Lo scorso giugno a Bologna, si è tenuta la terza edizione del NipPop, la manifestazione che studia la cultura pop del Giappone contemporaneo, in particolare le sue interazioni a livello territoriale ma anche transazionale. Nella giornata di giovedì 20 giugno si è tenuta una tavola rotonda a cui hanno partecipato i mangaka: Mari Yamazaki, Tori Miki, Keiko Ichiguchi e i direttori editoriali: Alessandra Marchioni (Planet Manga, Panini Comics), Cristian Posocco (Flashbook Edizioni), Claudia Bovini (Star Comics), Nino Giordano (Renbooks) e il traduttore Giuseppe Gervasio.
Prima di cominciare la discussione vera e propria, i mangaka si sono presentati al pubblico. Keiko Ichiguchi, ha ricordato che da anni non lavora più in Giappone, oramai vive e lavora a Bologna:
“Questa volta [la manifestazione] è un po’ particolare anche per me, perché ieri sera ci siamo incontrati per la prima, io, la signora Yamazaki e il signor Miki Tori. E mi sembrava così strano perché, sono giapponesi, ci conosciamo, viviamo nel mondo dei fumetti anche se molto diversamente… Fino a oggi, ero sempre da sola qui [in Italia], a difendere l’immagine un po’ strana del Giappone.
Oggi loro due hanno portato alcune idee sui fumetti giapponesi, che ho sempre detto anch’io: la maggior parte dei fumetti giapponesi non è conosciuta. Spesso quando si parla di manga, vengono indicati soltanto pochissimi titoli di un certo genere. Io ormai non lavoro più in Giappone, ho pubblicato soltanto pochissimi titoli, di un certo genere, ma loro lavorano ancora attivamente per il Giappone, per cui conoscono molto bene i titoli giapponesi, il mercato giapponese, per cui sicuramente possiamo, non soltanto voi ma anch’io, possiamo ottenere molte informazioni che in Italia non vengono raccontate”.
Mari Yamazaki, ha spiegato che nonostante gli impegni derivanti dal suo prossimo trasloco in Italia, ha voluto partecipare a questo evento per poter correggere alcune concezioni riguardanti il fumetto giapponese:
“Quando ho avuto questo invito ho accettato volentieri, perché mi è sembrata un occasione davvero speciale. Anche perché io stessa, ultimamente, con la mia pubblicazione di Thermae Romae, che non so se conoscete, grazie al successo di questo fumetto ho vissuto tantissime esperienze gradevoli ma anche spiacevoli, specie adesso che ho iniziato la mia nuova serie a fumetti su Steve Jobs, basandomi sulla biografia di Walter Isaacson.
Quando è stata lanciata questa notizia, dell’inizio del fumetto di Steve Jobs, ho ricevuto tantissimi messaggi e tweet. Ho scoperto che c’erano moltissime persone che facevano delle ricerche su di me, ed ho trovato alcuni articoli in cui veniva detto che erano spaventati perché il mio stile di disegno non è quello dei fumetti. ‘Abbiamo saputo che verrà realizzata la versione a fumetti con il disegno di Mari Yamazaki, che non è proprio quello dei fumetti perché non ci sono i capelli spuntati, non ci sono gli occhi grandi, non ci sono i seni grandi o le minigonne. Come mai viene chiamato un fumetto?’ A quel punto mi son detta, qui bisogna un po’ modificare certi ragionamenti che sono veramente… ho visto che ci sono certe cose che magari non sono ben trasmesse, riguardanti il fumetto giapponese.
Il signor Tori Miki è una presenza un po’ particolare perché io lo definisco un semiologo del fumetto, perché il suo fumetto non è un fumetto tipico giapponese, è una cosa così unica. Per esempio un suo lavoro famoso che si chiama Intermezzo, che è stato tradotto in Francia ma non in Italia, è composto da una vignetta con nove inquadrature, senza parole, quindi quando si legge si riflette e senza le parole devi capire il disegno nella sua interezza. Il lettore deve interpretare la simbologia, il segno. Quindi ho pensato di chiamare anche lui, visto che Bologna è famosa per Umberto Eco, per avere un punto di vista sul fumetto, da qualcuno che non è pienamente entrato nel mondo del fumetto internazionale. Spero che stasera riusciremo a parlare del mondo sconosciuto del fumetto giapponese”.
