2014-10-20



Si è svolta a Roma presso la Casa Internazionale, promossa da Organizzato da: Giuristi Democratici/IADL, Fondazione Delle Donne Libere Internazionale, Movimento internazionale delle donne curde, Casa Internazionale delle Donne, Associazione donne, diritti, giustizia, Associazione Senza Confini, UIKI Onlus, l'interesante giornata di incontro dedicato all'esperienza delle donne curde, alla lotta al femminicidio portato avanti dall'oscurantismo reazionario dell'Isis.

Fuori dai clichè e dai luoghi comuni delle immagini mainstream è stato possibile attraverso i numerosi interventi, analizzare e comprendere la lotta, che affonda le sue radici nel lungo percorso della resistenza curda, delle donne che abbiamo imparato a conoscere come le combattenti che resistono nella Rojava.

Emancipazione, parità intesa come valore della differenza, volontà di cambiare complessivamente l'assetto sociale che fa del patriarcato una delle sue colonne portanti.

Ascoltando gli interventi delle compagne curde, il loro racconto della centralità data fin dalla formazione del PKK alla lotta al patriarcato e allo sfruttamento femminile, è impossibile non cogliere l'eco di un'altra esperienza diversa per contesto e radici, quella delle "mujeres rebeldes zapatistas". Come nella lontana Selva Lacandona il discorso, fatto di esperienze e pratica del conflitto, supera il femminismo classico e ci offre uno stimolo in più per capure come l'alternativa all'esistente si costruisce avendo il coraggio di costruire una nuova narrazione sociale complessa e ricca di diritti e dignità.

VI PROPONIAMO GLI INTERVENTI DEL CONVEGNO TRATTI DA www.uikionlus.com

Feminicidio: la guerra senza fine del sistema partriarcale

*Intervento di Havin Guneser

Giornalista e portavoce dell'Iniziativa Internazionale ‘Libertà per Abdullah Öcalan – Pace in Kurdistan'

Prima di tutto voglio dirvi che sono davvero molto contenta di essere qui tra voi per discutere della lotta di liberazione delle donne in generale, ma nello specifico della lotta delle donne curde, specialmente in tempi come questi. Personalmente non ho mai pensato che avrei attraversato una storia di questo genere nel corso della mia vita. Siamo davvero testimoni della costruzione della storia a Kobane, Kurdistan occidentale.

Ringrazio le organizzatrici per questa opportunità. Presumo che gli inizi siano molto importanti per tutto e tutti, ma in particolare per dei movimenti politici. I valori morali e i principi politici che costituiscono la base di ogni movimento, gli danno la capacità di trasformarsi e di trascendersi. Il movimento di liberazione curdo e il suo principale stratega e leader Abdullah Öcalan, si possono inserire in questa categoria. In effetti, il PKK è nato poco dopo gli straordinari e rivoluzionari effetti del 1968.

La formazione iniziale del gruppo ha preso avvio all'inizio degli anni '70 e alla fine nel 1978 è stato fondato il PKK. Quindi non è risultato in un'organizzazione che si possa considerare completamente interna alle categorie né della vecchia sinistra, né di quella nuova. Tuttavia aveva una fortissima unicità. I fondatori del PKK venivano da diversi percorsi di vita, convinzioni, etnie e c'erano delle donne già nel nucleo iniziale del gruppo. Questa combinazione di giovani di origini rurali e urbane, la maggior parte dei quali erano studenti, davano a questo giovane movimento uno straordinario dinamismo. Una simile combinazione non consentiva il dogmatismo.

Quindi feudalesimo, sciovinismo, nazionalismo e dominio maschile in generale furono rigettati fin dal principio, dando al movimento una buona base su cui svilupparsi. Sarebbe ingiusto sostenere che l'approfondimento e l'analisi della questione femminile già allora fossero così profondi. Daremmo una qualità magica a quello che è successo in 40 anni. Al contrario, nonostante il fatto che ci fosse un solido inizio, il punto di vista sulla schiavitù delle donne e quindi sulla libertà, si sono sviluppati in modo così profondo come risultato della partecipazione di donne in numero crescente e grazie all'approccio dialettico di Abdullah Öcalan come principale stratega del movimento.

Un altro fattore importante è la complessità stessa della questione curda. Non c'era una risposta semplice alla questione curda e lo status quo formato intorno ad essa non consentiva una soluzione semplice. L'accordo di Yalta tra l'Unione Sovietica e gli USA esasperarono la già terribile situazione delle loro negazione e delle politiche di eliminazione. Quindi non c'era spazio per le illusioni, tutte le forme di ideologia dominante o persino spazi che assimilavano movimenti al sistema erano chiusi per il PKK. Questo, io credo, ha portato alla vera ricerca di libertà e a vedere le maschere dietro alle quali si nascondevano diversi movimenti e ideologie.

Ma poi nel 1980 ci fu un golpe militare e il movimento di liberazione era ancora molto giovane e non ancora pienamente organizzato, se consideriamo che il PKK era stato fondato nel 1978. Fu uno dei colpi di stato militari più duri di tutti i tempi. Molti furono uccisi. Furono arrestate migliaia di persone, buttate in prigione e sottoposte a orrende torture. Molte altre centinaia di migliaia di persone furono raggruppate nelle scuole, negli stadi e torturate. Presto sarebbe stata ripristinata la rinnovata obbedienza della società – così pensavano. La resistenza e la lotta dei componenti del PKK nel famigerato carcere di Diyarbakir; tra loro la resistenza delle donne e in particolare quella della fondatrice del PKK Sakine Cansiz, presto divennero una narrazione quasi mitologica.

