2017-01-12



Dal 16 gennaio al 27 febbraio 2017 alla Casa del Cinema. Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti. Nel decennale della morte del grande regista (30 luglio 2007), Cineteca Nazionale e Casa del Cinema rendono omaggio al suo cinema attraverso una serie di appuntamenti.

(Ri)vedere i suoi film significa comprendere la modernità del suo sguardo. Perché come ha scritto giustamente Giorgio Tinazzi «Antonioni […] è un autore difficile. Lo è stato […], come testimoniano le costanti difficoltà da lui incontrate con i produttori, ai quali il suo rigore ha sempre dato fastidio; lo è stato con gli apparati repressivi sociali, come la censura, perché ha toccato di frequente i punti deboli che la rete dei “valori” copriva; lo è stato per il pubblico, con il quale non ha mai avuto un contatto semplice, e che ha conosciuto anzi vuoti clamorosi (basti pensare all’accoglienza decisamente ostile riservata alla proiezione a Cannes dell’ Avventura, quando il regista aveva già, si può dire, i suoi bravi titoli di merito). D’altronde, fino a un certo punto, i resoconti degli incassi sono oggettivi testimoni.

È autore difficile, infine, per la critica: parlando in generale non si può dire che il riconoscimento della sua “novità” sia stato immediato; i ritardi sono sintomatici, così come alcune “consacrazioni” tardive, che talora avevano più l’aria di risarcire una colpa che di riesaminare i film o verificare gli errori». Ma malgrado tutto ciò, come ricordava Carlo di Carlo, suo collaboratore storico recentemente scomparso e che in questa sede vogliamo ricordare, «Michelangelo Antonioni è una figura centrale nella cultura del Novecento, uno dei testimoni più lucidi della nostra epoca per avere saputo individuare e analizzare con le sue opere, attraverso un percorso solitario, originale e spesso trasversale, la “malattia dei sentimenti”, i problemi, le angosce, le paure dell’uomo nella società contemporanea. Antonioni è un autore che ha attraversato il suo tempo, ma che è stato anche sempre fuori dal tempo, diventando un maestro di stile e un innovatore del linguaggio».

Si ringrazia per la collaborazione Enrica Fico Antonioni.

PROGRAMMA

LUNEDÌ 16 GENNAIO

ore 15.30 GENTE DEL PO

di Michelangelo Antonioni (1943, 9’)

Primo documentario di Michelangelo Antonioni sulla dura vita degli abitanti di Porto Tolle sul Po. Pescatori, contadini, donne e uomini colti nelle loro azioni quotidiane con grande attenzione all’ambiente che essi vivono. Uno sguardo nuovo per il cinema italiano del periodo, un’anticipazione di alcuni elementi del neorealismo ma anche di topoi tipici del cinema antonioniano successivo. «Appena mi fu possibile tornai in quei luoghi con una macchina da presa. Così è nato Gente del Po. Tutto quello che ho fatto dopo, buono o cattivo che sia, parte di lì» (Antonioni).

a seguire N.U. (Nettezza Urbana)

di Michelangelo Antonioni (1948, 9’)

Una giornata a Roma vista attraverso il lavoro degli spazzini. Scorci di città, microazioni, storie appena accennate, musica jazz a contrappuntare il ritmo delle immagini, sono le marche che caratterizzano questo lavoro. «Per quel che riguarda la forma del documentario, e soprattutto di N.U., io sentivo il bisogno di eludere certi schemi che si erano venuti formando e che pure erano allora validissimi […]. Cercai di fare un montaggio assolutamente libero» (Antonioni).

a seguire L’AMOROSA MENZOGNA

di Michelangelo Antonioni (1949, 10’)

La vita delle star del mondo dei fumetti. Nastro d’argento per il miglior documentario.

a seguire SUPERSTIZIONE

di Michelangelo Antonioni (1949, 9’)

Il documentario nasce da un progetto più ampio che Antonioni non ha potuto realizzare e che si presenta come un’indagine sulla superstizione e i riti ad essa legati, a Camerino, nelle Marche. «Il rito come difesa (la morte, il malocchio, ecc.), che rimane tutto in superficie, e suona falso. Ma forse c’è qualcosa di più e di diverso: il senso delle cose caricate di significati ulteriori per un’abitudine inveterata al simbolo. Tutti temi, comunque, che si sviluppano compiutamente solo nel soggetto originale» (Tinazzi).

a seguire SETTE CANNE UN VESTITO

di Michelangelo Antonioni (1949, 9’)

