2015-10-02



Chiara Lalli, bioeticista e giornalista, dialoga di fine vita e inizio vita con Marco Bresadola, storico della scienza e direttore del Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza: una discussione sulle categorie filosofiche, giuridiche e scientifiche che investono il dibattito pubblico in bioetica.

La conversazione su fine vita e inizio vita che ha avuto luogo al polo Adelardi nell’ambito del Festival Internazionale riprende un dibattito che da due anni a questa parte non è presente nell’agenda politica del nostro Paese. Chiara Lalli, autrice di “Secondo le mie forze e il mio giudizio. Chi decide sul fine vita. Morire nel mondo contemporaneao” (Il Saggiatore 2014), spiega le criticità del naufragato disegno di legge Calabrò, sottolinenado il carattere “non vincolante” che questa normativa avrebbe avuto. «Le direttive anticipate in tema di fine vita – spiega Lalli – avrebbero la funzione di prolungare la nostra volontà in caso di stato non cosciente». Tuttavia, il carattere non vincolante, di fatto, avrebbe consentito di aggirare la scelta individuale sottoscritta nel testamento biologico, annullando il suo valore. Marco Bresadola, direttore del Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienze, pone al centro della discussione la riflessione sulle categorie filosofiche che il dibattito pubblico su questi temi tira in ballo. Tra le categorie coinvolte l’autodeterminazione e la persona. Nel momento in cui la prima categoria, nata in relazione al diritto dei popoli e alla loro sovranità, si declina sull’individuo si problematizzano i limiti: fino a che punto è possibile decidere della propria vita? Malgrado l’assenza di dibattiti in corso, il 64% degli italiani si dice favorevole all’eutanasia e almeno un centinaio di persone nell’arco di questo ultimo anno si sono recati in Svizzera per potersi sottoporre al suicidio assistito, dati – afferma Bresadola – che fanno riflettere sulla esigenza sociale di discutere sulla questione.

«Nessuna conoscenza scientifica può darci una risposta su cosa sia la persona morale e giuridica» riferisce Lalli, accordandosi con le riflessione che Bresadola, in veste di storico della medicina, riporta a proposito delle disquisizioni sulla persona che già riguardarono il passaggio dai canoni medievali all’età moderna, dalla definizione di persona sulla base del battesimo ricevuto o sulla base dell'animazione dell'embrione a partire dal concepimento. Cambiamenti concettuali che dalle teorie storicamente segnate si riflettono nelle posizioni dominanti, come quella della Chiesa cattolica sull'aborto.

«Abbiamo buoni argomenti per imporci sulla volontà dell’altro?» Questa domanda, più che l’universale bontà delle affermazioni, dovrebbe muovere la riflessione sull’ammissibilità della scelta di interrompere la propria vita, spiega Chiara Lalli, soprattutto a fronte di un’ipocrisia diffusa che consente anche nel nostro paese la sedazione totale, una sorta di anestesia profonda che accompagna il malato alla morte.

Anche l’obiezione di coscienza, derivata dall’ambito militare, è una categoria abusata e distorta nel contesto sanitario, ostacolando il servizio di interruzione di gravidanza tutelato dalla legge 194 del 1978. Lalli riferisce, infatti, che i ginecologi obiettori, che pertanto si astengono dal praticare aborto, sono il 70%, toccando punte del 90% in alcuni ospedali. Questa situazione che genera difficoltà negli stessi medici non obiettori e nelle donne che intendono abortire è spia di un modo vizioso di trattare le questioni, confluendo in «un bacino talmente stretto, che il dibattito è soffocato e soffocante» denuncia Lalli.

Un’altra bioetica forse è possibile, suggerisce Bresadola, se riusciremo a tenere insieme tre fili: « il lavoro di analisi di termini, categorie e concetti; lo sforzo di guardare le questioni in una prospettiva storica, di lungo periodo; e la capacità di investire non solo sul percepito del pubblico ma anche sul suo elemento contributivo», in un mondo dove la discussione accademica e specialistica penetra e influenza ricorsivamente il dibattito pubblico.

(Sara Campanella)

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