Le aspirazioni di libertà del popolo curdo, ma specialmente quelle delle donne curde, ma più specificatamente la lotta implacabile di Sakine Cansiz e la sua resistenza di fronte alle orrende torture alle quali era sottoposta, aprirono la strada al fatto le donne avessero un ruolo enorme nei giorni a venire. Quindi nonostante il fatto che all'inizio la lotta delle donne all'interno del PKK non trascendesse i confini della vecchia sinistra, non poteva neanche essere contenuta in essi. Qui il ruolo di Öcalan è importante sia come stratega, che come leader politico del movimento curdo. Non ignorava la schiavitù delle donne, né il loro desiderio di lotta per la libertà. Lui, nonostante le reazioni negative di alcuni componenti maschi dell'organizzazione, aprì spazi politici, sociali, culturali, ideologici e organizzativi per le donne. Lo face con grande convinzione.

Le donne si unirono alle forze della guerriglia fin dall'inizio per via del sessismo basato sulle strutture feudali tribali con il quale si confrontavano e per via della rabbia che provavano di fronte alla crescente oppressione colonialista e sfruttatrice dello stato turco nei confronti dei curdi. Arrivarono persone con percorsi di vita di ogni genere per combattere una lotta comune.

Già si incontrava il primo problema. Arrivare e unirsi a un movimento rivoluzionario, non bastava a superare le caratteristiche consolidate derivanti dalle strutture colonialiste e feudali. Iniziarono a emergere problemi, in particolare nell'approccio nei confronti delle donne c'era un tentativo di riprodurre ruoli tradizionali nelle forze di guerriglia e nelle strutture di partito. C'erano donne che accettavano la riproduzione di questi ruoli e c'erano anche donne che la rifiutavano.

Quindi presto l'organizzazione si accorse della gravità del problema che aveva davanti e costruì la YJWK (Unione Patriottica delle Donne del Kurdistan) nel 1987. La fondazione di questa unione fu la prima dichiarazione di intenti verso un'organizzazione delle donne unica e separata. Negli anni '90 c'è stato un enorme afflusso di donne nelle forze della guerriglia. Questo obbligava alla formazione di una nuova organizzazione con le forze della guerriglia. Nel 1993 per la prima volta furono formate unità di sole donne. Questo significava che non sarebbero state sotto il controllo diretto di guerriglieri maschi e che avrebbero avuto modo grado di fare dei propri piani di decisioni e quindi di realizzare questi piani.

Il conseguente sviluppo delle donne nell'autodifesa diede loro sicurezza si sé. Questo portò a enormi trasformazioni ideologiche, politiche e sociali. Questa fu la seconda svolta dopo l'eroica resistenza delle donne nelle carceri turche. In effetti portò a cambiamenti rivoluzionari nel modo in cui le donne erano percepite all'interno della società curda e dai maschi. Così più tardi nel 1995 fu formata la YAJK (Unione delle Donne Libere del Kurdistan).

Da allora in poi il lavoro sociale e politico fu svolto non solo tra le donne, ma anche nella società. Allo stesso tempo iniziò anche il lavoro per la solidarietà internazionale. È durante questi anni che Öcalan iniziò a parlare di un nuovo concetto: uccidere il maschio dominante. Da quel momento la lotta di liberazione delle donne diventò più radicale. Iniziarono a parlare di staccarsi dalla mentalità dominante della modernità, psicologicamente e culturalmente. Ma parlavano anche di un progetto in parallelo per trasformare i maschi. A questo scopo la formazione degli uomini era fatta dalle donne.

Mentre si avvicinava il 1998, le donne definirono i principi dell'ideologia della liberazione delle donne e per metterla in pratica formarono il PJKK (Partito delle Lavoratrici del Kurdistan). Nel 2000 allargarono la loro prospettiva organizzativa e di lotta e fondarono il PJA – Partito delle Donne Libere. Una delle più importanti conquiste di questo periodo è il Contratto Sociale delle Donne. Tuttavia tutti questi tentativi non superarono completamente i limiti e la struttura del patriarcato. Non solo il movimento delle donne, ma tutta l'organizzazione era alla ricerca di un'alternativa.

Nonostante il fatto che il PKK non fosse più la vecchia sinistra, era incapace di trovare una soluzione che rompesse completamente con il socialismo reale e quindi con la modernità capitalista. Si può definire il periodo tra il 1993 e il 2003 il periodo di transizione per costruire un'alternativa alla modernità capitalista. Il materiale teorico disponibile, esperienze passate di vari altri movimenti, il femminismo e l'esperienza dello stesso PKK portarono il movimento a concludere che la schiavitù delle donne costituiva la vera base di ogni successiva riduzione in schiavitù, così come di tutti i problemi sociali.

Così iniziò a distinguersi dai marxisti-leninisti classici. Si distingueva nel modo in cui iniziava a vedere l'apparato statale, uno strumento di potere e di sfruttamento che non è necessario per la continuazione della vita umana e naturale. In terzo luogo cambiò anche la sua percezione della violenza rivoluzionaria e alla fine venne formulata come autodifesa. Öcalan stabilì che la schiavitù delle donne era stata perpetuata su tre livelli nel corso di cinquemila anni: per prima c'è la costruzione della schiavitù ideologica; poi la questione dell'uso della forza; infine c'è l'esclusione dall'economia.

Fu quindi veloce nel fare il collegamento tra la profondità della schiavitù delle donne e l'intenzionale occultamento di questo fatto e l'ascesa del potere gerarchico e statalista all'interno della società. Se le donne sono abituate alla schiavitù, il percorso verso la riduzione in schiavitù di altre parti della società è aperto. La schiavitù degli uomini viene dopo la schiavitù delle donne. Ma la schiavitù delle donne per certi aspetti è diversa dalla schiavitù della classe e della nazione.

