2014-10-20

Qualche giorno fa è uscita una lunga intervista su OUT Magazine, accompagnata da un bellissimo servizio fotografico che potete vedere sul sito ufficiale. Di seguito trovate la traduzione.

Il Gospel secondo Benedict

In procinto di fare proprio Alan Turing, la star di Sherlock Benedict Cumberbatch non è nuovo alle politiche sessuali e al bullismo. Ed è pronto ad affrontare tutti gli aspetti dell’argomento.

Fotografia di Samuel Bradley. Fotografie fatte al Barbican Conservatory, Londra.

I biglietti più ricercati a Londra per il prossimo anno non sono quelli degli One Direction, di Miley Cyrus, o di Beyoncé. Sono quelli dell’Amleto interpretato da Benedict Cumberbatch, al Barbican. Qualcosa come 100,000 biglietti per uno spettacolo teatrale che avrà 12 settimane di repliche sono andati in vendita pochi giorni prima del mio appuntamento con Cumberbatch – per coincidenza previsto proprio al Barbican – e sono andati esauriti in pochi minuti. Perfino per gli standard dei teatri londinesi (più di 22 milioni di persone sono andate a teatro nel 2012-2013), si tratta di un record.

Per Cumberbatch, affrontare il ruolo teatrale più ambizioso – “un salto che ogni eminente attore deve fare prima o poi”, come il saggista Max Beerbohm una volta lo definì – potrebbe rappresentare un rito di passaggio, ma si tratta anche di un test per vedere se la cultura popolare è in grado di aprire le porte alla cultura più alta. Può l’idolo pop Sherlock creare interesse per il Bardo nei suoi fan urlanti? “Vorrei che esplorasse territori che normalmente solo la TV esplora”, dice Cumberbatch, “per poter fare in modo che persone che non hanno mai visto Shakespeare prima vengano a vedermi dal vivo. Vogliamo attirare le persone che non sono mai entrate in un teatro, ma non ci occupiamo di ingegneria sociale, non possiamo quindi dire a quella parte di società che invece a teatro ci viene abitualmente, ‘Oh, mi dispiace – hai un abbonamento. Fanculo’”.

Ovviamente, quel tipo di successo che può far andare esauriti tutti i biglietti di 3 mesi di repliche di uno spettacolo ha i suoi svantaggi. Ci siamo appena seduti al nostro tavolo al Gin Joint – un’elegante brasserie al Barbican – che Cumberbatch inizia a imprecare gentilmente sottovoce: “Oh Dio, ci risiamo, ci risiamo”. Indica quindi due donne di mezza età con un vestito a fiori, sedute ad un tavolo all’altro lato della stanza. “Le floreali laggiù”, dice, distogliendo lo sguardo. “Si stanno girando a guardarci – è iniziata”.

Ma sicuramente Cumberbatch, 38 anni, si sarà ormai abituato a tutta questa attenzione? Annuisce. “Mi ci è voluto tanto tempo per arrivare dove sono arrivato osservando il comportamento umano, per questo sono comunque molto sensibile a questa cosa”, dice. “E non ci posso fare nulla ma mi sento sempre in mostra, cosa che nei giorni buoni va anche bene – lo supero con facilità, e faccio qualsiasi cosa sia in grado di fare come attore e come essere umano per sentirmi rilassato e a mio agio nella mia pelle. Ma abbiamo tutti giorni no, giorni in cui preferiremmo non mostrare la nostra faccia, per qualsiasi motivo – perché abbiamo i postumi di una sbronza, perché siamo sofferenti, per qualsiasi motivo, che sia a livello fisico o emotivo. E allora diventa molto difficile. È davvero, davvero difficile, perché semplicemente non hai voglia di avere a che fare con tutto questo”.

C’è un aspetto strano del successo che mette le celebrità in una posizione di chiaro svantaggio – sappiamo così tanto di loro se paragonato invece a quanto loro sanno di noi. Una rapida ricerca su Google fa saltare fuori più curiosità su Cumberbatch di quante ce ne sia bisogno di sapere. Da un’apparizione al talk show di Katie Couric, veniamo a sapere che preferisce i cani ai gatti (ma non ne possiede nessuno dei due), che se potesse essere una pop star vorrebbe essere Jonsi dei Sigur Ros, e che gli sembra che il suo nome suoni come “una scoreggia in una vasca da bagno”. Da qualche altra fonte, vengo a sapere che è molto bravo con gli accenti (ha interpretato il professor Piton in un episodio dei Simpson); che una volta ha insegnato in un monastero buddista tibetano in India; e che uno dei suoi soprannomi più originali a scuola era “Bendy Dick Cum on My Baps” (tradotto letteralmente: “ca**o flessibile che eiacula sulle mie tette”). Il suo nome, per qualche ragione, è fonte di costante ilarità. Quando Jimmy Kimmel chiese a persone prese a caso di definire Cumberbatch, le risposte che ottenne spaziavano dal “un lotto di cetrioli” a “una verruca sul piede”.

