2015-02-03

DALL’ IMPOSSIBILITA’ TECNICA DI SHORTARE LE OBBLIGAZIONI GARANTITE DA MUTUI SUBPRIME, ALL’IMPOSSIBILITA’ GIURIDICA DI SHORTARE TITOLI DI STATO EUROPEI (E COMPRARE NAKED CDS): UN MODO PER SPECULARE AL RIBASSO SI TROVA SEMPRE.

di Francesco Maria Pellegrini (ABC Economics)

Cari amici, in questo post vorrei provare a trattare l’argomento di cui al titolo, ragion per cui andrò ad introdurre alcuni concetti già trattati qui  (ai quali aggiungerò alcune considerazioni alla luce degli ultimi eventi), per poi cercare di indicare quali analogie sussistano -a mio parere- tra il contesto attuale del mercato dei titoli di stato e quello immediatamente anteriore lo scoppio della bolla subprime related.

In generale, i CDS sono contratti in cui un soggetto (compratore di protezione), effettuando pagamenti periodici alla controparte (venditore di protezione), si protegge dal rischio di credito associato ad un determinato sottostante (reference asset); questo può essere rappresentato da una specifica emissione, da un emittente o da un intero portafoglio di strumenti finanziari. Più precisamente, i rischi coperti dal CDS sono connessi ad uno o più eventi (credit events) di cui è fatta menzione nel contratto:

bankruptcy (definizione che riprende quella contenuta nell’ISDA Master Agreement);

obligation acceleration (condizione che si verifica quando l’emittente non onora una obbligazione avente scadenza precedente, rendendo immediatamente rimborsabile anche una avente scadenza successiva);

obligation default (evento che si verifica quando l’obbligazione, ancorché non scaduta, potrebbe divenire immediatamente rimborsabile in presenza di default dell’emittente);

failure to pay (si verifica quando l’emittente si rifiuta di pagare quanto dovuto su una o più obbli- gazioni);

repudiation/moratorium (quando l’emittente o una autorità governativa disconosce la validità dell’obbligazione);

restructuring (comprende i casi di ristrutturazione del debito con modifica delle condizioni, in peius per il creditore).

Il rapporto tra CDS e mercato obbligazionario non è inquadrabile in un discorso unitario nel quale far confluire valutazioni univoche, vista la presenza di emittenti corporate e sovereign, aventi pochi punti di contatto. In termini molto generali, l’acquirente di CDS, in cambio del pagamento di un premio periodico, ricava un profitto in caso di deterioramento del merito di credito della reference entity (specie nell’ipotesi di naked CDS) o un contenimento delle perdite potenziali in caso di CDS a copertura; l’acquisto di un CDS implica quindi l’assunzione di una posizione corta sul rischio di credito della reference entity (Stato emittente i titoli del debito pubblico nel nostro caso). Al verificarsi dell’evento creditizio oggetto del CDS (ad esempio l’insolvenza cioè il default totale o parziale dello Stato), flussi di pagamento tra il compratore ed il venditore di protezione hanno luogo secondo due diverse modalità:

il venditore di protezione corrisponde alla controparte il valore nominale (ovvero quello diversamente pattuito a livello contrattuale) dello strumento finanziario oggetto del CDS, al netto del valore residuo di mercato dello stesso (cosiddetto recovery value o valore di recupero) ed il compratore di protezione cessa il versamento dei pagamenti periodici (cash settlment);

il venditore di protezione corrisponde alla controparte il valore nominale (ovvero quello diversamente pattuito a livello contrattuale) dello strumento finanziario oggetto del CDS ed il compratore di protezione, oltre a cessare il versamento dei pagamenti periodici, consegna il reference asset (titolo di stato nel nostro caso).

Quindi, i CDS possono essere utilizzati per:

fini di copertura dei rischi associati ad una determinata attività finanziaria, svolgendo una funzione non diversa da quella assicurativa;

assumere una posizione corta sul rischio di credito legato ad un dato strumento finanziario.

Nel primo caso, il compratore di CDS detiene l’asset di riferimento, il cui rischio di credito intende coprire; nel secondo acquista il CDS senza avere alcunché da coprire (cosiddetti Naked CDS).

Una posizione corta sul rischio di credito sovrano, astrattamente, può essere assunta anche vendendo allo scoperto un titolo di stato: tuttavia, questo tipo di operazione presenta tratti di maggiore complessità e/o più rischiosità rispetto all’acquisto di un CDS nudo, per due motivi:

per vendere allo scoperto è necessario prendere in prestito il corrispondente titolo di stato nelle forme del secutiry lending o repo agreement; dove risiede l’inconveniente? Risiede nel fatto che, essendo la data di regolamento delle operazioni su titoli obbligazionari -in generale- di 3 giorni dopo la conclusione del contratto, il venditore ha 3 giorni di tempo per prendere a prestito i titoli e consegnarli alla data di regolamento del contratto. Qualora non fosse in grado di soddisfare detta condizione, l’operazione non sarebbe regolata generando un cosiddetto fail ed il rischio di fail è abbastanza elevato in quanto la pratica dei prestiti di titoli di stato non è particolarmente diffusa; i CDS nudi, invece,consento di prendere una posizione short per un tempo che va dai 5 ai 10 anni.