Il mangaka Miki Tori ha invece preferito parlare d’altro nella sua presentazione, suscitando scroscianti risate con la sua ‘disavventura’ in Italia causata dal caldo.
“Innanzitutto grazie per avermi invitato all’università più antica del mondo. Purtroppo nella partita di calcio (giocata in Brasile per la Conferation Cup, ndr.) l’Italia ha battuto il Giappone e mi dispiace considerevolmente, avevo pensato che ce l’avrebbero ancora fatta, alla fine del primo tempo, ma alla fine abbiamo perso così, per un pelo. Tra l’altro diciamo, in Giappone certo fa caldo e immaginavo che anche qui ci sarebbe stata una temperatura abbastanza elevata, però prima di partire ho chiesto alla signora Yamazaki, come vestirmi, e cosa portare con me.
Le ho detto ‘Va bé mi sembra anche il caso di andare in giro anche in pantaloncini, visto che farà molto caldo’, ma lei ha detto ‘No assolutamente, il vero gentiluomo italiano non si permetterebbe mai e poi mai di andare in giro con dei pantaloncini corti, quindi non sognartelo’. E allora non gli ho portati. E ho trovato qui a Bologna, gli studenti tutti con le braghette. Ecco per adesso, questo è quanto ho da dire”.
Sia la Ichiguchi che la Yamazaki, nella loro introduzione hanno posto il problema della ricezione del manga giapponese, fuori dal Giappone. Come mai solo un certo tipo di fumetti vengono pubblicati nel mercato estero? Quando la sera prima i relatori si sono incontrati, per parlare della tavola rotonda, hanno notato che molto spesso i primi manga ad essere pubblicati all’estero sono legati all’uscita delle serie animate, al posto di titoli che non hanno avuto o non ancora avuto, una nuova vita attraverso altri media.
Il primo intervento su questo tema, è stato quello di Mari Yamazaki, che ha fatto presente la mancanza della diffusione internazionale, degli stili di alcuni mangaka.
“Come vi avevo parlato all’inizio, io ho ad esempio uno stile di disegno completamente diverso da quello dei cartoni animati, realizzo una figura molto reale, con dei disegni più vicini allo schizzo artistico, dato che ho studiato Belle Arti a Firenze per parecchi anni. Non avevo minimamente intenzione di diventare una fumettista in quel momento, volevo diventare una pittrice, ma ho visto che non si sopravvive con la pittura.
In quel momento ho conosciuto un signore italiano che mi ha consigliato di disegnare fumetti, mi ha detto ‘Ma tu sei giapponese, sai inventarti delle storie, sai disegnare le cose minute, perché non provi a fare i fumetti?’ Così all’età di ventotto anni, ho iniziato a fare fumetti per la prima volta. Però da quel momento in poi, non ho mai cambiato il mio stile, perché non sono capace di disegnare la figura dei cartoni animati, non li ho mai visti, sono mai stata una appassionata di fumetti.
Ho visto che il mio stile di disegno viene categorizzato. In Giappone, [i fumetti] vengono divisi anche in base alla casa editrice, non vengono accettati da chiunque ha quello stile di pubblicazione. Il mio fumetto, come mi ha spiegato il professor Miyake, è pubblicato dalla casa editrice Enterbrain, per la rivista Comic Beam, che pubblica soltanto settemila copie al mese. In Italia forse è tanto, ma in Giappone, rispetto alle altre case editrici, è una pubblicazione molto bassa. Però nel Comic Beam si trovano dei fumettisti che hanno questo stile di disegno che si differenzia dallo stile di disegno conosciuto a livello mondiale, lo stile dei cartoni animati”.
