E' il momento di scendere in piazza e non solo per bloccare le grandi opere devastanti ma anche per proporre con forza progetti alternativi, cosa che non sempre siamo stati capaci di fare. Progetti che siano allo stesso tempo credibili, entusiasmanti e coinvolgenti. Perché il capitalismo è bravo a smuovere le acque della paura. Ma l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è che sia il capitalismo a governare i cambiamenti che, inevitabilmente, stanno arrivando”.
Diamoci da fare, dunque.
Riccardo Bottazzo
La Klein a Venezia: «Una rivoluzione per salvare la Terra»
La scrittrice tra riscaldamento globale, capitalismo, Expo. «Uniamoci dal basso, è il momento di agire» di Marta Artico
VENEZIA. Ormai è tardi, se alla fine degli anni Ottanta potevamo ridurre le emissioni atmosferiche di qualche punto senza mettere sottosopra schemi economia, corporation, poteri forti, oggi non è più possibile: il momento è ora e per farlo, è necessario adottare un cambiamento radicale, mettere in moto gli attivisti, attuare una rivoluzione dal basso che non riguarda la destra o la sinistra, ma ciascuno di noi e che va oltre crisi. La guru di No Logo, Naomi Klein, nel suo tour italiano è arrivata anche a Venezia, in un auditorium Santa Margherita in overbooking, accompagnata da Beppe Caccia e da Gianfranco Bettin.
Dopo i saluti del rettore di Ca' Foscari, Michele Bugliesi, guidata dalle domande di Bettin e del docente di relazioni internazionali Duccio Basosi, ha ripercorso il filo rosso del suo nuovo libro “This changes everything. Capitalismo versus clima”, nella sua traduzione per il pubblico italiano “Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile”.
«Da questa città ho imparato tanto» dice «qui ho sentito per la prima volta la parola “precarietà” e oggi dopo 15 anni questo termine è adatto a descrivere la situazione dell'intero pianeta». Per Klein «è fondamentale avere chiaro che non esistono risposte non radicali ai problemi dell'ambiente. Il cambiamento avverrà anche se non facciamo nulla, la terra si surriscalderà comunque». Eppure la lotta alle emissioni va contro l'agenda neoliberista: i governanti, anche quelli di sinistra, non riesco a battersi e l'economia non può risolvere, per sua natura, il problema, ecco perché serve una grande mobilitazione.
La scrittrice elogia la Germania: «Il miglior esempio della efficacia della transizione energetica viene dalla Germania, che è riuscita a fare un cambiamento profondo e oggi una percentuale tra il 20-25% dell'elettricità è prodotta da energie rinnovabili». Il momento è ora: «Obama investe in energia eolica e ha scavato più oleodotti di tutti, anche l'Italia mette in atto una politica energetica del “facciamo di tutto e di più”, adesso è il momento di bloccare progetti dannosi e nocivi, gli attivisti devono fare tutto ciò che è in loro possesso, dobbiamo unirci dal basso».
Secondo Klein ora il terreno è fertile: «A Parigi ci sarà la conferenza sul clima 2015, a Milano l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola» e la platea applaude ancora prima della traduzione «i leader parleranno dal di fuori e dunque ciascuno di noi, Venezia che vive sulla propria pelle queste cose, perché qui la gente va al lavoro con gli stivali contro l'acqua alta, deve essere in prima fila». A chi obietta che tanta radicalità può produrre conflitti, Klein ribatte: «Ci sono centinaia di motivi per essere scoraggiati, ma trovo che sia un'espressione di ottimismo molto più ingiustificata pensare che sia il mercato a risolvere il nostro problema».
E ancora: l'Italia secondo Naomi Klein, «può allentare l'abbraccio mortale dei vincoli dell'Ue seguendo la strategia di rinegoziazione del debito che la Grecia ha inaugurato con Tsipras». Come si sconfiggono i giganti del neoliberismo? «Mettendo in campo un gruppo di persone che hanno tutto da guadagnare». Su Venezia: «Mi ha colpito che questioni ambientali urgenti si basino su progetti di grosse dimensioni come il Mose pieni di corruzione, perfetti per mostrare ciò che non va bene. Per questo serve partecipazione delle comunità altrimenti non se ne va fuori. Qui c'è la necessità di ripulirsi da tutti i punti di vista, non solo da quello ambientale. Bisogna ripulire anche la politica».
Il comitato “No Grandi Navi” le ha donato un manifesto.
Tratto da La Nuova Venezia
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Dopo Venezia Naoimi Klein ha raggiunto Roma, dove si è svolto un affollato incontro moderato da Marica Di Pierri, presidente del CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali aperto a Roma dal 2007 e portavoce dell'Associazione A Sud che da oltre 10 anni lavora nell'accompagnamento e nel sostegno delle comunità locali attive per la giustizia ambientale tanto in Italia quanto nei sud del mondo.