Il fatto che prenda questa cosa così bonariamente – che sia un attore con la A maiuscola in grado di affrontare Shakespeare con lo stesso agio con cui risponde alle stupidità che gli vengono chieste nei talk show – è parte di ciò che rende Cumberbatch così interessante. La sua genialità e la sua bonarietà non sembrano né forzate né maniacali. Forse perché la sua ascesa è stata così rapida, almeno in America, sembra che non abbia avuto il tempo di stancarsi della sua fama, o di venire consumato dalla sua mancanza. Il New York Times recentemente lo ha soprannominato “la superstar per caso” perché, beh, sembra che si sia imbattuto nella fama senza averci davvero neanche provato. Ride quando gli si dice che i ‘tizi’ di Hollywood dicono che lui è scoppiato (“Davvero? Mi dispiace, spero di non aver fatto troppa puzza quando è successo”) ma concorda col fatto che la sua carriera ha avuto una forte accelerazione.

Cinque anni fa, Cumberbatch appariva in programmi TV ben fatti ma decisamente poco appariscenti: gialli della domenica sera e drammi storici come Small Island, basato sul pluripremiato romanzo di Andrea Levy sugli immigrati giamaicani nella Gran Bretagna degli anni 40. Poi nell’inverno del 2010, arrivò la rivisitazione contemporanea di Sherlock Holmes per la BBC, con Cumberbatch a interpretare l’eponimo detective – un ruolo che ha finito per definirlo con la stessa certezza con cui James Bond definì Sean Connery. Lo show fece scalpore sin dal suo lancio (ci sono solo tre episodi per stagione), e ora viene trasmesso in 180 nazioni. Come premio, sia Cumberbatch che la sua co-star Martin Freeman si sono portati a casa quest’anno un Emmy (sconfiggendo il cast del film HBO diretto da Ryan Murphy, The Normal Heart).

La quarta serie di Sherlock è al momento in pre-produzione, un’impresa complessa considerati i molti impegni di Cumberbatch. Ha ben 3 film in uscita tra il giorno del Ringraziamento e Natale, incluso il blockbuster natalizio I Pinguini del Madagascar (in cui interpreta l’agente lupo Classified) e Lo Hobbit : la battaglia delle cinque armate di Peter Jackson. Ma il film che potrebbe fargli guadagnare una nomination all’Oscar è The Imitation Game, un film biografico sul matematico gay Alan Turing ed il suo ruolo nella decifrazione del codice Enigma usato dalla Germania nella Seconda Guerra Mondiale. Salvo forse Churchill, Roosevelt e Stalin, Turing, con le sue azioni, ha fatto molto di più che qualsiasi altro per assicurare la vittoria degli Alleati.

The Imitation Game finisce per essere un film non eccezionale, sorretto da una performance eccezionale. Proprio come Il Discorso del Re, è fatto con eleganza, girato meravigliosamente, e fedele alle fonti (in questo caso l’eccellente biografia del 1983 di Andrew Hodges, Alan Turing: The Enigma). Ma ciò che dà vita al film è l’interpretazione immensamente coinvolgente di Cumberbatch nei panni di Turing, un disadattato a suo agio con la sua omosessualità (diede al suo computer il nome di Christopher, una cotta non corrisposta dei tempi della scuola), ma totalmente in conflitto con il mondo intorno a lui. Per usare un appropriato paragone di David Leavitt, Turing era una specie di Mr. Spock nella vita reale, insensibile alla conversazione umana, e completamente incapace di “leggere tra le righe”.

Turing aveva 41 anni quando fu ritrovato morto dalla domestica, una mela mangiata a metà accanto al suo letto. Si dice che la mela – che una leggenda urbana suggerisce sia stata d’ispirazione per il logo dei computer Apple – sia stata avvelenata con il cianuro, sebbene questa teoria sia stata messa in discussione da alcuni biografi che invece sostengono che si sia trattato di un incidente. Ciò che è inequivocabile è che negli ultimi anni della sua vita venne perseguitato dalle autorità dopo essere stato arrestato per atti osceni con un altro uomo. Trovatosi di fronte alla scelta se andare in prigione o se sottoporsi a un regime di iniezioni di estrogeni per “curare” le sue tendenze, scelse quest’ultima opzione. Lo scorso dicembre, quasi 60 anni dopo la sua morte, Turing ha ricevuto la grazie postuma dalla regina. Il gesto, risultato di anni di campagne mediatiche, non ha per niente impressionato Cumberbatch.