«Questo documentario, considerato perduto, dopo numerose ricerche venne ritrovato nel 1995 dalla Cineteca del Friuli e acquisito dal “Progetto Antonioni”. Era stato amorevolmente conservato e gelosamente custodito da Enea Baldassi, Presidente dell’Associazione “Primi” di Tor Viscosa assieme a tutti i documenti cinematografici, fotografici e sonori nell’archivio storico della Snia Viscosa, oggi Chimica del Friuli. Girato per raccontare la fabbricazione della novità tessile di allora, prodotta a Torviscosa (Trieste). Antonioni dichiara di mostrare “la favola del rayon”, e cioè i vari processi e le progressive trasformazioni delle canne, materia prima della fibra. Guarda caso, un suo famoso articolo sul n. 68 di “Cinema” dell’aprile 1939 Per un film sul fiume Po, che precede la realizzazione di Gente del Po, aveva al centro del discorso e delle fotografie da lui scattate proprio le canne. In Sette canne un vestito, il taglio figurativo delle inquadrature e dei movimenti di macchina ripropongono l’inconfondibile stile documentaristico di Antonioni. Un processo industriale diventa un vero piccolo racconto: la trasformazione delle canne in cellulosa, poi in fogli di cartone che viene tagliato, imballato e pressato fino a farlo precipitare in disintegratori che lo mutano in segatura. Ed ecco “la tempesta chimica che realizzerà il miracolo”: un liquido, il solfuro di carbonio, trasforma il prodotto in viscosa e infine in filo di cellulosa. La cellulosa, lavata e sbiancata, “è diventata morbida e leggera come neve”. Bastano sette canne per un vestito: e qui Antonioni non può evitare di mostrare alcune inquadrature di una passerella dove sfilano le modelle cinte da vestiti inebrianti, per quei tempi: è forse l’atelier delle famose sorelle Fontana che vestiranno Lucia Bosè in Cronaca di un amore? E quei vestiti non sembrano proprio quelli che lei andrà, di lì a poco ad indossare?» (di Carlo).

Copia proveniente dalla Cineteca del Friuli

a seguire LA VILLA DEI MOSTRI

di Michelangelo Antonioni (1950, 10’)

I mostri di pietra che affollano il parco del Castello degli Orsini a Bomarzo (Viterbo).

a seguire VERTIGINE

di Michelangelo Antonioni (1950, 4’)

«Vertigine è il titolo originale di un frammento di circa 4’, firmato da Michelangelo Antonioni, che è stato ritrovato. Si tratta di una parte degli otto minuti del documentario La funivia del Faloria. La modifica del titolo in La funivia del Faloria avvenne successivamente perché giudicato più efficace al fine di accedere al premio governativo della programmazione obbligatoria (la lunghezza minima di legge era allora di otto minuti). Vertigine venne girato nel 1949 con l’operatore Bellisario, autore della fotografia di numerosi documentari dell’epoca, ma fu montato solo alla fine del 1950, dopo che Antonioni aveva realizzato il suo primo lungometraggio, Cronaca di un amore. Mentre Gente del Po, N.U. (Nettezza Urbana), L’amorosa menzogna e Superstizione costituiscono il corpus centrale dell’Antonioni documentarista, i successivi tre (Sette canne un vestito, 1949, e gli altri due del 1950, La villa dei mostri e Vertigine – La funivia del Faloria) sono da considerarsi occasioni di lavoro: ovvero esercitazioni, in attesa di poter realizzare finalmente il primo lungometraggio. Ma anche qui lo sguardo di Antonioni è evidentemente riconoscibilissimo. Proprio in Vertigine, un documentario “turistico” che intende illustrare il percorso della funivia dalla vallata alle cime del Faloria, Antonioni riesce con il proprio “occhio” ad annullare la retorica del commento parlato.

E mi pare curiosa e singolare la scelta, ancora una volta stilistica e linguistica, del punto di vista. Che è quello della funivia, la quale, radente o lontana, vede e legge il percorso “in soggettiva” con brevi stacchi fissi o panoramiche. E Antonioni, che ha sempre amato la spericolatezza, conferma la mia ipotesi, ricordandomi che fece fissare sopra il tetto della funivia una piccola piattaforma per sé e per la mdp onde essere facilitato nelle inquadrature e sentirsi più libero nei movimenti. La funivia, mentre procede accarezzando prima la vegetazione, poi le rocce, osserva perfino la propria ombra ed è comunque, per così dire, attenta a guardarsi intorno e a cogliere le immagini più suggestive del paesaggio circostante. Ma mentre si inerpica verso le cime in attesa di visioni che mantengano ciò che dovrebbero promettere (e cioè un senso di vertigine), “il viaggio – sottolinea il testo – sembra dolcemente smentire questa vertigine”» (di Carlo).

