2015-06-07

Jeans e polo bianca con smanicato blu, tono di voce pacato e immancabile medaglia d’oro tenuta al collo da una catenina. Nino Bramucci, classe 1946, è uno di quelli a cui scappa un sorriso ripensando al Giro d’Italia conclusosi la scorsa settimana, ma soprattutto a quel ragazzo sardo, Fabio Aru, che sta facendo impazzire lo Stivale.

«Tempo al tempo» commenta “il Ghepardo”, uno che conosce bene l’emozione dei distacchi e della gente in strada che batte le mani. A soli ventuno anni ha portato a casa la medaglia d’oro preolimpica targata Messico ‘67, un’altra l’ha conquistata a Berlino, mentre  ai Campionati del Mondo di ciclismo del ‘68, a Montevideo, s’è guadagnato il bronzo nel cronometro a squadre. «Erano anni difficili - commenta Bramucci - all’epoca le Olimpiadi e i Mondiali si disputavano nello stesso anno». Un passista scalatore, ottimo a cronometro e discreto in salita, anche se in volata era poco forte. Di giri d’Italia ne ha conosciuti tre, con ottimi piazzamenti fino al ’71, poi i consigli sbagliati hanno cambiato il suo destino di atleta. Nel ‘67 sembrava fatta: sarebbe dovuto andare alla Salvarani, con quel Felice Gimondi reduce da un Tour vinto due anni prima, che in vista del ‘‘Giro di Francia’’ mise gli occhi proprio su quel promettente ragazzo civitavecchiese. E andò addirittura a cercarlo di persona, in una caserma della Cecchignola dove svolgeva il servizio militare. Alla fine Bramucci scelse la Gris 2000 e dopo tre anni da professionista chiuse la carriera.

«Diciamo  - afferma oggi l’ex ciclista sorridendo - che in quell’occasione ho perso il treno che contava davvero». Ma a ventun anni è facile sbagliare, anche se hai conquistato una medaglia d’oro preolimpica polverizzando l’olandese Joop Zoetemelk, il fuoriclasse belga Roger De Vlaeminck e il campione del mondo Jean-Pierre Monseré (che pretese il cappellino autografato di Bramucci e che diede a suo figlio il nome del fenomeno civitavecchiese). All’epoca correva veloce con la sua Coppi, ora di tanto in tanto fa un giro da solo in mountain bike.

La maglia rosa quest’anno è andata e Nino Bramucci dice la sua: «Aru ha fatto la sua parte, ma c’era poco da fare contro Alberto Contador. Ma ha solo ventiquattro anni, possiamo aspettarci grandi sorprese». Diciamo pure che Aru non era in grandi condizioni fisiche, reduce da problemi di salute a causa dei quali è anche sceso di peso.

Ma cosa sarebbe cambiato se “la squadra” lo avesse sostenuto adeguatamente?

«Poco o niente. Tutti hanno creduto in lui, anche dopo le prime tappe, poi Madonna di Campiglio ha cambiato tutto. È vero, si è ripreso, ma il distacco era eccessivo e Contador, già vincitore di due Tour, aveva praticamente il giro in tasca».

Cosa si aspetta da Fabio Aru?

«Che vinca il prossimo Giro,  ha le carte in regola. Parliamoci chiaro, Giro d’Italia, Tour de France, Vuelta di Spagna, per finirli devi essere in ottima condizione fisica. E se arrivi a salire sul podio, significa che hai prospettive inimmaginabili».

Aru come ha interpretato il fenomeno Contador?

«Ha vissuto la sconfitta con ottimismo e si vede. Va detto che ha perso contro un campione, c’è poco da rammaricarsi. Sono sicuro che questa cosa sarà un incentivo».

Un dualismo, Aru-Contador, che quasi sicuramente si ripresenterà e che potrebbe tenere ancora col fiato sospeso gli appassionati di ciclismo. Anche se, ovviamente non siamo negli anni di Felice Gimondi e del Cannibale e ogni parallelismo sarebbe inopportuno e azzardato, non trova?

«Assolutamente. Intanto diciamo che tra Gimondi e Merckx c’erano solo tre anni di differenza, mentre tra Aru e Contador ce ne sono otto. Contador ha trentadue anni, non ce lo dimentichiamo. Aru potrebbe diventare un eccellente corridore a tappe, ma in linea non sembra destinato a raggiungere livelli altissimi. Questo è stato un bel giro, nel futuro del ciclismo italiano non vedo grandi promesse».

Effettivamente Fabio Aru sta dimostrando caratteristiche importanti, proprie del campione, è d’accordo?

«La stoffa ce l’ha. In tre settimane dai l’anima, riprendi battito e peso, ma solo i veri campioni sono in grado di ricaricare la batteria per intero dopo 18/20 tappe».

Quindi dobbiamo aspettarci grandi cose?

«Diciamolo apertamente: Aru non ha le caratteristiche di Pantani, che, come diceva Bartali, “in salita è unico”. E non posso che confermare. Prendere tre minuti in salita è qualcosa di incredibile. Questo ragazzo però è forte e si vede. Insisto: il prossimo giro potrebbe essere quello giusto».

Show more