Il security lending, al pari del repo agreement, ha una scadenza -usualmente- molto breve che costringe le parti a rinegoziare periodicamente le condizioni, generando rischi connessi alla variazione del valore dei titoli e dunque del costo dell’operazione di prestito. Ricapitolando: la vendita allo scoperto è un’operazione finanziaria consistente nella vendita di titoli che -materialmente- in quel momento non si posseggono, ragion per cui vengono -tranne nelle rare ipotesi di short selling nudo- istantaneamente prestati da un soggetto che li possiede al venditore, il quale subito dopo provvede a cederli all’acquirente. L’originario possessore-prestatore, nell’ambito di quella che è inquadrabile come operazione di prestito di titoli anziché di denaro, riceve dal venditore allo scoperto il pagamento di un tasso d’interesse che varia -tra l’altro- al variare della durata del prestito; infatti il venditore allo scoperto deve, entro un certo periodo di tempo, acquistare sul mercato (quindi al relativo prezzo) i titoli da riconsegnare al prestatore di prima istanza (operazione definita “ricopertura dello scoperto”). Per l’acquirente, nulla cambia: non vi è differenza tra l’acquisto di titoli venduti allo scoperto o meno.

Inoltre, l’acquisto di CDS non solo è più assimilabile all’acquisto di un’opzione put (o alla vendita di una call) sul merito creditizio dell’emittente, ma trattandosi di un derivato consente anche di sfruttare l’effetto leva (assente nel caso di mera vendita allo scoperto di un titolo di stato) richiedente sì un pagamento periodico ma in grado di evitare l’immobilizzo di capitale che si verifica nelle operazioni di prestito propedeutiche alla successiva vendita allo scoperto.

I CDS sono scambiati sul mercati OTC noti -sino all’emanazione del recente regolamento europeo n. 648/2012 riguardante l’identificazione delle controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni di strumenti finanziari scambiati sui mercati non regolamentati- per offrire una limitata trasparenza pre e post-trade, non risultando pubblicamente disponibili informazioni sulle quotazioni in acquisto e vendita, sul numero e sul controvalore dei contratti conclusi (alcuni data vendors si limitavano a fornire quelle inerenti il pre ma non il post trade).

Si tratta di contratti standardizzati, facenti riferimento -per la loro disciplina- all’ ISDA (International Swaps and Derivatives Association, un’ associazione privata internazionale formata da oltre 800 membri che includono dealers, asset management companies, emittenti e studi legali) Master Agreement del 2002 ed all’ISDA Credit Derivative Definitions del 2003.  Fino al 2005, la liquidazione dei CDS – nel caso in cui si fosse verificato il credit event contemplato nell’accordo- era possibile solo con la consegna fisica –da parte dell’acquirente di protezione- del titolo obbligazionario “assicurato” sottostante. Se l’acquirente disponeva del titolo sottostante, l’uso del Credit Default Swap aveva -verosimilmente- un mero fine di copertura del rischio; quando l’impiego per fini speculativi cominciò a crescere, il valore nominale dei CDS sottoscritti -in determinanti segmenti- risultò essere addirittura superiore a quello dei titoli sottostanti. Perché accadeva questo? Perché c’erano molti acquirenti di CDS nudi, ovvero di operatori che acquistavano protezione senza detenere alcun reference asset da assicurare, circostanza che poteva portare ad una manipolazione indiretta del valore dei titoli al verificarsi dell’evento rispetto al quale la protezione era acquistata: per quale motivo? Perché essendo la liquidazione subordinata alla consegna fisica del titolo, tutti coloro i quali avevano acquistato CDS nudi dovevano rivolgersi -necessariamente- al mercato per acquistare i titoli da consegnare al venditore di protezione, incrementandone -artificiosamente- il livello dei prezzi (cosiddetto short squeeze). Nel 2009, l’ISDA, ad integrazione degli strumenti di cui sopra  propose l’adozione del Big Bang Protocol e dello Small Bang Protocol, vale a dire di  due standards che hanno visto l’adesione su base volontaria di oltre 2000 soggetti fra banche, hedge funds e investitori istituzionali. Le principali novità introdotte, consistono:

nell’obbligatorietà (per gli aderenti ai protocolli) dell’impiego dell’asta per la determinazione del prezzo di liquidazione dei contratti CDS (precedentemente l’asta era prevista solo su base volontaria, risultando particolarmente disomogenea l’estensione dell’area dei partecipanti);

nell’istituzione di una Determination Commitee avente il compito di definire alcuni degli elementi di liquidazione dei contratti (accertamento del credit event, individuazione dei titoli da consegnare ecc.), ovvero di chiarificare -rispondendo ai quesiti degli operatori- il senso delle regole ISDA, in una sorta di esercizio di interpretazione autentica delle stesse. Il risultato finale conseguito dall’implementazione degli interventi citati è stato – secondo un’opinione diffusa- quello di aver reso più sicuro ed efficiente il ricorso al regolamento per differenziale monetario, creando le premesse per la crescita dell’utilizzo dei CDS per finalità di tipo speculativo (laddove quello di copertura presuppone la physical delivery), riducendo i rischi di short squeeze, consequenziali alla caccia al titolo da consegnare al venditore di protezione.

Secondo la vulgata comune, QUOTAZIONE CDS = PROBABILITA’ ATTESA DI DEFAULT, per cui maggiore sarà il valore del primo termine, maggiore sarà la probabilità attesa di fallimento di uno stato. Il discorso non è così automatico, in quanto: pur essendo vero che nell’ipotesi più lineare la quotazione del CDS risulta pari alla probabilità attesa di insolvenza (default probability – PD) corretta per il tasso di recupero (recovery rate – RR), ottenendo quindi CDS = PD x (1-RR), dove PD x (1-RR) = alla perdita attesa Expected Loss -EL), essa comprende anche il premio al rischio, ovvero il premio che l’operatore pretende per sostenere un determinato livello di rischio. Il premio è funzione -nel tempo- dell’ elemento soggettivo dell’avversione al rischio, il cui aumento, a parità di perdita attesa, inciderà al rialzo sulle quotazioni CDS e di quelli oggettivi rappresentati dal jump-to-default risk (JtD-R), cioè dal rischio di un default improvviso non rilevato dalla variazione in aumento della PD e dai fattori di rischio sistemico (S) (insolvenza attesa sulla base del rating assegnato all’emittente) che incidono sulla probabilità di insolvenza.

Poiché QUOTAZIONE CDS= EL (Perdita attesa) + PREMIO AL RISCHIO, laddove la perdita attesa è pari a PD x (1-RR) ed il premio al rischio dipende da elementi soggettivi come l’avversione al rischio ed oggettivi come il JtD-R e l’insolvenza attesa, l’aumento del prezzo del derivato potrebbe segnalare un semplice aumento dell’avversione al rischio o una riduzione del recovery rate atteso, anziché della PD (probabilità di fallimento dello Stato). Esso non è neanche necessariamente rilevante nel processo di price discovery dei titoli obbligazionari, o meglio: nel comparto corporate le quotazioni CDS svolgono una funzione leading, nel senso che le variazioni delle prime (più sensibili e più reattive nell’incorporare le informazioni mutanti le aspettative degli operatori) anticipano le variazioni degli spreads dei titoli di debito; in quanto risulta verosimile che sul mercato dei CDS operino intermediari con strategie più aggressive e dinamiche, laddove il mercato obbligazionario è fortemente condizionato dalla presenza di operatori con strategie buy-and-hold; nel comparto sovrano, detto ruolo è riscontrabile solo con riferimento ai paesi periferici e solo nei periodi di maggiore turbolenza finanziaria, ma non in quelli core, in cui tuttalpiù è osservabile come il ruolo di leader sia assunto dallo spread e quello di follower dalle quotazioni CDS. Questa situazione appare coerente con la differenza dei livelli di liquidità sui mercati CDS ed obbligazionari, in linea teorica influenzati dal rischio di credito: nei Paesi aventi una situazione debitoria peggiore, quindi un rischio di credito più elevato, la liquidità tende a spostarsi sul mercato OTC dei CDS con finalità di copertura, incrementando il valore indicativo delle quotazioni CDS con riguardo alla capacità di anticipare i movimenti dello spread sul mercato obbligazionario meno liquido. Tuttavia, pur potendo i CDS assumere il ruolo di leaders nella price discovery ciò non significa -di per sé- che sia possibile manipolare le quotazioni dei titoli di debito, speculando tramite essi.