La sua legittimazione si raggiunge attraverso una raffinata e intensa repressione combinata con le bugie che giocano sulle emozioni. La differenza biologica della donna è usata come giustificazione per la sua schiavitù. Tutto il lavoro che svolge è dato per scontato ed è definito “lavoro da donna” privo di valore. Senza analizzare il processo attraverso il quale la donna viene sottomessa socialmente, non solo non si possono capire bene le caratteristiche fondamentali della conseguente cultura sociale del maschio dominante, ma nemmeno cosa costruire al suo posto.

Senza capire come la mascolinità è stata formata socialmente, non si può analizzare l'istituzione dello stato e quindi non si è in grado di definire in modo accurato la cultura della guerra e del potere connesse all'essere uno stato. Questo è qualcosa che dobbiamo sottolineare perché questo è quello che ha aperto la strada al femminicidio e alla colonizzazione e allo sfruttamento dei popoli.

Il soggiogamento sociale della donna è la più vile controrivoluzione che sia mai stata fatta. Öcalan evidenzia che .‘La spada della guerra brandita dallo stato e la mano dell'uomo all'interno della famiglia sono simboli di egemonia. L'intera società suddivisa in classi, dagli strati più alti ai più bassi è incastrata tra la spada e la mano'. Il capitalismo e lo stato-nazione sono analizzati per rappresentare il maschio dominante nella sua forma più istituzionalizzata.

La società capitalista è la continuazione e il culmine di tutte le vecchie società basate sullo sfruttamento. Si tratta in effetti di una guerra continuativa contro la società e la donna. Per dirlo succintamente, il capitalismo e lo stato-nazione sono il monopolio del maschio tirannico e sfruttatore. Basta guardarsi in giro nel mondo per vedere un nuovo aumento della violenza, dello sfruttamento della ri-repressione delle donne. Questo non sta succedendo solo nei cosiddetti paesi del terzo mondo, ma nel mondo intero. Un nuovo obiettivo dell'egemonia ideologica della modernità capitalista è di cancellare fatti storici e sociali riguardanti la sua concezione ed essenza.

Questo dipende dal fatto che la forma economica e sociale capitalista non è una necessità storica, è una costruzione forgiata attraverso un processo complesso. Religione e filosofia sono state trasformate in nazionalismo, la divinità dello stato-nazione. L'obiettivo principale di questa guerra ideologica è di garantire il suo monopolio sul pensiero. Le sue armi principali per raggiungerlo sono il religionsimo, la discriminazione di genere e lo scientismo come religione positivista.

Senza egemonia ideologica, con la sola oppressione politica e militare, sarebbe impossibile mantenere la modernità. Mentre il capitalismo usa il religionismo per controllare la consapevolezza della società, usa il nazionalismo per controllare classi e cittadinanza, un fenomeno che è cresciuto intorno al capitalismo. L'obiettivo della discriminazione di genere è di negare alla donna ogni speranza di cambiamento.

Il modo di funzionare più efficace dell'ideologia sessista consiste nell'intrappolare l'uomo in relazioni di potere e nel rendere la donna impotente attraverso lo stupro costante. Attraverso lo scientismo positivista, il capitalismo neutralizza il mondo accademico e i giovani. Li convince che non hanno altra scelta che integrarsi nel sistema e, in cambio di concessioni, questa integrazione è assicurata. Ma chiarire in modo non ambiguo lo status delle donne è solo un aspetto di questa questione.

Molto più importante è la questione della liberazione; in altre parole la risoluzione del problema va oltre l'importanza della sua rivelazione e della sua analisi. Durante l'ultimo quarto del ventesimo secolo il femminismo è riuscito in una certa misura a rivelare la verità sulle donne. Ma il movimento di liberazione curdo e Abdullah Öcalan hanno fatto un passo ulteriore e basano la loro analisi della società sulla ‘società morale e politica'. Hanno costruito una relazione tra libertà e morale e libertà e politica.

Per sviluppare strutture ed espandere il nostro spazio di libertà, la morale è indicata come la coscienza collettiva della società e la politica come il suo sapere comune. Ma ora come lavoriamo verso questo obiettivo? Per essere in grado di fermare la perpetuazione del capitale e l'accumulazione di potere, così come la riproduzione della gerarchia, c'è la necessità di creare strutture per una società democratica, ecologica, basata sulla liberazione di genere. Raggiungere questo smantellamento del potere e della gerarchia è una necessità assoluta. Questo sistema sociale della modernità democratica è il Confederalismo Democratico e l'Autonomia Democratica. Questo sistema non è una formazione alternativa dello stato, ma un'alternativa allo stato.

Le nostre democrazie contemporanee si sono sviluppate secondo la democrazia romana che è rappresentativa anziché partecipativa. Quindi comanda la maggioranza e un élite decide sulle questioni fondamentali per nostro conto. L'autonomia democratica invece è democrazia radicale soprattutto con la partecipazione organizzata e attività decisionali delle donne, ma anche di tutte le aree della società che si organizzano e prendono parte direttamente al processo decisionale per essere in grado di decidere su questioni che le riguardano direttamente e indirettamente. Così il movimento delle donne ha attraversato diversi periodi di ristrutturazione.

C'era bisogno di un'organizzazione delle donne che trascendesse le strutture di partito e che fosse più flessibile e che fosse un'organizzazione completa confederale delle donne. Quindi nel 2005 è stato fondato il KJB (Alto Consiglio delle Donne). Come risultato c'è stata azione e ristrutturazione organizzativa per dare luogo alla formazione del nuovo paradigma basato sulla democrazia, l'ecologia e la libertà delle donne. Il KJB è stato costituito per diventare il punto di coordinamento tra le forze di autodifesa, organizzazioni sociali, il partito delle donne PAJK e l'organizzazione delle giovani donne.

Nel settembre del 2014 l'organizzazione delle donne ha attraversato un'altra trasformazione e contemporaneamente di conseguenza ha cambiato il suo nome in KJK. C'era bisogno di questa trasformazione per affrontare in ugual modo e complessivamente i bisogni della società e la formazione delle istituzioni necessarie per continuare con la trasformazione degli uomini, la democratizzazione della società, per creare etica ed estetica della vita libera.