All'iniziativa, che si è svolta presso l'Auditorium Santa Croce, ubicato all'interno del Cantiere di Rigenerazione Urbana Spin Time, a Via Statilia 15, adiacente alla Metro Manzoni. Molti gli attivisti delle principali reti sociali attive nella difesa del territorio, del diritto alla salute e della giustizia sociale: dal movimento di lotta per il diritto all'abitare Action alla campagna italiana Stop-TTIP, trattato di libero commercio attualmente in via di negoziazione tra Ue e Usa, dalla campagna Stop Biocidio, al lavoro nella terra dei fuochi contro il modello di gestione del ciclo dei rifiuti, al coordinamento nazionale No Triv in prima linea contro le politiche energetiche nazionali basate sull'ampliamento della frontiera estrattiva.
Clima, il fronte delle associazioni green: "Il governo si impegni in modo concreto"
A Roma incontro dei movimenti che si battono per un green new deal. L'occasione è la presentazione del libro di Naomi Klein "Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è più sostenibile". Sullo sfondo, la Conferenza Onu sull'ambiente prevista a Parigi alla fine del 2015
Si parte da una considerazione: il modello di sviluppo su cui si basa il capitalismo contemporaneo non è più sostenibile. E non solo perché gli effetti della crisi economica continuano a farsi sentire, orientando verso il basso la vita concreta dei cittadini mondiali. Ma soprattutto perché a farne le spese è l'ambiente, l'ecosistema, il nostro stesso pianeta. Il riscaldamento globale, le emissioni di gas serra, quel futuro "caldo e tempestoso" che diventa anno dopo anno molto più che una minaccia. E si arriva a porre un interrogativo: cosa altro dovrà accadere per far diffondere la consapevolezza della necessità di un cambiamento radicale, di una rivoluzione che metta in sicurezza il futuro?
L'avvertimento di Naomi Klein - "la crescita sta distruggendo il pianeta" - apre numerosi spazi per articolare questo processo di cambiamento. E, in occasione della sua visita a Roma, sono numerose le associazioni italiane che ripensano le loro iniziative soprattutto in vista della Conferenza Onu sul clima in programma a Parigi per la fine dell'anno. Tra le altre A Sud. Marica Di Pierri, portavoce dell'associazione, ne discute con Repubblica.it
"È dal 1988 che le Nazioni Unite hanno istituito un apposito gruppo incaricato di studiare i cambiamenti climatici, l'IPCC, ed è dal 1992 che è attiva la Convenzione Quadro Onu sui cambiamenti climatici. Tuttavia da allora non si è riusciti, protocollo di Kyoto compreso, a stabilire e far rispettare un quadro di impegni vincolanti che inducessero di fatto i governi a ridurre le emissioni", dice Marica DI Pierri che modera l'incontro con la Klein. E sono i dati a confermare la gravità di questo disimpegno internazionale: "Secondo il Global Carbon Project, nel 2013 le emissioni di Co2 causate da fossili e cemento ha raggiunto i 36 miliardi di gigatonnellate di CO2, 61% in piu rispetto ai livelli del 1990".
E le soluzioni non sono più rinviabili. La necessità è quella di un "ripensamento complessivo del sistema produttivo e del modello di consumi". Ovvero: incentivare le fonti energetiche rinnovabili, avviare processi di conversione ecologica delle produzioni, investire in reti capillari di trasporti pubblici ad alta efficienza. Ancora: "riqualificare il patrimonio immobiliare invece di continuare a costruire, risanare il dissesto idrogeologico, spingere alla promozione e al rafforzamento di reti di consumo condiviso", continua la portavoce di A Sud.
La richiesta è quella di un impegno concreto anche da parte del governo italiano. Perché non si tratta di temi astratti ma di tematiche concrete. "Renzi è stato al Climate Forum di New York a settembre e ha affermato testualmente che quella dei cambiamenti climatici è la sfida del nostro tempo, lo dice la scienza, non c'è tempo da perdere: la politica deve fare la sua parte. I nostri figli attendono che a Parigi l'accordo sia vincolante", ricorda la Di Pierri. Che aggiunge: "Poi, tornato in Italia, il suo governo ha imposto doppia fiducia, alla Camera e al Senato, per la conversione in legge dello Sblocca Italia che, al di là del nome molto glamour, in realtà significa una colata di cemento in mega infrastrutture, il raddoppio delle estrazioni petrolifere, la scelta dell'incenerimento come core strategy per la gestione dei rifiuti, il modello nella multiutilities, dunque delle privatizzazioni, per la gestione dei servizi pubblici essenziali", conclude la Di Pierri. Passi che vanno in direzione opposta a quelli auspicati dai movimenti per l'ambiente.
All'incontro di Roma sono presenti numerosi attivisti delle principali reti sociali attive nella difesa del territorio, del diritto alla salute e della giustizia sociale. Si va dal movimento di lotta per il diritto all'abitare Action alla campagna italiana Stop-TTIP. Fino dalla campagna Stop Biocidio, al lavoro nella Terra dei Fuochi contro il modello di gestione del ciclo dei rifiuti. E sono presenti anche esponenti del coordinamento nazionale No Triv in prima linea contro le politiche energetiche nazionali basate sull'ampliamento della frontiera estrattiva.
Tratto da www.repubblica.it
Video da www.docstation.org
Doc Station live (REPLAY) di docstation
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In mattinata Naomi Klein si è incontrata a Montecitorio con parlamentari eed esponenti di Sel e di altri partiti ed organizzazioni poltiche.
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