A livello pratico, un primo schema speculativo potrebbe essere simile al seguente: vendita allo scoperto di titoli pubblici e acquisto di CDS; la vendita dei titoli pubblici amplifica i rischi di insolvenza percepiti dagli operatori generando un aumento della domanda e delle quotazioni dei CDS che, a loro volta, inducono un’ulteriore caduta del corso dei titoli pubblici; a questo punto, lo speculatore (gli speculatori) verosimilmente, venderanno i CDS ad un prezzo più alto e riacquisteranno i titoli ad un prezzo più basso conseguendo un profitto doppio, sulla quotazione dei CDS (nel frattempo aumentata) e su quella di bonds, acquistati ad un valore basso e rivendibili ad uno più alto, anche in ragione del fatto che la vendita dei derivati allenta la pressione al ribasso sulle obbligazioni con effetto positivo sul prezzo di rivendita.

Un altro schema speculativo, potrebbe essere attuato acquistando in grandi quantità CDS “naked” a prezzi sempre più elevati, nel tentativo di innescare comportamenti imitativi da parte degli altri operatori (cosiddetto herding behaviour); questi infatti intenderebbero il “run” sui CDS come segnale di un imminente default della reference entitity (lo stato) e colti dal panico, ridurranno la loro esposizione sui relativi titoli (vendendoli) e/o aumenteranno la copertura acquistando CDS. A questo punto, gli speculatori rivenderanno i CDS conseguendo un profitto. Entrambi gli schemi presentano elementi di complessità e rischio operativo elevati: nel primo, bisognerebbe investire ingentissimi capitali nella vendita di bonds allo scoperto; nel secondo si pongono i problemi osservabili nell’ambito delle coordination game rules poiché tutti vorrebbero far pagare l’ulteriore aumento del prezzo (rispetto a quello corrente) agli altri partecipanti al “game”. Il buon esito dell’uno e dell’altro, dipende rispettivamente dalla possibilità di creare un rialzo “artificiale” nelle quotazioni dei CDS e dalla possibilità che tale rialzo induca il mercato a rivedere le proprie aspettative sulla probabilità di insolvenza (incidendo quindi sugli spread obbligazionari). La possibilità di innescare un rialzo “artificiale” delle quotazioni dei derivati CDS, è funzione del livello di liquidità del mercato sul quale vengono negoziati e proprio nei periodi di forti turbolenze è possibile osservare la riduzione del numero dei venditori di protezione; la riduzione del numero di venditori rende il mercato illiquido e dunque anche poche operazioni di acquisto sarebbero in grado di far aumentare di molto le quotazioni CDS; inoltre trattandosi sino a qualche tempo fa di un mercato OTC e come tale carente  di trasparenza pre e post trade l’aumento delle quotazioni venivano percepite dagli operatori (sia del mercato dei CDS che dell’obbligazionario) come incremento della Default Probability anziché -ad esempio- come semplice aumento del Premio per la liquidità, ingenerando una serie di reazioni a catena che chiudevano il quadro dell’attacco speculativo.

Vista la fobia manifestata da molti politici verso lo strumento finanziario oggetto di trattazione, l’Europa decise di intervenire tramite il Regolamento N. 236/2012 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 14 marzo 2012 relativo alle vendite allo scoperto e a taluni aspetti dei contratti derivati aventi ad oggetto la copertura del rischio di inadempimento dell’emittente (CDS).

Che cosa stabilisce questo Regolamento? Stabilisce una serie di cose:

Restrizioni alle vendite allo scoperto di un debito sovrano in assenza della disponibilità dei titoli

Una persona fisica o giuridica può effettuare una vendita allo scoperto di un debito sovrano solo se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:

a) la persona fisica o giuridica ha preso a prestito il debito sovrano o ha preso disposizioni alternative che producono un effetto giuridico analogo;

b) la persona fisica o giuridica ha concluso un accordo per prendere a prestito il debito sovrano o dispone di altro titolo immediatamente esecutivo, in base al diritto dei contratti o al diritto di proprietà, ai fini del trasferimento a suo favore della proprietà di un numero corrispondente di titoli della stessa categoria, in modo che il regolamento possa essere effettuato alla scadenza prevista;

c) la persona fisica o giuridica ha concluso un accordo con un soggetto terzo in base al quale quest’ultimo ha confermato che il debito sovrano è stato localizzato o che altrimenti abbia la ragionevole aspettativa che il regolamento possa essere effettuato alla scadenza prevista.

Le restrizioni non si applicano se l’operazione serve a coprire una posizione lunga negli strumenti di debito di un emittente, la formazione del prezzo dei quali sia strettamente correlata a quella del debito sovrano in questione. Ove la liquidità del debito sovrano scenda al di sotto di una soglia stabilita conformemente alla metodologia imposta dal regolamento,  l’autorità competente interessata può temporaneamente sospendere le restrizioni sopra descritte. Prima di sospendere tali restrizioni, l’autorità competente interessata notifica all’Aesfem e alle altre autorità competenti la sospensione proposta .La sospensione è valida per un periodo iniziale non superiore a sei mesi dalla data della sua pubblicazione sul sito Internet dell’autorità competente interessata.  Può essere prorogata per periodi non superiori a sei mesi, se continuano a sussistere i motivi della sospensione e decade automaticamente se non è prorogata entro la fine del periodo iniziale o di ogni successivo periodo di proroga.