I manga realizzati con lo ‘stile dei cartoni animati’, il tratto che potremmo dire più classico e diffuso, non sembra trovare all’estero particolari barriere, mentre autori con uno stile che potremmo definire inusuale, come quello di Yoshiharu Tsuge fanno fatica non solo a trovare mercato all’estero ma anche ad essere conosciuti dal pubblico generale. Sono comunemente conosciuti e apprezzati da un pubblico ristretto, non da tutti. Alcune opere di Tsuge sono state pubblicate in Francia, ma in Italia non abbiamo ancora avuto di leggere le sue opere. Mari Yamazaki, che ammette di essere stata profondamente influenzata da questo autore, ha chiesto agli editori perché Tsuge non viene pubblicato nel nostro paese, mentre in Giappone riesce ad avere un suo pubblico.
Keiko Ichiguchi ha ricordato che qualche anno fa la Cononino Press aveva tentato di pubblicare Tsuge, ma non era riuscita perché non era riuscita a trovare dei traduttori in grado di tradurre i testi, considerati molto particolari, anche dagli stessi giapponesi.
“Ho notato che i lettori italiani sono talmente abituati a leggere e a vedere un certo tipo di stile di disegno, che assomiglia moltissimo a quello dei cartoni animati, e non accettano gli stili vecchi dei fumetti giapponesi degli anni settanta, l’epoca in cui è nata la base del fumetto giapponese di oggi. La radice dello shoujo manga è nata in quel periodo, ci sono tantissimi e bellissimi classici, il cui stile di disegno è definito ‘vecchio’. Mi sono sempre chiesta come mai gli editori italiani non pubblicano quella che è la radice dei fumetti, che pubblicano adesso?”.
Come nota Miki Tori questi autori giapponesi non hanno un grande seguito in Giappone, ma probabilmente il problema della loro diffusione in Europa, e non solo in Italia, deriva dal fatto che
“Gli amanti attuali di manga europei, non solo quelli italiani, sono abituati a guardare prima l’animazione e solo in un secondo momento si sono avvicinati al manga da cui sono stati tratti. Di conseguenza l’imprinting iniziale è stato quello dell’animazione, il media che ha avuto più influenza.
Però tra gli autori di manga in Giappone si può dire senza dubbio che non c’è praticamente nessuno che conosce Tsuge Yoshiharu. E diciamo, non importa quale sia la matrice a cui si sono rivolti questi autori, d’animazione o di un altro genere, tutti gli autori del settore hanno un grandissimo rispetto nei confronti di Tsuge Yoshiharu. In Giappone c’è questa grandissima varietà di manga, però quando vengo in Europa mi rendo conto come la matrice dell’animazione sia quella ad avere il maggiore successo. Questo non vuol dire assolutamente che questo sia un bene o un male, perché questo comunque si tratta sempre di un settore con cui tutti quanti collaboriamo però credo anche che sia un po’ uno spreco, il fatto che in Giappone ci siano così tanti generi che non sono ancora conosciuti qui.
L’opera più famosa di Tsuge, Neji-shiki, lo stile della vite (la parola è costituita dal carattere della vite, e lo stile che indica un modo di fare un modo di agire, ndt.). Il titolo deriva da un punto nella storia in cui il protagonista sta nuotando, viene punto da una medusa, gli viene recisa una vena e per poterla ricollegare, usa questo stile di avvitamento. Quindi se la si avvita troppo forte, no passa più il sangue, se invece la si avvita troppo lentamente, il sangue continua a fluire troppo, creando un emorragia. Si tratta di una forma molto irrealistica che se vogliamo, potrebbe essere vista da un certo punto di vista, nell’ambito della commedia. E questa è un’opera così conosciuta, che qualunque autore all’interno delle proprie opere, fa qualche tipo di citazione nei confronti delle battute che sono presenti in questa opera.
In Francia le sue opere sono state sempre ben qualificate, ci sono state delle mostre sulle sue opere, e valutate. Tuttavia questo in Italia non è successo e mi farebbe molto piacere che le sue opere fossero presentate anche in questo territorio.
Anche gli autori di manga e animazione, quelli che hanno una grandissima visibilità, hanno un grandissimo rispetto nei confronti di questo autore. Forse possiamo anche evitare la divisione tra major e minor, cioè fra manga che sono presi maggiormente o meno in considerazione, la cosa importante in Giappone è che ci sono vari generi di manga, che fra di loro hanno una forma di rispetto e di accettazione reciproca”.