“E’ un insulto”, dice l’attore, “che una qualsiasi autorità si arroghi il diritto di ‘perdonare’ qualcuno. L’unica persona che dovrebbe concedere il suo perdono è Turing, ma lui non può farlo perché lo abbiamo ucciso. E tutto questo mi rende davvero arrabbiato. Mi rende molto arrabbiato”.

Cumberbatch, che ha chiaramente fatto le sue ricerche, ritiene che la persecuzione degli omosessuali nel Regno Unito abbia le sue radici nel Cambridge Five, un gruppo di uomini, alcuni di loro gay, nei ranghi più alti della società, che erano stati reclutati per spiare Mosca. “E’ stata la nostra versione del Maccartismo”, dice. “Se eri un intellettuale, se eri gay, se avevi una qualsiasi idea liberale, venivi immediatamente considerato una minaccia per la sicurezza nazionale”. L’ironia sta nel fatto che Turing, che ebbe la sconsideratezza di essere sia gay che intellettuale, era l’ultima persona a considerare se stessa un martire. “Non era qualcuno che di proposito si metteva in gioco per protestare – era semplicemente un grandissimo modello per tutti coloro che sono diversi o si sentono tali”, dice Cumberbatch. “Ed è tragico perché basta osservare ogni singola traiettoria della sua vita e capisci immediatamente e completamente perché fosse diverso, perché balbettasse, perché lavorasse da solo. Riesci anche a vedere perché fosse incapace di qualsiasi relazione con le altre persone – perché non ebbe mai alcuna esperienza dell’amore che meritava di avere. Ma nonostante tutto questo, quest’uomo ha avuto l’idea di automatizzare la matematica – ha inventato il computer. Conquistò, attraverso la crittografia, il codice Enigma, il che significa che salvò milioni di vite, e, anche quando il suo corpo cominciò a subire le prime trasformazioni, continuò a lavorare sull’influenza che l’ambienta ha nel cambiamento delle strutture cellulari. Voglio dire, chi lo sa, probabilmente avrebbe finito per essere celebrato come Bill Gates. Senza ombra di dubbio, sarebbe stato considerato un totem del mondo moderno”.

Per quanto The Imitation Game sia un dramma storico, Cumberbatch vorrebbe che la storia di Turing venga mantenuta viva come esempio del prezzo che è stato pagato per l’intolleranza. “Non si tratta solamente di una lezione di storia – deve essere un avvertimento che tutto ciò potrebbe facilmente ripetersi”, dice. “Ci sono persone che proprio in questo momento vengono decapitate in alcune nazioni del mondo a causa di quello in cui credono, a causa del loro orientamento sessuale. È terrificante. È medievale – una decapitazione! Imbraccerei le armi contro chiunque mi dicesse che devo credere in ciò in cui lui crede pena la morte. Li combatterei. Li combatterei fino alla morte. E io credo che più invecchiamo, più siamo tenuti a farci un’idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Non si può avere una tolleranza unilaterale. Bisogna arrivare al punto di dire, ‘Beh, il fondamentalismo religioso è sbagliato’”.

È a questo punto della conversazione che una delle signore col vestito a fiori coglie l’attimo per avvicinarsi al nostro tavolo. “Mi scusi, non è che potrebbe rendere la giornata di mia figlia meravigliosa facendo una foto con me?” chiede. Con gentilezza ma fermezza, Cumberbatch dice di no.

“No, no non posso, ma è un piacere conoscerla. Come si chiama?” Sconfitta, la signora si ritira e un manager si avvicina, offrendosi di intervenire dovesse succedere di nuovo. Cumberbatch declina. “La cosa peggiore è quando hai dei cani da guardia al tuo fianco, perché diventano una sorta di estensione di te stesso”, spiega. Recentemente al Comic-Con a San Diego, per pubblicizzare sia I Pinguini che l’Hobbit, si è ritrovato in una strana situazione, quando le guardie del corpo hanno bloccato la folla per facilitare la sua uscita. “La gente veniva letteralmente trascinata via dalla strada, e nel frattempo piangevano che volevano solo un autografo. È stato orribile. E poi, mentre salivo sul SUV, ho chiesto scusa e questa ragazza mi ha risposto, ‘Sì, vabbé’, con le lacrime agli occhi. Cazzo non è colpa mia. Non posso controllare un uomo della sicurezza, ex – militare, che ne ha già avuto abbastanza di un’intera giornata così, e che pensa solo che perderà il suo lavoro se non spinge via qualche povera teenager per dare a me un centimetro in più di spazio per respirare”.