Entro ventiquattro ore dalla notifica da parte dell’autorità competente interessata, l’Aesfem emette un parere in merito alla sospensione o alla proroga della sospensione notificata, pubblicato sul sito Internet della stessa.

Sul versante dei CDS, il regolamento stabilisce che:

Una persona fisica o giuridica può effettuare operazioni su credit default swap su emittenti sovrani solo se esse non determinano una posizione scoperta in un credit default swap su di essi, che si verifica quando lo strumento finanziario non serve a coprire:

a) dal rischio di inadempimento dell’emittente, quando la persona fisica o giuridica detiene una posizione lunga nel debito sovrano di tale emittente cui si riferisce il credit default swap su emittenti sovrani; o

b) dal rischio di deprezzamento del valore del debito sovrano, quando la persona fisica o giuridica detiene posizioni attive o è esposto a passività, ivi compresi, ma non in via esaustiva, i contratti finanziari, un portafoglio di attività o obbligazioni finanziarie il cui valore è correlato al valore del debito sovrano.

Un’autorità competente può sospendere temporaneamente le restrizioni sopra descritte se ritiene, sulla base di motivi oggettivi, che il suo mercato di debito sovrano non funzioni correttamente e che dette restrizioni possano avere un impatto negativo sul mercato dei credit default swap su emittenti sovrani, in particolare aumentando il costo del prestito per gli emittenti sovrani o compromettendo la loro capacità di emettere nuovo debito. Tali motivi si basano sui seguenti indicatori:

a) un tasso d’interesse elevato o in aumento sul debito sovrano;

b) un allargamento del differenziale (spread) del tasso d’interesse sul debito sovrano rispetto al debito di altri emittenti sovrani;

c) un allargamento del differenziale dei credit default swap su emittenti sovrani rispetto alla propria curva e rispetto ad altri emittenti sovrani;

d) la velocità di ritorno del prezzo del debito sovrano all’equilibrio originario dopo una negoziazione di una certa entità;

e) l’ammontare di debito sovrano negoziabile.

L’autorità competente può servirsi inoltre di indicatori diversi da quelli di cui sopra.

Prima di sospendere le restrizioni ai sensi del presente articolo, l’autorità competente interessata notifica all’Aesfem (Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Marcati)  e alle altre autorità competenti la sospensione proposta e i motivi su cui la stessa si basa.

La sospensione è valida per un periodo iniziale non superiore a dodici mesi a decorrere dalla data della pubblicazione sul sito Internet dell’autorità competente interessata. La sospensione può essere prorogata per periodi non superiori a sei mesi, se continuano a sussistere i motivi della sospensione. La sospensione decade automaticamente se non è prorogata entro la fine del periodo iniziale o di ogni successivo periodo di proroga.

Entro ventiquattro ore dalla notifica da parte dell’autorità competente interessata, l’Aesfem emette un parere in merito alla sospensione prevista o alla proroga di tale sospensione, indipendentemente dal fatto che l’autorità competente abbia basato la sospensione sugli indicatori sopra citati  o su altri indicatori. Se la sospensione prevista o la proroga della sospensione si basa sui parametri di cui sopra, tale parere comprende una valutazione degli indicatori utilizzati dall’autorità competente. Il parere è pubblicato sul sito Internet dell’Aesfem. Per quanto riguarda il nostro Paese, Banca d’Italia e Consob sono le autorità competenti per l’esercizio delle funzioni e dei poteri ordinari previsti dal Regolamento Short Selling su titoli di Stato e cds su emittenti sovrani.

Il regolamento esime dall’osservare dette regole i market maker - sia per le azioni che per i titoli di Stato e i cds sovrani – ed i primary dealer- limitatamente ai titoli di Stato e cds sovrani, purché i soggetti che intendano beneficiare di tale esenzione notifichino l’utilizzo della stessa con almeno 30 giorni di anticipo; la notifica va effettuata all’autorità competente dello Stato membro d’origine per i market maker e a quella dell’emittente sovrano per i primary dealer.