Le donne quindi si organizzano a partire dal livello locale verso e in tutte le strutture decisionali. Prendono autonomamente tutte le decisioni che le riguardano e sono rappresentate a livello locale e a tutti i differenti livelli in cui vengono prese decisioni che riguardano l'intera società. Altre aree della società, giovani, anziani, professionisti, artigiani, sono anch'esse organizzate in modo che il potere e le formazioni e strutture gerarchiche non possano essere perpetuate e ogni tentativo viene fermato da questi meccanismi.

La schiavitù delle donne è stata perpetuata su tre livelli: la costruzione della schiavitù ideologica; poi l'uso della forza; infine l'esclusione dall'economia, allora anche queste tre aree vanno affrontate simultaneamente. Doveri intellettuali e istruzione: Guardando la storia, vediamo come si sono sviluppate la schiavitù delle donne e poi quella dell'intera società. Prima era ideologica; in effetti gerarchia significa ‘governo da parte del sacerdote'. Poi è necessario denunciare la storia della colonizzazione delle donne. Insieme con questo vanno rivelate anche la colonizzazione economica, politica e intellettuale delle donne. Questo significa denunciare la storia dell'umanità per l'intera società. Più la scienza e il sapere venivano portate verso il capitale e il monopolio del potere, più iniziavano a prendere di mira la società morale e politica. La civiltà ha costruito un monopolio sia sulla scienza che sulla conoscenza, staccandole così dalla società e in particolare staccandole profondamente dalle donne. Questo significava anche il loro distacco dalla vita e dall'ambiente.

Economia, industrialismo, ecologia: L'economia è la terza forza dopo l'ideologia e la violenza, attraverso la quale le donne, e successivamente l'intera società, sono state intrappolate e costrette ad accettare la dipendenza. Economia in senso letterale significa ‘gestione della casa'. Ma nell'ordine delle donne, l'accumulazione non era né per il mercante, né per il mercato, era per la famiglia. Quindi c'è un vero bisogno di trasformarla in quello che dovrebbe essere. Ma per gli economisti capitalisti solo il lavoro che è produttivo e visibile si misura in termini di denaro. Quindi il nesso tra il lavoro invisibile delle donne e l'accumulazione del capitale si è trovato considerando qual è il ruolo del lavoro domestico nel capitalismo.

Coloro che vogliono un adeguato lavoro domestico senza stabilire relazioni salariate, devono farlo tramite la violenza strutturale e diretta. In effetti questa violenza strutturale e diretta caratterizza le relazioni di sfruttamento: tra umani e natura, industria e contadini, città capitali e colonie. Questa è una delle ragioni per le quali Abdullah Öcalan considera la relazione uomo-donna come intrinsecamente coloniale. E quindi la donna come la prima colonia. Autodifesa: Anche questa è una questione della massima importanza. Perché la violenza combinata con offensive ideologiche ed economiche contro le donne hanno portato a ottenere risultati.

Oggi la violenza è monopolio dello stato. Gode del diritto esclusivo. Non è stato facile opprimere le donne nel corso di cinquemila anni; ha significato bruciarle come streghe o seppellirle vive per il fatto di essere donne, picchiarle con o senza pretesti e la lista potrebbe continuare. Ma la cosa importante è che non devono più essere alla mercé di altri, a prescindere da chi essi siano. In tempi di caos come quelli che stiamo attraversando, la possibilità di cambiamento è più che mai presente.

Il capitalismo è in una crisi sistemica e sta cercando di modificare questo stato di cose cambiando e trasformando se stesso. Questo non deve necessariamente significare che questa trasformazione sia un progresso. Al contrario, le forze reazionarie in tutto il mondo stanno cercando in diverse forme di imporre alla popolazione mondiale, e in particolare alle donne, un sistema più di destra. Il caos si è concentrato sul Medio Oriente e al suo interno su Kobane, in Kurdistan.

La lotta in quel luogo ha un doppio significato; per i curdi e per la lotta generale per libertà in tutto il mondo e per le donne. Abbiamo bisogno di guardare oltre le nuvole. Questo costituisce anche un'opportunità per le forze democratiche di emergere da questo caos come grandi vincitrici. Qualsiasi cosa sia stata costruita dalla mano umana può essere distrutta dalla mano umana. La schiavitù delle donne non è né una legge della natura, né è destino.

Vorrei ricordare le tre donne rivoluzionarie che sono state assassinate a Parigi, vorrei inoltre ricordare le coraggiose giovani donne che mentre stiamo parlando, stanno combattendo per fermare il dilagare del fascismo. Non possono essere lasciate sole. Sono le Mujeres Libres del 1937 in Spagna. Ascoltatele; stanno cantando una bellissima canzone di libertà.E fate in modo che le loro voci vengano ascoltate.

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Il Femminicidio, un Crimine Contro l'Umanità

Intervento di Nursel Kilic

Rappresentante internazionale del movimento delle donne curde KJK

Proprio nel mezzo di una lotta che si rafforza in ogni momento, vi saluto a nome di tutte le donne che lottano per un futuro migliore e soprattutto per la liberazione delle donne. Vorrei anche in questa occasione commemorare tutte le donne martiri per la Liberazione del Kurdistan, in particolare tutte le combattenti delle YPJ che hanno sacrificato la loro vita per salvare le donne minacciate di genocidio dal Daesh. Queste donne sono ora minacciate di attacchi femminicidiari. ?? Qui la parola non ha molto senso in italiano, potresti forse dire “minacciate proprio in quanto donne”

Il femminicidio non ci è sconosciuto. Noi donne curde ci dobbiamo confrontare con una doppia discriminazione a causa della nostra identità e del nostro genere. Siamo state e siamo tuttora le prime vittime del conflitto armato. Le donne sono sempre state utilizzate come bottino di guerra e continuano ad esserlo oggi per gli attacchi del Daesh.