A questo punto della sua carriera, osservare che Cumberbatch sembra essersi specializzato nell’interpretazione di geni complicati – non solo Turing, ma anche Sherlock Holmes, Vincent Van Gogh, Julian Assange, Stephen Hawking, e il futuro Amleto – è una sorta di cliché che si scuote di dosso con solo il più piccolo cenno di irritazione.

“Non è così semplicistico dire ‘Oh, sembra proprio che scegli sempre il ruolo del genio’”, dice. “Sono tutti personaggi molto, molto diversi tra loro. C’è un fattore che li accomuna a volte, una sorta di spinta, un’ossessione, ma sono completamente unici, grazie a Dio. Van Gogh era inquieto per altri motivi rispetto a Stephen Hawking, Sherlock, Turing”.

Quello che salta subito agli occhi è che ciò che motiva Cumberbatch sono le ingarbugliate radici della psicologia, biologia e biografia. Che cosa spinge un personaggio a fare ciò che fa? È il motivo per cui non vuole semplicemente recitare l’Amleto – ha bisogno di interpretarlo. È lo studio psicologico per eccellenza. Allo stesso modo, il suo Turing non è affascinante perché facile da capire, ma perché non lo è. Come con Sherlock, impariamo ad apprezzarlo nonostante quello che è, e perché Cumberbatch rende la sua costipazione emotiva spiegabile.

Tutto questo rende il ruggito dei rabbiosi fan di Cumberbatch – il loro nome più conosciuto è “Cumberbitches” – in qualche modo perplesso. Nulla di Cumberbatch fa pensare ad un idolo di Hollywood, e nulla di Sherlock fa pensare al tipico uomo che possa piacere ad una donna. “La gente continua a dirmi, ‘Oh, è così sexy, pensi che Sherlock potrebbe essere interessato a me?’”, dice Cumberbatch. “Non pensi che si limiterebbe a guardarti e ti direbbe tutto ciò che odi di te stessa e ti accartoccerebbe come un pezzetto di carta per poi gettarti via? È una macchina ed è brutale e spietato e non ha tempo per farsi distrarre dalle tue adulazioni. Perché sai, a loro o piace trasformare John in una sorta di piccolo giocattolo carino, o me in un giocattolo carino, oppure scopiamo nello spazio su un letto, ammanettati insieme”.

Cumberbatch fa riferimento all’avida comunità di scrittori di fan fiction che ha trasformato il suo Sherlock, freddo, amaro e distintamente asessuato, in un mostro bramoso di ca**o. “E’ sempre così, uno di loro è stanco, uno torna dal lavoro, l’altro è arrapato, un rigonfiamento appare nei suoi pantaloni, e poi sono pronti a scopare”, dice. “Sono io di solito che prendo l’iniziativa – mordo le piastrine di identificazione (quelle militari) di Watson”. Forse, gli suggerisco, rendere Sherlock e Watson gay è un modo per far fuori la concorrenza delle altre donne. “Sì, sì”, risponde in maniera entusiasta. “Credo che abbia a che fare con la sessualità esplosiva tipica dell’adolescenza, quando non è facile riuscire a gestirla. E credo che sia un modo per neutralizzare la minaccia, si allontana il personaggio dalla propria sfera emotiva così da impedirgli di spezzare loro il cuore”.

La sessualità adolescenziale di cui ha appena parlato Cumberbatch ci porta a trattare di un altro argomento ad essa affine. Quando era un ragazzino, Cumberbatch è stato mandato in una scuola di soli maschi, Brambletye in West Sussex, a cui sono seguiti cinque anni ad Harrow, anch’essa una scuola maschile, incubatrice di otto primi ministri. Nel Regno Unito, questo dettaglio lo identifica immediatamente come uno “snob”, un’etichetta che non esita a bollare come stupida semplificazione, pur riconoscendo tuttavia che la scuola di Harrow ha avuto la fortuna di avere un teatro superiore a molti in quel di Londra.

Per Cumberbatch, la scuola è stata un posto meraviglioso in cui crescere “perché mi ha fatto avere una completa esperienza dell’ essere un bambino”, dice. “Non mi toccava andare avanti e indietro tutto il tempo, ed ero molto, molto affamato di compagnia. Mia mamma e mio padre, poveretti loro – gli chiedevo sempre una sorella o un fratello come regalo di Natale o di compleanno. Quello era tutto ciò che volevo davvero perché ero figlio unico”.