Secondo Alessandra, non è facile portare in Italia quelli che sono stati i pionieri del manga, in un mercato che conosce da poco tempo, qualche decennio, la produzione giapponese. In primis perché è più facile portare autori conosciuti che si sono ispirati e questi pionieri, una situazione comune anche in ambito cinematografico e musicale. In secondo luogo, i temi di alcune opere possono essere più difficili da capire, e quando vengono valicati i confini del Giappone, la diffusione di questi manga si arresta. Ma Alessandra nota che comunque esistono delle eccezioni, e che in alcuni casi, basta aspettare la maturazione del mercato, per pubblicare un particolare titolo/autore.
Per la Bovini, stiamo assistendo in Italia, a un consolidamento del mercato del manga. C’è una generazione di otaku che si sta pian piano formando, prima erano solo dei ragazzini che guardavano i cartoni animati, ora stanno cominciando a dimostrare interesse e curiosità, tanto che la cultura dei seinen manga si sta cominciando a sviluppare adesso.
Cristian Posocco spiega:
“Parlando delle differenza delle culture, io trovo straordinariamente bello, ma anche strano che un prodotto come può essere il fumetto giapponese, il manga, frutto di una cultura così diversa da quella italiana, possa arrivare in Italia, e possa essere letto e apprezzato dai lettori, con un background culturale così diverso. È una cosa bellissima, ma anche strana. Alcune volte trovo più sorprendente che certi fumetti abbiano un successo molto grande, piuttosto che altri non l’abbiano o che addirittura non vengano pubblicati. Il problema dell’Italia, in particolare degli italiani – come ha citato il maestra Miki Tori prima, è che c’è un printing che sembra attanagliare i lettori e i telespettatori italiani. Quando vedono una cosa per la prima volta, tutto ciò che utilizzerà quel mezzo, dovrà rifarsi a quel primo campione a cui loro hanno assistito.
E questo è il caso nel fumetto e nel cinema di animazione ahimè, gli italiani hanno conosciuto il cinema d’animazione con Disney, per cui hanno visto un cinema d’animazione fatto da una persona che aveva dei grossi problemi nei rapporti col padre, che aveva una certa convinzione della famiglia, e che voleva imporre questa convinzione della famiglia, portando le famiglie al cinema e quindi per gli italiani l’animazione è una cosa per famiglie e per bambini. Non si può pensare che possa essere un mezzo utilizzabile da chiunque volesse dire qualunque opinione su qualche argomento che può essere, dal calcio alla cucina, dalla politica al misticismo.
E la stessa cosa per i fumetti. Guardate allo scempio che è accaduto in Italia, quando i primi fumetti importati in Italia, nati in America – dove il fumetto si è sviluppato sulle pagine dei quotidiani come medium industriale, erano cose fatte per lettori adulti, e di media cultura, così come i primi fumetti pubblicati in Giappone. In Italia venivano importati solo per la grafica, venivano cancellati i ballon e i dialoghi, e venivano messe delle filastrocche sotto, in modo da renderli delle storie illustrate per bambini. Cose nate per adulti, venivano forzatamente rese per bambini, perché ormai si era consolidata questa cosa qui. Deve essere una cosa per i bambini.
Quindi in Italia non ce la facciamo a uscire da questo preconcetto, che il fumetto e l’animazione non sono media con un’identità artistica forte, come invece è accettato in Giappone. Come è accettato in misura diversa in Francia. Già in America è diverso perché in America ci sono due cose: una cosa è il fumetto, una cosa sono i comics, e una cosa sono le graphic novel. ‘Ohh io non leggo comics, io leggo graphic novel’, che sono la stessa cosa, eh. E quindi anche lì non sono messi bene neanche dal punto di vista dei preconcetti. Uno di questi preconcetti me lo suggerisce Alessandra, citando Oshino sensei. Noi abbiamo ristampato 2001 Nights, che era un fumetto mitico degli anni ottanta perché venne pubblicato per la prima volta da Granata Press. Questo nome era già conosciuto perché Grannata Press ha creato l’imprinting dei manga in Italia. ‘Ah sì, questo lo conosco è bello’.