Le donne curde non sono obiettivi solo sul terreno del conflitto armato. Esse sono minacciate in tutti i settori in cui sono attive per i loro diritti politici, sociali e culturali.

La lotta per la liberazione delle donne è una lotta millenaria, dalla notte dei tempi le donne di tutto il mondo affrontano una discriminazione multipla; ricordiamo figure simboliche ed emblematiche del 19° secolo come Olympe de Gouges, Clara Zetkin, Rosa Luxembourg e le tre sorelle Mirabal. Possiamo citarne molte altre. In tutti i settori della società le donne erano un pericolo potenziale contro la struttura del sistema patriarcale.

Il pericolo principale di cui erano e sono sempre portatrici è la loro presa di coscienza, la loro forza organizzativa e la loro resistenza di fronte a tutte le persecuzioni dei fautori del dominio maschile.

Il Movimento delle donne curde ha saputo trasmettere questo patrimonio con figure femminili memorabili per la liberazione del popolo curdo. Il movimento delle donne curde è nato attraverso la lotta del Movimento Nazionale Curdo. Ma fin dalla sua nascita le donne sono sempre state un partito in piena regola all'interno del meccanismo decisionale del Movimento per la Liberazione del Kurdistan. Sono state, per la loro posizione di motrici della resistenza contro i regimi dittatoriali, un simbolo popolare della determinazione del popolo.

Gentili partecipanti,

Vorrei rendere omaggio a Sakine Cansiz, co-fondatrice del PKK e del Movimento delle Donne Curde. Sakine Cansiz anche è stata una di quelle donne che hanno fatto la storia; è nata a Dersim nel Kurdistan turco, e aveva dalla nascita dentro di sé il germe della ribellione del suo popolo, che poco prima, nel 1938, era stato per la ventottesima volta massacrato dal governo turco. Durante il suo percorso di studentessa ha simpatizzato rapidamente con gli ambienti degli studenti rivoluzionari; come carattere Sakine Cansiz era sensibile al tema della liberazione delle donne, rivendicava sempre che il ruolo delle donne fosse uguale a quello degli uomini nella società dell'epoca. Come metodo di mobilitazione cominciò dalle relazioni sociali nel quartiere, iniziando spesso con l'alfabetizzazione per le donne che non avevano avuto nella loro infanzia i mezzi per seguire un percorso scolastico. Questo mezzo mirava in particolare alla creazione di una presa di coscienza nell'ambiente domestico e in particolare ad aumentare il livello di partecipazione delle donne alla vita politica del Movimento. Sakine Cansiz ha sempre riprodotto attraverso la sua marcia militante e rivoluzionaria tutti i principi e gli obiettivi della lotta. Nei primi anni '80 è stata imprigionata con i suoi compagni di lotta dal governo turco per le sue attività politiche. La sua statura integra, la sua rivolta e la sua rilevanza erano il suo scudo contro questi soggetti che non l'hanno risparmiata nei corridoi delle torture della prigione di Diyarbakir. Di fronte al torturatore Esat Oktay Yildiran esclamò: “Mi avete mutilato il seno ma mi vergogno di dire ahi per la giusta causa del mio popolo.” E' stata il simbolo della resistenza del popolo kurdo. Sakine Cansiz-Sara ha oggi arricchito il patrimonio di figure storiche del movimento di liberazione delle donne.

Sakine Cansiz è stata brutalmente assassinata il 9 Gennaio 2013 presso la sede del Centro di Informazione del Kurdistan, nel cuore di Parigi.

Fidan Dogan, un'altra figura emblematica della diplomazia curda in Europa; molto giovane si è interessata alla causa curda. Ha lasciato gli studi per partecipare più attivamente alle attività politiche rivolte alla ricerca della soluzione della questione curda. Ha maturato la sua esperienza nella pratica mentre era una rappresentante politica curda. Era la voce delle rivendicazioni di un popolo per la libertà, la democrazia e la pace, nota a molti politici europei; è stata anche un obiettivo importante a causa delle sue capacità diplomatiche. Ha rappresentato un grande pericolo per i protagonisti politici negazionisti e nemici del popolo curdo. E' stata un ponte tra il suo popolo e la comunità internazionale. Era curda, femminista e attivista autentica della causa curda.

Fidan Dogan è stata brutalmente assassinata il 9 Gennaio 2013 presso la sede del Centro di Informazione del Kurdistan, nel cuore di Parigi.

Leyla Saylemez, membro attivo della gioventù curda, ha lasciato gli studi universitari nel 2007 per partecipare attivamente al movimento giovanile curdo. Originaria di Amed-Diyarbakir, capitale geografica del Kurdistan. Si sentiva responsabile per la situazione del suo popolo e ha deciso di impegnarsi attivamente nella lotta per la liberazione del Kurdistan. Trasmettere la storia degli antenati e l'eredità del movimento era anche una minaccia per le forze distruttrici imperialiste e neo-liberali che non si augurano in nessun caso di riconoscere l'esistenza di questo popolo e, ragion di più, del loro stato.

Leyla Saylemez è stata brutalmente assassinata il 9 Gennaio 2013 presso la sede del Centro di Informazione del Kurdistan, nel cuore di Parigi.

La data del 9 gennaio 2013 è scritta per sempre come un giorno buio nella storia dei curdi. Eppure l'inizio di quell'anno è stato caratterizzato da sviluppi positivi che lasciavano infine sperare nella fine di un conflitto di 35 anni. Non può essere una coincidenza il fatto che questo massacro sia stato realizzato esattamente 12 giorni dopo l'annuncio ufficiale dei colloqui, il 28 dicembre 2012.