Come da tradizione radicata nel tempo delle scuole maschili, si ritrovò a interpretare ruoli femminili (come Titania nel Sogno di una notte di mezza estate e Rosalind in Come vi piace) ma afferma di essere stato ignaro del tipo di giochetti sessuali per cui le scuole inglesi sono apparentemente famose. “Per quanto ci siano stati esperimenti a Brambletye, non ho mai pensato ‘Oh questo è quello’. Erano solo ragazzi e i loro peni, la stessa cosa delle ragazze e delle vagine e delle tette. Era tutto fatto con desiderio”.

È meno indulgente nei confronti della cultura ad Harrow, che descrive come molto poco tollerante nei confronti dell’omosessualità, ne è testimonianza l’episodio di due ragazzi che vennero pubblicamente derisi nella sala da pranzo un giorno durante la colazione. “Erano stati scoperti nelle loro stanze”, dice Cumberbatch, “e a quei tempi se venivi colto sul fatto con una ragazza venivi espulso, non c’era alcuna vergogna in questo. Ma se venivi scoperto con un altro ragazzo, non venivi espulso. Dovevi rimanere lì e sopportare tutti i soprusi e gli orrendi pregiudizi che i tuoi compagni di scuola ti riversavano addosso”.

Racconta di come sentì un trambusto in strada un pomeriggio. “C’erano questi ragazzi che stavano inseguendo questo povero ragazzo, ed entrarono tutti nella mia casa, senza fiato – un Sikh, un principe giordano, un indiano e un nigeriano. Chiesi loro cosa stesse succedendo e loro mi dissero, ‘E’ disgustoso, non è vero?’ E io risposi, ‘No, il vostro comportamento è davvero disgustoso. Come vi sentireste se foste inseguiti perché indossate un turbante, o se veniste inseguiti a causa del colore della vostra pelle, o a causa della vostra religione? È solo una questione di essere un individuo, di essere se stessi. Non potete tollerarlo? Siete malati nella testa?’ E loro mi risposero, ‘Cosa? No. Cosa sei, gay?’ E io risposi, ‘No, ma vedo chiaramente che voi siete dei bulli. Siete solo delle persone disgustose’”.

Cumberbatch vede alcuni di questi stessi pregiudizi ancora oggi ad Hollywood, un argomento su cui ha discusso a lungo insieme al suo amico Zachary Quinto (i due si sono conosciuti sul set di Star Trek Into Darkness). “Io penso che se vuoi venderti come attore protagonista ad Hollywood”, dice, “dire che sei gay purtroppo è ancora un grande ostacolo. Conosciamo tutti attori che sono gay e che non vogliono parlarne, o che negano di esserlo. Non so davvero come facciano a sopportare tutto questo”. Sessant’anni dopo la morte di Turing, si stupisce che l’essere gay possa ancora rappresentare un problema. “I movimenti dei diritti umani e sessuali e dei diritti dei gay hanno fatto progressi sociali enormi negli ultimi quarant’anni, senza dubbio, ma c’è ancora tanto lavoro da fare,” dice. “Credo che sia incredibile che ogni volta che c’è qualche rivolta sociale, alcune persone diventano molto, molto velocemente dei capri espiatori”.

Cumberbatch può parlare in questo modo – appassionatamente, meditandoci sopra molto – per molto tempo. Sebbene abbia sempre amato recitare, dice che per un po’ di tempo si è trastullato con l’idea di diventare avvocato – “solo per stare in una corte, perorando una causa” – e non si fa fatica a vedere perché. È questa sua stessa propensione a farsi delle domande, a investigare che lo rende un attore convincente, e che dovrebbe apportare profondità e sostanza al suo Amleto. Come dice lui stesso, Hamlet parla in maniera diretta – “dicendo al pubblico cosa sta per fare, perché ha difficoltà a fare ciò che sta facendo, cosa prova nel fare ciò che fa o ciò che non fa, cosa prova nei confronti della vita”. Il fatto che il pubblico di Cumberbatch voglia vedere la sua performance soprattutto perché lo conosce come Sherlock contribuisce solamente a stuzzicare ancora di più il suo appetito. “E’ il lavoro che mi stimola, più degli effetti collaterali”, dice. “In linea di massima li ignoro”.

Traduzione a cura di Monia per Cumberbatched Italy. Non riportare altrove, nemmeno parzialmente, senza citarco come fonte. Grazie.

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