Accanto al Parlamento che ex lege ha eliminato ogni possibilità speculativa sui debiti pubblici dell’Eurozona è intervenuta la BCE, predisponendo  e/o patrocinando tutta una serie di strumenti  “d’ausilio” per gli Stati in difficoltà, qui descritti. Più nello specifico, il piano anti spread noto col nome di OMT “Outright Monetary Transactions”, varato da Draghi  il 6 Settembre 2012, tramite le quali è stata fornita garanzia di acquisto -potenzialmente- illimitato dei titoli di stato dei Paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata, rappresenta uno strumento idoneo a bloccare sul nascere qualsiasi ipotesi volta a predisporre un piano speculativo in posizione short: per quale motivo? Perché la BCE -che non soffre limiti tecnici per quanto riguarda la stampa di banconote- si è dichiarata disponibile – su richiesta dello Stato interessato-  ad acquistarne i titoli sul secondario, in caso di eccessivo allargamento dello spread dovuto ad un selling massiccio. Ovviamente, un limite quantitativo in termini operativi sussiste anche se è conosciuto solo internamente all’istituto di credito centrale, il quale non ha provveduto -volontariamente- alla disclosure di questa come delle altre technical features proprio al fine di non dar alcun punto di riferimento operativo ai potenziali speculatori.

L’impossibilità di shortare titoli di stato riproduce una situazione molto simile a quella vista nel corso – o meglio prima- dello scoppio della crisi subprime related del 2008, sulla quale ho scritto diffusamente qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui  ed in relazione alla quale intendo dire quanto segue.