Gli ambienti che mantengono uno sguardo obiettivo e indipendente hanno interpretato questo crimine come un tentativo di “sabotaggio” dei negoziati in corso a Imrali, e hanno insistito sulla natura politica di questi omicidi, i quali, secondo coloro che sono implicati, sarebbero indiscutibilmente ad opera di uno o più Stati. Il popolo curdo e i suoi rappresentanti condividono questo punto di vista, precisando che potrebbe essere un atto promosso dalla “Gladio turca” destinato non solo a demolire i colloqui di pace, ma anche ad intensificare gli sforzi di annientamento del movimento curdo.

A parte le circostanze politiche, vorrei sottolineare che questo assassinio politico ha anche un altro aspetto fondamentale. Un triplice omicidio, tre donne rivoluzionarie e femministe. Non si limitavano a difendere la causa di un popolo, hanno militato fino al loro ultimo respiro per la liberazione delle donne. Avevano ereditato le convinzioni di grandi figure del movimento femminista popolare. Lottavano contro tutti gli aspetti del femminicidio di cui sono state vittime.

Mi permetto ancora oggi a più di un anno e mezzo dopo quel terribile giorno, di commemorare la loro memoria. Lo ripeto ancora che resteranno per sempre attraverso la crescente lotta del movimento di liberazione delle donne.

Care partecipanti,

Un tema incrociato è quello della situazione delle Donne Curde del Rojava

Le donne curde si sono organizzate nel Kurdistan Occidentale (Rojava) e oggi, quartiere per quartiere, si sono create organizzazioni educative e sociali per garantire lo sviluppo e la sicurezza dei bambini in questo paese alle prese con una guerra che dura da 3 anni.

Queste donne, perché sono curde, sono vittime e mezzi sia del regime di Bashar al-Assad sia degli jihadisti. Le donne curde del Rojava si sono mobilitate con le donne arabe, turcomanne, assire e alevite per lavorare a soluzioni politiche e sociali collettive per l'emancipazione delle donne. Queste donne sono la forza motrice della rivoluzione e le architette di un sistema democratico ripulito da tutti gli approcci patriarcali.

Le donne curde del Rojava sono pienamente impegnate e sono uno dei pilastri del sistema chiamato “autonomia democratica del Kurdistan siriano.” Hanno avuto accesso a tutti i livelli dell'autogoverno, composto da tre cantoni. Si tratta di una rivoluzione nella rivoluzione.

Gli attacchi disumani delle bande dell'IS perpetrati contro i popoli e le religioni del Medio Oriente rappresentano un grande pericolo.

Dal mese di luglio 2014 gli attacchi delle bande dell'IS si sono sempre più intensificati; iniziando dal Comune di Kobane in Rojava (Kurdistan occidentale – Siria) l'invasione di questi gruppi terroristici si è propagata alla città di Mosul; dopo luglio gli attacchi si sono moltiplicati divenendo più violenti e configurando il crimine di genocidio contro il popolo curdo degli yazidi di Sinjar.

Nelle zone sotto il controllo dell'IS, le persone sono costrette a diventare musulmane e sono anche giustiziate in massa. E' in un spirito di festa che gli yezidi e i cristiani vengono sterminati. L'esecuzione di persone non musulmane è uno sterminio di culture e di credenze che persiste. Le bande dell'IS mirano a cancellare la ricchezza delle fedi, delle culture e la storia della Mesopotamia.

Secondo i rapporti delle Nazioni Unite più di 700.000 persone a Sinjar, 10.000 rifugiati provenienti dai campi profughi di Maxmur, che sono stati esiliati più di 8 volte, hanno affrontato il rischio di morte a causa della condizione di sfollamento forzato. Il campo di Maxmur era sotto la protezione e la responsabilità dell'UNHCR fino al 7 Agosto 2014. La maggior parte di questi rifugiati sono donne e bambini.

Secondo i rapporti ufficiali, si è constatato che tra chi è costretto a migrare, le persone morte a causa della fame e della disidratazione sono in gran numero bambini e anziani.

Attualmente ci sono ancora 20.000 persone sulle montagne di Sinjar, disidratate, senza cibo e senza farmaci.

L'IS e il Daesh sono nemici giurati delle donne, di conseguenza rappresentano un grande pericolo per le donne e le ragazze

Le bande dell'IS rapiscono le donne, le violentano, le usano come oggetti sessuali e le mettono in vendita nei “bazar della schiavitù.” Esercitano queste pratiche secondo la loro propria interpretazione dell'Islam basata su una mentalità dominatrice nel nome della religione. Per questo i “matrimoni temporanei” sono considerati legittimi, la vendita, la schiavitù delle donne, vengono interpretate come diritti e leggi della religione. Secondo le statistiche dell'Organizzazione dei diritti dell'uomo, più di 1.200 donne sono state stuprate e vendute nel bazar stabilito dall'IS a Mosul.

In questo momento mentre termino il mio discorso, le donne combattenti delle YPJ continuano ad essere scudi viventi contro gli attacchi del Daesh a Kobane. A rischio della loro vita difendono tutti i popoli del Rojava. Sono presenti in tutti i settori della società per offrire un mondo migliore ai loro discendenti che spero non dovranno più vivere in zone di conflitto, ma in una struttura e in un sistema democratico in terra libera.

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Lotta tra due sistemi contrapposti: l'ISIS, forza d'impatto della modernità capitalista, e le donne che costruiscono la modernità democratica
Intervento di Dilar Dirik

Ricercatrice Università di Cambridge

Voglio ringraziare le organizzatrici per questo grande evento e salutare la coraggiosa e storica resistenza del popolo e in particolare delle donne a Kobane, che stanno conducendo una lotta per l'esistenza contro l'oscurità del cosiddetto Stato Islamico e la cui coraggiosa resistenza dovrebbe far vergognare tutti coloro che stanno in silenzio a guardare o che contribuiscono attivamente agli attacchi contro la città.