Poi abbiamo pubblicato altre cose dello stesso autore, anche dello stesso genere e non hanno venduto nulla. Chi ha comprato quello, non ha neanche fatto un passaggio, ‘Oh, un’altra cosa di questo autore che mi è piaciuto tanto, aspetta che lo provo’. No, perché non faceva parte dell’imprinting. È veramente una lotta contro i mulini a vento. Adesso dicono che forse possiamo cominciare, ma io non ho tanta fiducia, soprattutto su larga scala. Bisogna trovare un nuovo modo per poter portare queste cose per questo pubblico ristretto, in maniera dignitosa, e trovare un modo che ci possa sostenere”.
Alessandra dice che l’unica soluzione per portare queste serie in Italia, è la messa in onda di un film o di una serie televisiva. Nino Giordano spiega invece di avere il problema opposto:
“Noi con la Renbooks abbiamo invece il problema opposto, nel senso che, il nostro fumetto più venduto in assoluto è Virtus, di un autore giapponese, Gengoroh Tagame che è completamente scollegato dai soliti stilemi del manga, e la gente spesso ci chiede, lettori che non sono lettori di manga, ci chiedono ma perché non pubblicate più cose di Tagame? E quindi probabilmente andando nella nicchia giusta, anche gli autori come quelli citati potrebbero avere un loro pubblico. Basta cercarlo e non continuare a cercarlo tra i lettori di manga, ma tra quelli di fumetto generici. Mi sembra che sia una cosa che sta fra l’altro avvenendo, adesso in Italia. Penso alla Rizzoli che sta pubblicando un sacco di gekida, o la Cononino. Secondo me il pubblico c’è ed è in crescita”.
Durante il Q&A, la Yamazaki ha sottolineato l’importanza della pubblicazione di queste opere che non vengono pubblicate in Italia, così importanti per lo sviluppo del manga moderno. Queste presenze devono essere sostenute, altrimenti rischiano di essere cancellate per sempre. Il signor Miki Tori, si è invece allacciato a quanto detto nell’intervento tenuto durante la mattina, dal professor Miyage, per parlare della necessaria diversità nei manga.
“Adesso sono tanti i giovani giapponesi che nutrono una grande preferenza nei confronti dell’Italia, detto ciò, sono molto poche le persone in Giappone che hanno una conoscenza approfondita dell’antica Roma. E da qui ci possiamo collegare con l’opera della signora Yamazaki, Thermae Romae, che parla proprio di questo tipo di argomento. Inizialmente quando era stata presentata alle maggiori case editrici, le hanno detto ‘No, va bé, questo non è un argomento particolarmente conosciuto. Il protagonista non è particolarmente giovane e avvenente’, e quindi non era stato preso in considerazione. Tuttavia poi si è visto, come non è stato così, nei fatti. Per questo secondo me, in Italia ci sono diverse possibilità di sviluppo”.
Miki Tori ha parlato poi del suo genere preferito i gag manga, solitamente non pubblicati in Europa. Questo tipo di pubblicazione, composta da quatto vignette, normalmente prende spunto sulla cultura giapponese del passato, come la musica, i film, le serie televisive. Il mangaka ammette che capisce le motivazioni dietro la non pubblicazione di questi manga, intrisi di cultura giapponese, e per questo motivo difficili da comprendere da chi non ha una buona conoscenza del Giappone.
Alessandra ha notato che i titoli con una forte carica umoristica sono solitamente quelli più difficili da esportare,
“Perché l’umorismo è uno degli elementi semiotici che da un paese all’altro, cambiano di più in assoluto. Gintama è brillantissimo, molto divertente e demenziale. Però devo dire che è difficile incontrare una cultura che abbia lo stesso tipo di senso dell’umorismo alla base”.