ore 17.00 CRONACA DI UN AMORE

di Michelangelo Antonioni (1950, 102’)

Milano. Paola ha abbandonato la natale Ravenna ed ha sposato un ricco industriale Enrico Fontana. Questi incarica un detective di indagare sul passato della donna per scoprirne eventuali macchie. Queste indagini sono l’occasione per far incontrare Paola e Guido, suo ex amante. I due riallacciano la vecchia relazione e progettano di liberarsi di Fontana. «Analizzavo la condizione di aridità spirituale e anche un certo tipo di freddezza morale di talune persone dell’alta borghesia milanese. Proprio perché mi sembrava che in questa assenza di interessi al di fuori di loro, in questo essere tutti rivolti verso se stessi, senza un preciso contrappunto morale, senza una molle che facesse scattare in loro ancora il senso della validità di certi valori, in questo vuoto interiore vi fosse materia sufficientemente importante da prendere in esame» (Antonioni).

LUNEDÌ 23 GENNAIO

ore 15.30 I VINTI

di Michelangelo Antonioni (1952, 113’)

Film a episodi ambientati rispettivamente in Francia, Italia e Gran Bretagna e incentrati su atti criminali commessi da giovani. Il primo vede un gruppo di ragazzi e ragazze che durante una gita in campagna uccide uno di loro, pensando che abbia molti soldi con sé; l’episodio italiano ha come protagonista un giovane di buona famiglia che si dà al contrabbando più per spirito d’avventura che per bisogno. Nell’episodio inglese un giovane uccide una donna, sicuro di rimanere impunito, ma per eccessivo protagonismo viene arrestato. Il film fece molto scalpore alla presentazione al Festival di Venezia del 1953 e l’episodio italiano, incentrato inizialmente sui giovani neofascisti, venne censurato e rimontato. «Antonioni esamina l’ambiente, fin quasi a rilevarne un “documento” sociologico, ma non trascura l’elaborazione stilistica: due atteggiamenti che, convivendo nel film, rivelano la costante bipolarità di interessi del regista» (Tinazzi).

ore 17.30 LA SIGNORA SENZA CAMELIE

di Michelangelo Antonioni (1953, 102’)

Film sulle illusioni tradite della fabbrica dei sogni. Dopo Bellissima di Visconti, Antonioni realizza un film sull’ambiente dei cinematografari romani. Ada Manni è una giovane e bella commessa, che viene lanciata nel mondo del cinema. Raggiunta una certa notorietà, sposa un produttore che realizza per lei un film “impegnato”, che però è un flop. Neanche la relazione clandestina con un altro uomo riesce a colmare il vuoto in cui vive. «Stilisticamente La signora senza camelie si snoda attorno a uno schema melodrammatico, ma anche in questo caso sono le decantazioni e le diramazioni che ci interessano, le scansioni delle sequenze, i contrappunti delle storie parallele (quella di Renata, l’amica), certi moduli di costruzione o di impostazione dell’inquadratura» (Tinazzi).

LUNEDÌ 30 GENNAIO

ore 15.30 L’AMORE IN CITTÀ

di Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Federico Fellini, Francesco Maselli, Alberto Lattuada (1953, 114’)

Film ad episodi, ideato da Zavattini, si rifà alle sue idee sul cinema. Il film lampo, l’inchiesta, il richiamo alla cronaca come fonte di storie ben più interessanti di quelle partorite dagli sceneggiatori sono le forme attraverso cui i sei autori affrontano il tema dell’amore. Antonioni indaga sui (tentati) suicidi d’amore, raccontati dagli stessi protagonisti, che ricostruiscono l’evento. «Ci tenevano – tranne forse due casi veramente toccanti – a farmi credere che avevano proprio voluto morire, e avevano ripetuto il gesto più volte e che, tutto sommato, erano stati scalognati a non riuscirci. […] Ho cercato di suscitare nel pubblico la ripugnanza del suicidio attraverso lo squallore spirituale dei personaggi» (Antonioni).

ore 18.00 LE AMICHE

di Michelangelo Antonioni (1955, 104’)