Come molti di voi probabilmente sanno, dopo gli attacchi di IS a Kurdistan, Siria e Iraq, i media mainstream e il discorso politico hanno dato attenzione alla resistenza del popolo curdo contro gli atti brutali e genocidi di IS, e più in particolare al ruolo delle donne in questa lotta. Il mondo si è accorto della notevole lotta delle donne curde che hanno preso le armi per combattere il gruppo jihadista ultra-patriarcale, cosa che viene percepita come inusuale, dato che il Kurdistan si trova in una parte del mondo che è nota per essere straordinariamente patriarcale, feudale e sotto il dominio maschile. Il fatto che queste donne, in una società altrimenti conservatrice, dominata dagli uomini, combattano militarmente e sconfiggano un'organizzazione brutale, ha affascinato molti osservatori esterni. Tuttavia affermazioni sensazionaliste come “IS teme le donne curde perché se uccisi da una donna non andranno in paradiso” si concentra su elementi superficiali di una situazione profondamente complessa, ignorando che in questa lotta c'è più del solo combattimento con le armi, ovvero un progetto di emancipazione politica più ampio.

Di seguito vorrei parlare di due sistemi opposti che al momento si combattono in Kurdistan. L'organizzazione assassina IS con le sue intenzioni, ambizioni e azioni monopoliste, egemoniche, ultra-patriarcali e repressive è la personificazione della modernità capitalista. La resistenza e il movimento delle donne curde che lotta per un sistema di società alternativa basato sulla modernità democratica, una significativa lotta per libertà, giustizia e democrazia oltre gli stati-nazione, economia capitalista e potere egemonico.

Per fare questo prima di tutto dobbiamo capire gli elementi rivoluzionari delle donne in una società come quella del Kurdistan che prendono le armi contro un'ideologia così brutale. Per prima cosa, va capito il significato della lotta armata delle donne nel contesto dei concetti patriarcali di guerra e militarismo. Tradizionalmente le donne sono viste come parte delle terre che gli uomini devono proteggere. La violenza sessuale viene usata come strumento di guerra per “dominare” il nemico, in particolare dove il concetto di “onore” viene costruito intorno ai corpi e comportamenti sessuali delle donne. Le donne militanti vengono accusate di violare la “santità della famiglia” perché osano uscire dalla prigione centenaria che è stata loro assegnata. Il fatto ce le donne curde prendano le armi, simboli tradizionali del potere maschile, per molti versi è una devianza radicale dalla tradizione. Anche questa è una ragione per la quale molte donne che lottano, ovunque nel mondo, sono soggette ad una violenza sessuata, sia come combattenti, che come prigioniere politiche. Nel contesto delle donne militanti, lo scopo della violenza sessuata, fisica o verbale, è di punirle per essere entrate in una sfera riservata al privilegio maschile.

IS ha dichiarato esplicitamente una guerra contro le donne. Usa sistematicamente la violenza sessuata attraverso rapimenti, matrimoni forzati e stupro. Strumentalizza la religione per i suoi scopie sfrutta il concetto di “onore” prevalente nella religione. Secondo rapporti, migliaia di donne yezide di Shengal (Sijnar) sono state catturate, vendute nei mercati degli schiavi o “date” agli jihadisti come bottino di guerra, Questa sistematica distruzione delle donne è una forma specifica di violenza: il femminicidio.

L'ideologia sciovinista di IS non solo strumentalizza la religione per i suoi scopi egemonici, ma mira inoltre a stabilire un sistema di monopolismo completo. (…)

Nonostante il fatto che i media parlino delle donne al fronte, le motivazioni politiche della loro lotta sono spesso tralasciate. Per esempio, nonostante le ragioni della militanza delle donne curde siano molteplici, la maggior parte dei combattenti delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) e delle Forze di Difesa delle Donne (YPJ) del Rojava (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale) che stanno combattendo IS da due anni, sono leali all'ideologia del Partito del Lavoratori del Kurdistan, il PKK.

Il PKK nonostante venga definito “organizzazione separatista”, da tempo è andato oltre i concetti di stato e nazionalismo e ora sostiene un progetto do liberazione alternativo in forma di autonomia regionale e autogoverno, il “confederalismo democratico”, basato su parità di genere, ecologia e democrazia dal basso, messo in pratica attraverso i consigli popolari. Nelle sedi delle YPG/YPJ, che ora insieme al PKK aiutano anche le forze dei peshmerga dei curdi del sud (curdi irakeni) a difendere la regione da IS, in genere si trovano ritratti di Abdullah Öcalan, l'ideologo del PKK in carcere, le cui teorie hanno contribuito in larga parte alla liberazione delle donne in Kurdistan. Il PKK sfida il patriarcato e pratica la co-presidenza, che divide l'amministrazione in modo paritario tra una donna e un uomo, dalla presidenza dei partiti fino ai consigli di quartiere e ha quote di genere 50-50 a tutti i livelli delle amministrazioni. Queste politiche sono meccanismi per garantire la rappresentanza delle donne in tutti gli ambiti della vita, consigli, accademie, partiti e cooperative, oltre alla decostruzione patriarcato a livello teorico, mirano a dare significato a questa rappresentanza.

L'amministrazione del Kurdistan occidentale (Rojava) che ha dichiarato tre cantoni autonomi nel gennaio del 2014, ha applicato la co-presidenza e le quote, creato unità di difesa delle donne, consigli delle donne, accademie, scuole e cooperative. Le sue leggi mirano a democratizzare la famiglia e a eliminare la discriminazione di genere. Uomini che usano violenza contro le donne non possono far parte dell'amministrazione. Uno dei primi atti di governo è stato di mettere fuori legge matrimoni forzati, violenza domestica, delitto d'onore, poligamia, matrimoni con bambine, prezzo della sposa e scambio di spose. Le amministrazioni dei partiti, dei comuni, i consigli e comitati sono gestiti da una donna e un uomo, co-presidenti che condividono l'incarico. Ma i cantoni del Rojava vengono marginalizzati a livello internazionale attraverso embargo economici e politici.