Caterina Mazza dell’Università di Venezia, che insegna parodia nella letteratura giapponese contemporanea e di traduzione della parodia, ha ammesso che tradurre la parodia è molto complicato, perché c’è una resistenza nella traduzione.
“Già negli anni ottanta, in un testo che si chiama Carnival, Umbero Eco diceva ‘Ci rendiamo conto leggendo Rashomon, che cosa fa piangere i giapponesi, che cos’è il tragico per i giapponesi, che cosa li commuove, ma non riusciamo assolutamente a capire che cosa li fa ridere’. Quindi c’è questa idea che ci sono due cose che in traduzione resistono, che sono la lingua dialettale, perché culturalmente denotato e connotato, e appunto, l’umorismo. Però è vero che facendo una lezione sulla parodia all’Università di Venezia, per spiegare che in realtà non è vero che tutto l’umorismo resiste alla traduzione, ho mostrato il trailer di Thermae Romae. Tutta la classe si è messa a ridere quando lui esce dal bagno, quando c’è scritto ‘antico romano’, con la freccia… Ci sono delle forme di comicità che sono in qualche modo trasportabili”.
Miki Tori ha spiegato che quanto detto finora sulla parodia è stato molto importante e che
“A volte, viene detto anche dagli stessi redattori, che in Giappone, il modo in cui viene posta la parodia è complicato, difficile da capire”.
Il fumettista aggiunge che l’umorismo può oltrepassare le frontiere, vuoi con immagini video o ferme, grazie alla forza della creatività degli autori.
“Spesso quelli che dicono che se non si sa su che cosa è basata una storia umoristica, allora non si riesce a capire, ebbene questo tipo di frasi vengono normalmente dette da chi ha già un’idea di che cosa si tratta. Chi non ha invece assolutamente idea degli argomenti iniziali, e quindi guarda l’opera solo in quanto tale, non fa questo tipo di affermazioni, la guarda e si diverte. E quindi nel momento in cui c’è un’opera forte, anche se il lettore/lo spettatore non sa la storia originale su cui si basa, ebbene questa può essere comunque divertente. Sono il tipo di storie che io cerco di scrivere”.
Secondo Posocco, Miki Tori ha centrato il problema della parodia:
“Questa sua duplicità ci deve essere affinché la parodia sia comprensibile per tutto il pubblico. La parodia è un’arma a doppio taglio, perché per sua natura può essere un mega successo o un mega flop. Quindi se la parodia si ferma a un livello di semplice parodia, ovvero faccio ironia su cose preesistenti, allora chi non conosce le cose su cui sto facendo ironia non le può comprendere. Bisogna andare su un livello superiore, bisogna utilizzare delle forme, dei linguaggi, dei codici per rendere divertenti queste cose comunque. Ed è stata questa ad esempio la bravura di Yamazaki sensei con Thermae Romae, perché è riuscita a fare una parodia sociale, degli usi e della cultura giapponese, utilizzando situazioni e codici che sono comprensibili da chiunque”.
Per quanto invece riguarda la pubblicazione delle opere classiche in Italia, finora non c’è stato nessun titolo che abbia raggiunto dei numeri tali da essere definito un caso editoriale, da spingere una pubblicazione maggiore di questi titoli. La Bovini ha notato che in alcuni casi la differenza tra lo stile del disegno tra l’opera originale e la serie animata può essere una barriera per alcuni titoli, anche se famosi come Doraemon.
Nel caso di titoli della Panini come Lady Oscar o Astroboy, i dati delle vendite sono si state buone, ma non particolarmente alte. Alessandra spiega che al momento gli editori possono permettersi di pubblicare i classici, grazie alle vendite delle altre testate. Non mettendoli in primo piano, anche se può sembrare un controsenso.
Questo è quanto emerso nell’incontro. Il mercato italiano è ancora nuovo, e piccolo, anche se per alcuni lettori ci troviamo di già di fronte a un mercato saturo. Nell’arco di questi anni molte cose sono cambiate, ma c’è ancora molto resistenza da parte dei lettori verso alcuni generi, e sopratutto verso le opere classiche. Chissà fra dieci anni come sarà il mercato italiano, cambierà oppure rimarrà lo stesso?