Il vastissimo mercato delle obbligazioni ipotecarie nacque negli anni ’80 all’interno del trading desk di Salomon Brothers (investment bank) ed aveva come sottostante un mercato dei mutui molto diverso da quello conosciuto nel corso della crisi subprime, in quanto -originariamente-  punto di riferimento dello stesso non erano i “cattivi pagatori” ma i migliori, ovvero quelli dotati di un merito creditizio particolarmente elevato. I Mortgage Backed Securites (MBS) sia nella versione del loro debutto, sia in quella successiva, hanno conservato una forte diversità sia rispetto alle obbligazioni corporate che sovereign, non costituendo mai un titolo avente come sottostante un unico mutuo di grossa entità, con una scadenza fissa predeterminata; viceversa inglobano -da sempre- migliaia di mutui (o parti di mutui) residenziali privati. La gestione dei flussi di cassa derivanti dai sottostanti però, si dimostrò sin da subito particolarmente problematica: per quale motivo? Perché i mutuatari potevano benissimo rimborsare i prestiti in qualsiasi momento oppure rifinanziarli a condizioni migliori, lasciando ai sottoscrittori delle obbligazioni ipotecarie nel primo caso, tanti soldi da dover reinvestire altrove e nel secondo titoli con rendimenti inferiori rispetto a quelli iniziali. Per il risparmiatore che intendeva pianificare il proprio risparmio, l’incertezza sull’entità del rendimento e/o sulla durata dell’investimento rappresentava un problema che rischiava di tenere distanti da quel mercato tutti coloro i quali fossero inizialmente interessati a guardare oltre le obbligazioni di stato e le obbligazioni corporate.  Per superare questo problema, l’industria del debito residenziale – e più precisamente la pionieristica Salomon Brothers- decise di suddividere le rate degli enormi bacini dei mutui residenziali in tatti pezzettini detti tranches, messe -idealmente- una sopra l’altra, quasi fossero i piani di uno stesso palazzo. In quel modo, l’investitore – a differenza di quanto succedeva in passato- non era più costretto a comprare un MBS contenente -per sua struttura- tutte le tranches possibili, inglobanti a loro volta realtà creditizie molto diverse (espressioni di mutuatari volti ad estinguere anticipatamente i propri mutui o costantemente alla ricerca di migliori condizioni di rifinanziamento), ma poteva benissimo scegliere la tranche -quindi il “piano del palazzo”- inglobante solo determinate categorie di mutuatari e dunque presentanti condizioni -nell’insieme- ritenute maggiormente in linea con le proprie esigenze di investimento. Chi investiva nella tranche  più rischiosa– il primo piano del palazzo- sapeva ex ante che sarebbe stato colpito per primo dall’eventuale ondata di estinzioni anticipate, ragion per cui riceveva un tasso di interesse maggiore; chi investiva nella seconda tranche -il secondo piano (mezzanine)- sapeva che sarebbe stato colpito per secondo, ragion per cui riceveva un interesse più basso del primo; chi sottoscriveva la tranche migliore detta senior (quindi investiva nell’ultimo piano del palazzo) era -relativamente- più sicuro di tutti gli altri che il suo investimento non si sarebbe concluso prima della scadenza prevista. Quindi, il problema -ammesso che di problema si possa parlare-  incidente sulle scelte dei risparmiatori orientati a metter soldi nel segmento delle obbligazioni ipotecarie era quello di esser rimborsati troppo in fretta e non quello di non esserlo affatto. Questo accadeva in quanto i mutui trasformati in MBS erano di elevata qualità, compliant con gli standards richiesti  da Freddie Mac, Fannie Mae e Ginnie Mae, per poter godere dell’assicurazione dello Stato: se il mutuatario fosse andato in default, il governo  avrebbe rimborsato quanto da esso ancora dovuto. Con l’inizio del nuovo millennio, il settore della finanza specializzata sopra descritto, cominciò ad essere utilizzato per concedere prestiti aventi uno standard qualitativo sempre minore: lo scopo di base era quello di allargare le linee di credito a soggetti già proprietari di un’abitazione ma anche di un merito creditizio deteriorato o -per varie ragioni- in via di deterioramento, non necessariamente al fine di consentire loro l’acquisto di un’ altra casa ma al fine di consentire loro la monetizzazione del patrimonio rappresentato dall’ immobile già posseduto.  Per conseguire tale risultato, la logica sottostante alla scomposizione dei bacini di mutui in tranches (piani di un palazzo o se si preferisce di una torre) cominciò ad essere utilizzata non più per far fronte al rischio di estinzione anticipata, bensì per far fronte a quello di soffrire perdite da insolvenza dei mutuatari. Così, chi acquistava le tranches “più basse” (i primi piani del palazzo) dette equity sapeva che avrebbe sofferto per primo le perdite, ragion per cui godeva di un interesse maggiore; chi acquistava le tranches “più alte” (gli ultimi piani del palazzo) dette senior, sapeva che avrebbe sofferto per ultimo le perdite, ragion per cui godeva di un interesse minore. A quei pochi grandi  – a livello di lucidità finanziaria e precisione cognitiva- operatori in grado di accorgersi con discreto anticipo del grande crollo che “the extension of credit by instrument” avrebbe causato di lì a poco, si presentò un problema abbastanza serio: le tranches delle obbligazioni garantite da mutui subprime erano invendibili allo scoperto. Potevano essere acquistate o meno ma non si poteva -tecnicamente- scommettere esplicitamente contro di esse (proprio come succede ex lege oggi con i titoli di stato europei), il che vuol dire che non c’era spazio per chi nutriva sentimenti pessimistici circa il loro esito finale. Non era possibile di certo vendere le case allo scoperto; gli investitori avrebbero potuto shortare le azioni delle aziende costruttrici ma sarebbe stata un’operazione costosa e rischiosa dato che il valore delle azioni può fermarsi a zero ma salire -astrattamente- all’infinito. Cosicché qualcuno pensò ai CDS su obbligazioni garantite da mutui subprime, i cui rischi al ribasso erano certi e definiti mentre le opportunità rialziste erano equivalenti a vari multipli del rischio. C’erano però due inconvenienti: 1) non esistevano ancora CDS su quel tipo di obbligazioni; 2) anche se esistenti, non avrebbe avuto molto senso acquistare protezione da un banca con in portafoglio la stessa reference entity dalla quale si cercava protezione o meglio, dal