Clelia viene mandata a Torino da Roma per aprire un atelier di moda. Qui conosce un gruppo di amiche, ricche e ciniche. Quando una di loro si suicida per amore, Clelia entra in crisi, litiga con le altre e perde il posto. «Bellissima galleria di donne in amore tratta da Cesare Pavese e dipinta da Michelangelo Antonioni prima maniera, quando il Maestro non era stato ancora colto dall’irreversibile sindrome dell’incomunicabilità. Un ritratto amaro della buona borghesia, afflitta da cinismo e fame di carriera, che riunisce un gruppo di attrici sorprendentemente brave e molto, ma molto antipatiche» (Bertarelli). «Le amiche è un film di cui potendo rigirerei almeno un terzo. È stato realizzato nelle condizioni peggiori. Incominciato da una casa di produzione, è stato ripreso da un’altra dopo due mesi e mezzo di interruzione. […] È triste constatare de visu che una storia di personaggi, un conflitto di sentimenti e di psicologie, uno svolgersi di stati d’animo e di atmosfere diventano un affare» (Antonioni).

LUNEDÌ 6 FEBBRAIO

ore 15.30 IL GRIDO

di Michelangelo Antonioni (1957, 115’)

Abbandonato dalla compagna, l’operaio Aldo si mette in viaggio con la figlia per cercare un lavoro che non riesce a trovare. Vivrà brevi avventure sentimentali e proverà a tornare con la compagna che lo respinge di nuovo… «In questo film, in cui pure si ritrova la tematica che mi è cara, pongo il problema dei sentimenti in modo diverso. Mentre prima i miei personaggi spesso si compiacevano dei loro dispiaceri e delle loro crisi sentimentali, nel Grido abbiamo a che fare con un uomo che reagisce, che cerca di spezzare l’infelicità. Per questo ho usato più compassione nel tratteggiare il personaggio» (Antonioni).

ore 18.00 LA NOTTE

di Michelangelo Antonioni (1961, 122’)

Il tran tran quotidiano di una coppia, sposata da anni, è turbato dalla malattia di un amico di famiglia. Dopo essersi recati in visita dal malato, Giovanni e Lidia partecipano a una festa di un industriale, lasciandosi andare, ma solo per noia. «Antonioni nel cinema è unico: il suo linguaggio si avvicina più a quello di uno scrittore che a quello di un regista» (Patti).«Il soggetto de La notte l’ho scritto prima dell’Avventura, però non ne ero molto convinto. […] Questo soggetto aveva un personaggio centrale che era quello della donna, ma era la storia di una donna brutta alla quale succedeva più o meno quello che succede alla protagonista de La notte. Il fatto però che fosse brutta – e di questo me ne accorsi più tardi – cambiava tutti i rapporti con i personaggi, perché lasciava supporre che la caduta dei sentimenti nel marito trovasse la sua causa proprio nella bruttezza di lei» (Antonioni).

LUNEDÌ 13 FEBBRAIO

ore 15.30 MICHELANGELO ANTONIONI, STORIA DI UN AUTORE

di Gianfranco Mingozzi (1966, 45’)

Ritratto del regista Michelangelo Antonioni reso attraverso le testimonianze di coloro che hanno lavorato con lui, il film è il primo che Mingozzi dedicò al mondo del cinema, accostandosi a un autore che già allora era di culto e che, in quell’epoca, stava girando il suo episodio del film I tre volti, dedicato al lancio come attrice della principessa Soraya. Il film alterna interviste (ad Antonioni, Monica Vitti) con un testo “critico” fuori campo di Tommaso Chiaretti.

a seguire IL PROVINO

di Michelangelo Antonioni (ep. di I tre volti, 1965)

«La “prefazione” di Antonioni è la cronaca di come un nostro simpatico collega di “Paese Sera”, Ivano Davoli, riuscì a scoprire il segreto dei provino notturno di Soraya diretto da De Laurentiis in persona. Ma il produttore ha voluto figurare solo di spalle e da lontano, come Garibaldi in 1860, sicché, intimiditi dall’atteggiamento prudenziale del “boss”, i suoi collaboratori fanno capolino nei film sommessi e in punta di piedi: Alfredo De Laurentiis, l’avvocato Bruno Todini, l’operatore Otello Martelli e il suo assistente Arturo Zavattini […]. Sono cineasti da cinema piuttosto che inclusioni della realtà; e lo stesso Davoli, nel rivivere la sua avventura, assomiglia più all’eroe malsicuro di un film come L’eclisse che a un intraprendente cronista. Ce n’è abbastanza per cominciare a dire che Antonioni rivela anche in uno “short” su ordinazione una personalità determinante. Né Soraya né De Laurentiis né Davoli sono i protagonisti di questa prefazione, che ha un unico mattatore: Michelangelo Antonioni. Forte dell’esperienza acquisita con Deserto rosso, Antonioni inserisce il volto di Soraya in un contesto di forme e colori assai vicino a certe ricerche della pittura attuale» (Kezich).