Oppresso e marginalizzato in molte forme, etnia, classe, genere, il movimento delle donne curde è consapevole che la libertà deve comprendere tutti gli aspetti della vita. In questo modo la liberazione delle donne è diventata un prerequisito nella resistenza curda contro l'oppressione e non sorprende che le donne in tutta la regione, arabe, turche, armene e assire, partecipino sia alle unità armate che nelle amministrazioni.

È interessante notare che nonostante il fatto che il movimento delle donne sembri essere sull'agenda di oggi, le motivazioni e l'ideologia del movimento sembrano essere omesse a bella posta. Per esempio mentre alcuni articoli hanno iniziato ad ammirare il coraggio delle donne che lottano contro il regime e le forze legate ad Al-Qaeda nel Kurdistan occidentale, gli stessi autori spesso non citano il fatto che queste donne affermano in modo esplicito che la forza motrice dietro a questa mobilitazione è l'ideologia di Abdullah Öcalan, “L'uomo è un sistema. L'uomo è diventato stato e ha trasformato questo nella cultura dominante. Oppressione di classe e di genere si sviluppano insieme; la mascolinità ha prodotto il genere che comanda, la classe che comanda e lo stato che comanda. Se il maschio viene analizzato in questo contesto, è chiaro che la mascolinità deve essere uccisa. In effetti, uccidere il maschio dominante è il principio fondamentale del socialismo. Ecco cosa significa uccidere il potere: uccidente il dominio unilaterale, la disuguaglianza e l'intolleranza. Inoltre uccide fascismo, dittatura e dispotismo”.

E che piaccia o meno, l'ideologia del PKK è un fattore cruciale per raggiungere questo,

Analizziamo gli attacchi a Kobane in questo contesto. Molti attori della regione, in particolare Turchia, Qatar e Arabia Saudita hanno usato IS per i propri interessi e per molto tempo gli hanno fornito sostegno militare, finanziario e politico. Larga parte della comunità internazionale ha contribuito alla crescita di IS, se non altro con la passività e la tolleranza silenziosa. IS ha beneficiato dal sistema dello stato-nazione con le sue implicazioni capitalistiche (…).

In effetti molti sono stati contrari a chiamare IS “Stato Islamico” perché gli da una legittimità. Va messa in discussione la validità di questa affermazione, considerando che IS di fatto prende in prestito tutti gli elementi oppressivi dell'attuale sistema capitalista, patriarcale, orientato allo stato-nazione, ma in versione estremista.

Le strutture di autogoverno del Rojava sono state marginalizzate fin dall'inizio da tutto il mondo. I curdi sono stati esclusi da Ginevra II, vi sono embargo economici e politici contro i cantoni. E mentre Kobane è completamente assediata da IS, la comunità internazione ancora esita, perché la Turchia fa parte della NATO. Va detto che gli attacchi a Kobane sono un attacco al movimento delle donne, a un sistema alternativo, all'unica soluzione sostenibile alla crisi IS. Il sistema alternativo è sotto attacco perché ha il potenziale di sfidare radicalmente lo status quo. Sia l'ideologia del movimento delle donne che quella di IS sono classificate a livello internazionale come organizzazioni terroristiche, svelando la vera natura dell'ordine internazionale, che non vuole che il sistema alternativo del movimento curdo abbia successo, perché ne metterebbe in pericolo l'egemonia.

Le donne di tutte le parti del Kurdistan stanno lottando contro lo stato turco che ha il secondo più grande esercito della NATO e un governo conservatore che dice alle donne di non sorridere e di fare almeno tre figli, il regime iraniano che priva le donne dei loro diritto fondamentali, presuntamente in nome dell'Islam, e gli jihadisti radicali ai quali vengono promesse 72 vergini quando vanno in paradiso per le loro atrocità, dichiarando “halal” violentare le donne del nemico. Ma le donne curde sottolineano che continueranno a lottare contro il patriarcato in Kurdistan, contro i matrimoni di bambine, contro i matrimoni forzati, i delitti d'onore, la violenza domestica e la cultura dello stupro. Per le istituzioni patriarcali, accettare le donne come alla pari in combattimento, significherebbe mettere in discussione la loro egemonia. Così per IS, le donne curde combattenti sono il maggiore nemico.

IS non ha paura delle donne curde perché meglio equipaggiate o addestrate militarmente, ma perché l'ideologia di liberazione delle donne ha il potenziale di distruggere completamente l'egemonia del califfato patriarcale.

IS è solo la forma attualmente più estrema non solo di oppressione fisica delle donne; ma cerca anche di distruggere ideologicamente tutto ciò che la liberazione delle donne rappresenta. La lotta delle donne curde non è solo una lotta militare contro IS per l'esistenza, ma una posizione politica contro l'ordine sociale e la mentalità patriarcale alla base dell'ordine sociale e della mentalità patriarcale. Sfidare le strutture sociali attraverso la mobilitazione politica e l'emancipazione sociale, insieme all'autodifesa armata, è un contropotere sostenibile a lungo termine per sconfiggere la mentalità di IS.

Le donne del Kurdistan si percepiscono come le garanti di una società libera. È facile usare adesso le combattenti curde per dare un'immagine simpatetica di un nemico di IS, senza riconoscere i principi che stanno dietro alla loro lotta. L'apprezzamento per queste donne non dovrebbe essere correlato soltanto alla loro lotta militare contro IS, ma anche al riconoscimento della loro politica, delle loro ragioni e visioni. Se ci sarà una vittoria contro IS, avverrà per mano delle donne curde.

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