crollo della quale si attendeva di poter trarre ingenti profitti. Vi era anche una complicanza di natura meramente tecnica: sottoscrivere un CDS su di un pacchetto di mutui residenziali, non equivaleva (e non equivale) a sottoscriverne uno avente ad oggetto una singola emissione del debito pubblico statale, in ragione del fatto che detto pacchetto non finiva in malora in blocco bensì vedeva i proprietari di abitazioni divenire insolventi uno alla volta. Per far fronte a questa particolarità, le banche disposte a vendere protezione (anche se in quel contesto i pochi investitori interessati acquistavano CDS nudi per finalità meramente speculative) crearono i CDS pay – as- you- go, in virtù dei quali l’acquirente non sarebbe stato pagato cumulativamente nel momento in cui l’intero paniere fosse andato in default, bensì gradualmente a mano a mano che i singoli proprietari fossero diventati insolventi. E perché le banche (ed alcuni dei più grandi istituti assicurativi al mondo) erano disposti a vendere protezione? Semplice: perché erano rimaste vittime dell’asimmetria informativa (sull’effettiva rischiosità e sull’effettivo valore delle obbligazioni subprime related) che esse stesse nel processo volto all’ OTD (Originate To Distribuite) avevano contribuito a creare. Trattandosi di dover piazzare una scommessa ribassista ragionata, i pochi speculatori che si resero conto dell’ immondizia finanziaria riversata nella varie tranches cercarono di scegliere i pacchetti di obbligazioni  -ai quali legare i CDS- che ritenevano essere i peggiori. In un contesto che dopo qualche anno si scoprirà essere stato pesantemente condizionato dai giudizi farlocchi delle agenzie di rating, alcuni abili speculatori come Michael Burry. Vincent Daniel e Steve Eisman, compresero come non tutta la spazzatura fosse uguale anche in presenza dello stesso rating, ad esempio BBB. La differenza era da ricercare, ad esempio, nella percentuale di mutui interest-only (magari variabile) e ad ammortamento negativo, contenuta nel pacchetto ipotecario sottostante: peggiore era il merito creditizio sul quale i mutui a garanzia delle obbligazioni erano basati, maggiore erano le possibilità di trarre profitto acquistando CDS nudi ad esse connesse. Acquistare gli Swaps sollevava gli speculatori anche dalla problematica delle tempistica poiché non era necessario entrare nel mercato al momento giusto: si piazzava la scommessa, versando periodicamente delle somme rappresentanti un vero e proprio premio assicurativo, in attesa che i panieri obbligazionari andassero in default. Lo scenario peggiore era quello che vedeva gli statunitensi pagare totalmente i mutui contro i quali si era scommesso: in tal caso si restava obbligati a pagare una percentuale al venditore di protezione (pari a circa il 2% annuo del capitale “assicurato”) per un periodo massimo di 6 anni. Se avessero perso la scommessa, poniamo su di un capitale assicurato di 100 milioni di dollari di mutui, si sarebbero trovati a pagare 2 milioni all’anno per 6 anni, per un totale di 12; se fossero risultati vincitori -come poi realmente accaduto- si sarebbero portati a casa 100 milioni di dollari. Ma le abilità di coloro i quali shortarono la bolla subprime si è rivelata essere ancora maggiore, in quanto riuscirono a vedere in anticipo quello che può forse essere considerato come uno dei più grandi bluff di tutti i tempi messo in scena dalla finanza internazionale, vale a dire  l’ideazione dei synthetic subprime mortgage bond-backed collateralized debt obligation/CDO. I CDO nacquero con l’intento di redistribuire (potremmo dire remixare con linguaggio musicale) il rischio di default proprio di obbligazioni corporate e sovereign, ma dal 2004 in poi cominciarono ad essere usati per bluffare sul rischio delle obbligazioni subprime. Essi contenevano -generalmente- 100 obbligazioni ipotecarie di bassa qualità, raggruppate per erigere -non diversamente da quanto sopra descritto- una torre, un palazzo a più piani. Qualcuno potrebbe dire: che senso ha raggruppare 100 obbligazioni di bassa qualità (BBB) per creare una cumulo di altre obbligazioni? Piazzare obbligazioni BBB risultava difficile in quanto avvertite (giustamente) come più rischiose, ragion per cui l’industria della finanza dopo aver raggruppato 100 obbligazioni garantite da mutui subprime aventi rating BBB convinse le agenzie di rating che non si trattasse più di 100 obbligazioni BBB, ma di un nuovo asset, più specificatamente di un CDO con rating AAA; in altri termini: 100 sacchi d’immondizia rimescolati e raggruppati venivano convertiti in un cumulo d’oro, chiamato CDO.  Gli speculatori bussavano presso le banche e dicevano loro: salve, vorremmo investire short su alcune tranches di obbligazioni di mutui BBB, per circa un miliardo di dollari. Rispondeva la banca: salve, usate quelle che già sono in giro; sceglietene 100 e su ciascuna di esse sottoscrivete CDS per 10 milioni. Ecco creato il CDO sintetico, al quale -secondo la logica sopra descritta- le Agenzie di Rating finivano per dare la tripla AAA; un derivato identico all’originale sotto tutti gli aspetti, tranne uno: non esisteva alcun mutuo residenziale né alcun acquirente di abitazioni, ma solo i guadagni e le perdite della scommessa piazzata contro le originarie obbligazioni reali. Inutile dire che quando la bolla scoppiò chi aveva per tempo sottoscritto CDS nudi incassò un fiume di denaro e chi aveva venduto protezione subì perdite ingenti, al pari dei sottoscrittori della maggior parte delle obbligazioni garantite da mutui ipotecari.

Ritornando al discorso di partenza proviamo a chiederci: nel contesto europeo in cui è vietato lo short selling su titoli di stato e l’acquisto di CDS nudi sugli stessi, è -ad ogni modo- possibile scommettere contro l’indissolubilità dell’area euro nonché contro l’irreversibilità dell’euro? Sì. In che modo?Acquistando bond dal rendimento negativo. Con quale logica? Accettando di perdere qualcosina in interessi, avendo come orizzonte il ritorno alle valute nazionali che vedrebbe gli investitori restituirsi i titoli dal rendimento negativo (tipico dei paesi core come Germania, Francia, Danimarca) in valute locali fortemente rivalutate rispetto a quelle in uso nei paesi periferici, nei cui confronti far valere profitti da cambio anche nell’ordine del 20 -30%. Le vie della speculazione, si sa, sono infinite.

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