ore 17.00 RITORNO A LISCA BIANCAdi Michelangelo Antonioni (1983, 9’)

«Realizzato per il programma tv di Enrico Ghezzi e Michele Mancini Falsi ritorni (per un’archeologia del set) e ancora non terminato. Presentato la prima volta al Festival di Cannes 1989 dal Progetto Antonioni. È il ritorno di Antonioni sui luoghi di L’avventura, ventiquattro anni dopo» (di Carlo).

a seguire APPUNTI PER LA RINASCITA DI UN FILM

di Stefano Landini (2002, 5’)

Breve documentario sul restauro del film di Antonioni con dichiarazioni, fra gli altri, di Carlo Di Carlo e Vincenzo Verzini, uno dei massimi esperti di restauro.

a seguire L’AVVENTURA

di Michelangelo Antonioni (1960, 140’)

Durante una crociera in Sicilia, una donna scompare misteriosamente. Il fidanzato e l’amica la cercano, sempre meno disperatamente… «Inedita l’utilizzazione del paesaggio siciliano come protagonista implicito: inospitale per i personaggi, esso costituì una notevole fonte di problemi anche per le riprese, avvenute su uno scoglio delle isole Eolie con il mare in tempesta» (Mereghetti). «Ci sono dei film gradevoli e dei film amari, dei film leggeri e dei film dolorosi. L’avventura è un film amaro, spesso doloroso. Il dolore dei sentimenti che finiscono o dei quali si intravvede la fine nel momento stesso in cui nascono. Tutto questo raccontato con un linguaggio che ho cercato di mantenere spoglio di effetti» (Antonioni).

LUNEDÌ 27 FEBBRAIO

ore 15.30 IL MISTERO DI OBERWALD

di Michelangelo Antonioni (1980, 129’)

«Cocteau aveva già messo in cinema il suo dramma, Antonioni non ne fa un remake, ma un pretesto di genere, un’occasione fortunata delle “forti tinte”, una prova per svelare e studiare la metafora. I riferimenti storici al personaggio dell’imperatrice Sissi d’Austria, che erano pallidi in Cocteau, sono stati accantonati da Antonioni in favore della stilizzazione, della favola, come suggerisce l’inizio tempestoso e un poco ironico. In una notte di tempesta, la regina Monica Vitti arriva al castello di Oberwald e cena da sola davanti al ritratto del marito ucciso in un attentato. Non ha mai cessato d’amarlo, si sente finita con lui. Da un passaggio segreto cade svenuto in camera sua il rivoluzionario anarchico Franco Branciaroli, ferito; era venuto per ucciderla. La Vitti vede in Branciaroli il sosia del re, Branciaroli nella Vitti una donna prigioniera del suo potere» (Reggiani). «Per quanto mi riguarda, penso di avere appena incominciato a scalfire la gamma ricchissima di possibilità che l’elettronica offre. Altri potranno fare di più. Una cosa posso dire e cioè che il nastro magnetico ha tutte le carte in regola per sostituire la tradizionale pellicola» (Antonioni).

ore 18.00 IL DESERTO ROSSO

di Michelangelo Antonioni (1964, 117’)

«A Ravenna, ridotta a deserto industriale, una giovane borghese nevrotica, moglie di un ingegnere, cerca vanamente un equilibrio, si fa un amante e vaga senza trovare soluzione alla sua crisi. 9° film di Antonioni, e il suo primo a colori, in funzione soggettiva (fotografia di Carlo Di Palma, Nastro d’argento) come espressione di una realtà dissociata e con ambizione di trasformarlo esso stesso in racconto come “mito della sostanziale e angosciosa bellezza autonoma delle cose”. Come nei 3 precedenti film con Monica Vitti, la donna è l’antenna più sensibile di una nevrosi comune nel contesto della società dei consumi e della natura inquinata. Leone d’oro alla Mostra di Venezia» (Morandini). «Questo è […] il meno autobiografico dei miei film. È quello per il quale ho tenuto di più l’occhio rivolto all’esterno. Ho raccontato una storia come se la vedessi accadere sotto i miei occhi. Se c’è ancora dell’autobiografia, è proprio nel colore che si può trovarla. I colori mi hanno sempre entusiasmato. Io vedo sempre a colori. Voglio dire: mi accorgo che ci sono, sempre. Sogno, le rare volte che sogno, a colori» (Antonioni).

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